Domenica 19giugno

II dopo Pentecoste

Per introdurci

È il Siracide, che abbiamo già conosciuto e seguito nella scuola della Parola dello scorso anno che ci pone la prima domanda di questa domenica:

  • Che cosa è l’uomo? A cosa può servire? Qual’è il suo bene e il suo male?

A cui si aggiunge quella del Vangelo:

  • Che cosa significa cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia?

La Parola di questa domenica

LETTURA Sir 18, 1-2. 4-9a. 10-13b
Lettura del libro del Siracide

Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo. Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. A nessuno è possibile svelare le sue opere e chi può esplorare le sue grandezze? La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore. Quando l’uomo ha finito, allora comincia, quando si ferma, allora rimane perplesso. Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male? Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti. Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. Per questo il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono. La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente.

SALMO Sal 135 (136)

Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre.

Rendete grazie al Dio degli dèi,
perché il suo amore è per sempre.
Rendete grazie al Signore dei signori,
perché il suo amore è per sempre.
Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,
perché il suo amore è per sempre. R

Ha creato i cieli con sapienza,
perché il suo amore è per sempre.
Ha disteso la terra sulle acque,
perché il suo amore è per sempre.
Ha fatto le grandi luci:
perché il suo amore è per sempre. R

Il sole, per governare il giorno,
perché il suo amore è per sempre.
La luna e le stelle, per governare la notte,
perché il suo amore è per sempre. R

EPISTOLA Rm 8, 18-25
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

VANGELO Mt 6, 25-33
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo

In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

Siracide

Precisiamo, anzitutto, che dopo la domenica della Santa Trinità incominciamo a rileggere la storia della salvezza nel suo svolgimento storico. Storia della salvezza che parte, ovviamente, dalla creazione. È per questo che oggi leggiamo la sintesi del sapiente, che è lapidario: “Colui che vive in eterno ha creato tutto l’universo”. Quello del sapiente non è uno sguardo descrittivo, ma sintetico, egli giunge alla conclusione di tutto senza entrare nel dettaglio di ogni singola cosa. Tutto è opera di Dio, tutto è da attribuire a Dio. L’uomo è chiamato ad avere uno sguardo di contemplazione perenne sulle cose, sul creato, sulle bellezze del creato.

Tra tutte le cose create, ecco che il Sapiente si concentra poi sull’uomo, con quelle domande che ho posto all’inizio della riflessione: che cosa è l’uomo? A cosa può servire? Qual è il suo bene e il suo male? Domande alle quali il sapiente dà puntuale risposta. Non entrando, però, in nessuna di esse in modo analitico, ma arrivando alla sintesi che gli viene concessa dagli occhi della fede. Partendo dalla constatazione che i giorni dell’uomo sono finiti, egli dice che “il Signore è paziente ed effonde su di loro la propria misericordia. Vede che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono. La misericordia del Signore riguarda ogni essere vivente”. Piccole frasi lapidarie che hanno una loro genialità. Il Sapiente non sta a considerare ciò che avviene in un tempo piuttosto che in un altro. Solamente egli si limita a constatare che la vita dell’uomo spesso è una miseria, perché l’uomo cerca in essa non la Verità, ma le cose. Dio, di fronte ad un uomo che lascia la contemplazione del creato e del Creatore per usare delle cose senza cercare il loro artefice e padre, non può altro che usare misericordia per l’uomo che si smarrisce nella creazione di cui sarebbe il custode. Visione bellissima, che si sposa a quella del Vangelo.

Vangelo

Gesù contempla ciò che fanno gli uomini. Vede i loro lavori, apprezza la loro genialità, il loro darsi da fare, il loro mettersi a disposizione degli altri. Tutte cose che accompagnano qualsiasi generazione, in qualsiasi luogo si viva. Eppure, il Signore nota anche la progressiva incapacità dell’uomo di guardare alle cose della natura per risalire a Dio. Gesù snida il falso desiderio dell’uomo circa la pace, il benessere di tutti, perché sa che tutti, prima o poi, non fanno altro che cercare ciò che conviene a ciascuno. Così Gesù offre sé stesso come modello di contemplazione. Egli passa attraverso i campi che offrono i gigli, come ogni persona di quel tempo, ma solo Gesù è in grado di riferire quella contemplazione al Padre e di gioire per tutta l’opera della creazione. Solo Gesù è capace di dire che, come quei fiori, non c’è nessuno, nemmeno chi vive alla corte del re e indossa le cose più belle e preziose dell’universo. Così come Gesù sente che tutti gli uomini si danno molte preoccupazioni per ciò che dovranno mangiare, senza pensare che tutto il resto della creazione è fatto di esseri che non vivono questa preoccupazione, eppure sono tutti dotati di quell’istinto che permetterà loro di trovare cibo. È la contemplazione di questi scenari normali che permette a Gesù di dare la sua risposta alla domanda: chi è l’uomo? Cosa deve fare l’uomo? “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta”. Come dire che il primo compito dell’uomo è la fede. Perché quando uno ha fede, ha la giusta chiave per interpretare ogni cosa e sa mettere ogni cosa nel suo giusto ordine, così che non capiti che ci si perda in cose da poco lasciando cadere cose molto importanti. Ma chi può fare questo?

Romani

Solo chi ha una visione di fede, solo chi sa di venire da Dio e di dover tornare a Dio, solo chi sa che ogni cosa deve trovare, in Lui, il giusto riferimento. Solo chi sa che il numero dei propri giorni è limitato e sa rimettere ogni cosa nelle mani di Dio, ha questa sapienza. In una parola, cerca il regno di Dio chi non si lascia appiattire dalle 1000 cose della vita, ma sa cercare la giustizia di Dio, sa cercare il suo volto, sa cercare sempre di giungere a quel fine che è il vero fine per cui ogni uomo è sato creato. Togli il gusto dell’eternità e l’uomo diventa incapace di cercare il regno di Dio e la sua giustizia.

