Mercoledì 19 agosto

Settimana della undicesima domenica dopo Pentecoste – Mercoledì

Vangelo

Lc 12, 8b-12
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

Una regola generale. Ecco, come sempre in questi giorni, le due facce di un’unica medaglia che ci offrono le scritture.

Da un lato abbiamo la regola generale che viene data dal Signore Gesù. Gesù insegna che ogni male, ogni chiusura, ogni immoralità e ogni altro genere di esperienza negativa, arriva in un popolo quando ci si allontana da Dio. È quando viene a mancare lo Spirito Santo che si arriva a compiere ogni genere di nefandezza. È quando si rinnega Dio che si giunge a tollerare, o promuovere, e sostenere qualsiasi esperienza di male che l’uomo può compiere. L’invito è proposto ai cristiani e, quindi, dovremmo dire, a noi. Quando si “rinnega lo Spirito Santo”, quando si compie quel “peccato contro lo Spirito Santo che non ammette remissione”, si giunge a questo sprofondarsi nel male che è tipico di chi rinnega la fede. Rinnegare lo Spirito Santo equivale a rinnegare il dono che Dio ha posto nelle nostre mani. Ecco perché è un peccato così grave, ecco perché è un peccato che non ammette remissione. Continuare ad invocare lo Spirito Santo, al contrario, significa continuare ad avere fede. Continuare a credere nell’opera dello Spirito Santo, significa continuare ad invocare il nome di Dio sulla nostra vita perché sia benedizione, invito, luce, conforto al credere e, quindi al raggiungimento pieno e vero dei doni che Dio ha predisposto per noi.

Cronache

2Cr 29, 1-12a. 15-24a
Lettura del secondo libro delle Cronache

In quei giorni. Ezechia divenne re a venticinque anni; regnò ventinove anni a Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abia, figlia di Zaccaria. Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, come aveva fatto Davide, suo padre. Nel primo anno del suo regno, nel primo mese, aprì le porte del tempio e le restaurò. Fece venire i sacerdoti e i leviti e, dopo averli radunati nella piazza d’oriente, disse loro: «Ascoltatemi, leviti! Ora santificatevi e poi santificate il tempio del Signore, Dio dei vostri padri, e portate fuori l’impurità dal santuario. I nostri padri sono stati infedeli e hanno commesso ciò che è male agli occhi del Signore, nostro Dio, che essi avevano abbandonato, distogliendo lo sguardo dalla dimora del Signore e voltandole le spalle. Hanno chiuso perfino le porte del vestibolo, spento le lampade, non hanno offerto più incenso né olocausti nel santuario al Dio d’Israele. Perciò l’ira del Signore si è riversata su Giuda e su Gerusalemme ed egli ha reso gli abitanti oggetto di terrore, di stupore e di scherno, come potete vedere con i vostri occhi. Ora ecco, i nostri padri sono caduti di spada; i nostri figli, le nostre figlie e le nostre mogli sono andati per questo in prigionia. Ora io ho deciso di concludere un’alleanza con il Signore, Dio d’Israele, perché si allontani da noi l’ardore della sua ira. Figli miei, non siate negligenti, perché il Signore ha scelto voi per stare alla sua presenza, per servirlo, per essere suoi ministri e per offrirgli incenso». [Si alzarono allora i leviti. Essi riunirono i fratelli e si santificarono; quindi entrarono, secondo il comando del re e le prescrizioni del Signore, per purificare il tempio del Signore. I sacerdoti entrarono nell’interno del tempio del Signore per purificarlo; portarono fuori, nel cortile del tempio del Signore, ogni impurità trovata nell’aula del Signore. I leviti l’ammucchiarono per portarla fuori nel torrente Cedron. Il primo giorno del primo mese cominciarono la purificazione; nel giorno ottavo del mese entrarono nel vestibolo del Signore e purificarono il tempio del Signore in otto giorni. Finirono il sedici del primo mese. Quindi entrarono negli appartamenti reali di Ezechia e gli dissero: «Abbiamo purificato tutto il tempio del Signore, l’altare degli olocausti con tutti gli utensili e la tavola dei pani dell’offerta con tutti gli utensili. Abbiamo rinnovato e consacrato tutti gli utensili che il re Acaz con empietà aveva messo da parte durante il suo regno. Ecco, stanno davanti all’altare del Signore». Allora il re Ezechia, alzatosi, riunì i capi della città e salì al tempio del Signore. Portarono sette giovenchi, sette arieti, sette agnelli e sette capri per offrirli per la casa reale, per il santuario e per Giuda, in sacrificio per il peccato. Il re ordinò ai sacerdoti, figli di Aronne, di offrirli in olocausto sull’altare del Signore. Sgozzarono i giovenchi, quindi i sacerdoti ne raccolsero il sangue e lo sparsero sull’altare. Sgozzarono gli arieti e ne sparsero il sangue sull’altare. Sgozzarono gli agnelli e ne sparsero il sangue sull’altare. Quindi fecero avvicinare i capri per il sacrificio per il peccato, davanti al re e all’assemblea, che imposero loro le mani. I sacerdoti li sgozzarono e ne sparsero il sangue sull’altare, quale sacrificio per il peccato, in espiazione per tutto Israele.]