Per noi

  • Per noi che senso hanno queste domande?
  • Condividiamo questa impostazione di vita?

Forse dovremmo proprio fermarci a riflettere, in questa domenica all’inizio dell’estate. Fermarci a riflettere perché è vero che noi tutti abbiamo perso quel gusto dell’eternità che diventa il grande faro che illumina tutta l’esistenza, in ogni sua scelta. Se non abbiamo il desiderio di unirci a Dio, se non abbiamo il desiderio di vedere il suo volto, se non crediamo, in maniera più radicale, alla vita dopo la morte, che senso hanno le raccomandazioni, gli insegnamenti, i richiami della fede? Nessuna! Ed è esattamente quello che sta accadendo. Fuori, là fuori, dove c’è un mondo che non ha più il senso dell’eternità. Togli il senso dell’eternità e trovi senso solo in ogni giornata che hai a disposizione. Per questo ci si preoccupa per il cibo o per il vestito, perché tutto finisce lì, nell’orizzonte piccolo e spesso anche comodo ed attraente dei giorni che uno ha a disposizione. Il guaio è che succede anche a noi, il guaio è che anche il cristiano, molto spesso, sempre più spesso, perde quell’orizzonte di vita eterna nel quale, poi, trovano senso solo le altre cose. Così accade che il cristiano viva come gli altri, pensando al cibo e al vestito, cioè alle cose immanenti per la vita. Poi, caso mai, almeno per salvarsi un poco la coscienza, si cerca di fare dell’altruismo, dell’attenzione agli altri, un altro cardine della vita. Anche questo, però, senza Dio! Spesso, sempre più spesso, solo come un’affermazione delle proprie sensibilità, delle proprie abilità, dei propri sentimenti. Che, nemmeno a dirlo, mettono al centro della questione, ancora una volta, noi stessi. Questa non è fede! Almeno non quella che ci ha insegnato Gesù Cristo. Allora cosa fare per ripartire da questo “cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia” per poi avere anche “le altre cose in aggiunta”?

  1. Rimettere al centro la questione della fede e domandarsi, davvero, che senso ha la nostra vita, cosa pensiamo della vita eterna, come ci stiamo avvicinando alla fine dei nostri giorni. Perché anche se siamo giovani, anche se pensiamo, per lo meno, di avere molti anni di fronte a noi, abbiamo tutti il compito, il dovere, di pensare che la vita non è infinita e che il senso di questa esistenza sta altrove. Senza questo sguardo sull’eternità e senza il pensiero che a questa eternità siamo chiamati anche noi, non andiamo da nessuna parte e non arriveremo da nessuna parte.
  2. Per fare questo, per avere uno sguardo sulla vita eterna, abbiamo bisogno di ampliare il nostro sguardo di contemplazione della creazione. L’estate che incomincia potrebbe proprio chiederci questo. Impariamo ad avere uno sguardo sul creato che ci aiuti a rimettere tutto, ogni cosa, nell’orizzonte dell’eternità. Sguardo di contemplazione che riguarda magari anche le esperienze straordinarie che faremo nell’estate, cosa che non guasta mai. Ma senza trascurare le cose ordinarie. È qui, adesso, ogni giorno che possiamo e che dobbiamo ringraziare Dio per le cose belle che ha creato e per le cose che allietano la nostra esistenza. È qui, è adesso che noi dobbiamo avere quello sguardo di contemplazione che ci fa pensare alla vita ordinaria non come alla rincorsa di ciò che serve o di ciò che piace.
  3. Per questo l’estate che si sta davanti deve essere, ancor più, il tempo per Dio e per la preghiera. Noi non abbiamo questa sensibilità. Anzi, la maggior parte dei credenti, superati i grandi “tempi forti”, concezione dalla quale non ci siamo ancora liberati, concepisce questo stesso tempo estivo come un tempo di pausa, riposo, riflessione, anche dalle cose della fede. Magari lasciando in penombra anche la stessa fedeltà alla S. Messa domenicale. Il rito ambrosiano, di cui sono sempre educatore, ci ricorda che leggeremo tutta quanta la storia della salvezza. Sia questo l’itinerario base per la nostra preghiera e per la nostra riflessione. Lasciamoci educare dalla Chiesa, Madre e Maestra, anche per questo itinerario del cuore, della mente, per una vera contemplazione del volto di Dio.
  4. Cercare la giustizia del regno di Dio, significa avere le priorità del Vangelo e andare alla ricerca di quei poveri, di quegli esclusi come li chiama il Papa che meritano sempre l’attenzione e la difesa dei credenti. Non per un attivismo o un volontariato intenso, ma per un servizio. Cerca il regno di Dio chi, con le proprie scelte, difende i poveri. Scelte dello stile di vita, scelte dei consumi, scelte per l’impostazione dei propri modi comuni di vivere. Questo è quello che ci serve e su questo ci provoca la parola di Dio.

Scegliere il regno di Dio è qualcosa che può fare chi ha il pensiero della vita eterna e il gusto della vita eterna.

Scegliere il regno di Dio è qualcosa che può fare chi prega.

Scegliere il regno di Dio è qualcosa che può fare chi custodisce un proprio stile di vita coerente con la propria fede.

E tu? Che estate passerai?

Un’estate con Dio per la ricerca del regno o un’estate per te e, al massimo, per i tuoi cari?

2022-07-02T09:18:00+02:00