Lo stesso pensiero ci viene offerto dal libro delle Cronache, nel quale noi abbiamo ascoltato l’esempio di Ezechia. Un uomo di fede, un re pieno di zelo, un uomo che ha saputo essere, in un tempo difficilissimo, un raro esempio di fedeltà a Dio. La sua fede parte dall’appartenenza al tempio: è per questo che egli restaura l’edificio nelle sue parti corrotte o pericolanti, purifica gli arredi che Acaz aveva disprezzato, riaccende la lampada della presenza di Dio, segno e conforto per tutto il popolo, anche per il peccatore. Anche il peccatore, infatti, sa che nella luce del tempio trova sede quel Dio del perdono e della misericordia di cui egli stesso ha bisogno. Nonostante la sua poca fede e il male che compie, egli sa che c’è un punto fisso a cui guardare, un luogo della misericordia da frequentare, un luogo di preghiera nel quale invocare l’unico nome dal quale viene ogni salvezza e ogni bene per tutti e non solo per i credenti. È per questo che egli fa restaurare il tempio, perché sia sempre la sede della presenza di Dio alla quale ciascun uomo può ricorrere con fiducia e con la certezza di incontrare, sempre, il Dio della misericordia.

Per noi.

Ovviamente l’invito che riceviamo, oggi, come prima parola di Dio è quello a non essere noi tra coloro che non si fidano più di Dio, tra coloro che rifiutano la sua presenza e, quindi, spengono la fede, commettendo quel “peccato contro lo Spirito Santo”, che spegne ogni desiderio di Dio nell’anima.

Un secondo invito che riceviamo dovrebbe essere quello che ci richiama l’esempio di Ezechia. Il richiamo alla fede passa anche attraverso quei segni visibili della fede che sono anche presenti nelle nostre città e che devono richiamare tutti alla presenza di Dio. Stiamo restaurando la più significativa delle nostre chiese, San Giulio, la matrice della fede nella nostra città. Perché stiamo compiendo questo lavoro? Ha ancora senso fare una cosa del genere? Sì se cerchiamo di fare in modo che la chiesa non sia il luogo della preghiera confortevole per chi già c’è, ma perché la chiesa diventi il luogo in cui tutti sono richiamati a credere. La stessa cosa dovremmo fare con tutti quei segni di fede – edicole, pitture, Madonne e grotte… – presenti nelle nostre case. I piccoli segni di fede che noi possiamo esporre, devono essere per tutti un richiamo. Dovendo tutti rievangelizzare un contesto di vita sconsacrato, tutti dovremmo poter approfittare di questi segni, per vivere bene, per far vivere meglio, la fede.

  • Siamo partecipi di queste opere?
  • Vogliamo come Ezechia, avere zelo per le cose del Signore per rendere più salda la nostra fede e, magari, recuperare anche quella degli altri?

Proviamo a fermarci un poco e ad interrogarci. Anche da queste cose passa la vitalità della chiesa.

2020-08-19T15:00:14+02:00