Feria prenatalizia 3
La sapienza di un saluto.
C’è una sapienza che viene dal saluto che ci possiamo rivolgere gli uni gli altri. C’è una sapienza di chi sa scorgere nel saluto degli uomini il saluto stesso di Dio.
Rut
2, 4-18
Lettura del libro di Rut
In quei giorni. Booz arrivava da Betlemme. Egli disse ai mietitori: «Il Signore sia con voi!». Ed essi gli risposero: «Ti benedica il Signore!». Booz disse al sovrintendente dei mietitori: «Di chi è questa giovane?». Il sovrintendente dei mietitori rispose: «È una giovane moabita, quella tornata con Noemi dai campi di Moab. Ha detto di voler spigolare e raccogliere tra i covoni dietro ai mietitori. È venuta ed è rimasta in piedi da stamattina fino ad ora. Solo adesso si è un poco seduta in casa». Allora Booz disse a Rut: «Ascolta, figlia mia, non andare a spigolare in un altro campo. Non allontanarti di qui e sta’ insieme alle mie serve. Tieni d’occhio il campo dove mietono e cammina dietro a loro. Ho lasciato detto ai servi di non molestarti. Quando avrai sete, va’ a bere dagli orci ciò che i servi hanno attinto». Allora Rut si prostrò con la faccia a terra e gli disse: «Io sono una straniera: perché sono entrata nelle tue grazie e tu ti interessi di me?». Booz le rispose: «Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso gente che prima non conoscevi. Il Signore ti ripaghi questa tua buona azione e sia davvero piena per te la ricompensa da parte del Signore, Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti». Ella soggiunse: «Possa rimanere nelle tue grazie, mio signore! Poiché tu mi hai consolato e hai parlato al cuore della tua serva, benché io non sia neppure come una delle tue schiave». Poi, al momento del pasto, Booz le disse: «Avvicìnati, mangia un po’ di pane e intingi il boccone nell’aceto». Ella si mise a sedere accanto ai mietitori. Booz le offrì del grano abbrustolito; lei ne mangiò a sazietà e ne avanzò. Poi si alzò per tornare a spigolare e Booz diede quest’ordine ai suoi servi: «Lasciatela spigolare anche fra i covoni e non fatele del male. Anzi fate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; lasciatele lì, perché le raccolga, e non sgridatela». Così Rut spigolò in quel campo fino alla sera. Batté quello che aveva raccolto e ne venne fuori quasi un’efa di orzo. Se lo caricò addosso e rientrò in città. Sua suocera vide ciò che aveva spigolato. Rut tirò fuori quanto le era rimasto del pasto e glielo diede.
È la sapienza della storia di Rut. La sapienza del saluto che Booz rivolge ai mietitori: “il Signore sia con voi”: non un saluto rituale, ma il saluto di chi augura a chi sta lavorando, di sentire, di percepire la presenza del Signore nell’opera che si sta conducendo a compimento. C’è una sapienza nel saluto che i mietitori rivolgono a Booz: “ti benedica il Signore”. Non è un saluto liturgico, ma il saluto del dipendente che chiede a Dio illuminazione per il suo datore di lavoro, perché sa che dal benessere del padrone, dipende anche il proprio. È la duplice benedizione di un saluto che invoca la presenza di Dio in ciò che si fa, nelle opere che riempiono i giorni, nelle cose della vita, anche quelle più quotidiane, per non dire banali.
È la sapienza di Dio che scrive anche nelle parole comuni che gli uomini sanno rivolgersi, un’attestazione di sapienza.
Ester
5, 1-8
Lettura del libro di Ester
Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi. Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura. Alzato il viso, che la sua maestà rendeva fiammeggiante, al culmine della collera la guardò. La regina cadde a terra, in un attimo di svenimento, mutò colore e si curvò sulla testa dell’ancella che l’accompagnava. Dio volse a dolcezza l’animo del re: ansioso, balzò dal trono, la prese tra le braccia, fino a quando ella non si fu rialzata, e la confortava con parole rassicuranti, dicendole: «Che c’è, Ester? Io sono tuo fratello; coraggio, tu non morirai, perché il nostro decreto è solo per la gente comune. Avvicìnati!». Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!». Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla. Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re, venga egli con Amàn al banchetto che oggi io darò». Disse il re: «Fate venire presto Amàn, per compiere quello che Ester ha detto». E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester. Mentre si beveva, il re rivolto a Ester disse: «Che cosa c’è, regina Ester? Ti sarà concesso tutto quello che chiedi». Rispose: «Ecco la mia domanda e la mia richiesta: se ho trovato grazia davanti al re, venga anche domani con Amàn al banchetto che io darò per loro, e domani farò come ho fatto oggi».
È la sapienza di Ester che viene introdotta alla presenza del marito e che, dopo l’attimo di svenimento, saluta con queste parole: “ti ho visto, Signore, come un Angelo”. Certo Ester non è una donna emotiva, una donna che si lascia impressionare da quello che vede, una donna che si lascia impressionare da quello che accade attorno a lei. È una donna che, in qualche modo, ha visto quello che gli altri non vedono. È una donna che ha saputo scorgere, nella presenza del marito, quell’Angelo del Signore che rivela la sua volontà. Ester non sa come salutare suo marito perché ha visto in lui Qualcuno di ben più importante che tiene in mano la storia di tutti gli uomini.
È la sapienza di Dio che scrive nella visione di Ester un segno di ciò che avverrà e di cui lei sarà testimone.
Vangelo
Lc 1, 39-46
✠ Lettura del vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore».
È il secondo saluto più famoso del Vangelo, dopo quello dell’Angelo. “Salutò Elisabetta”, è scritto. Come? Che parole disse la Vergine? Che parole usò per salutare la cugina anziana? Come introdurre quella comunicazione di fede e quel servizio che sarebbero perdurati per mesi? Forse l’ebraico “Shalom”, “pace” o forse qualche altro saluto? Non è dato di sapere. Sappiamo però quale fu la reazione di Giovanni, ancora nel grembo della madre. “Sussultò nel grembo”. Spostamento di bambino, leggero scalpitare che ogni madre conosce bene. Fu quello il segno. Il segno di una presenza. Giovanni, a suo modo, riconosce che il Signore è presente in Maria, che lo Spirito sta aleggiando sopra quella casa, che c’è un’esperienza di fede unica. Quella della madre del precursore e quella della Madre. Quella di chi attende la venuta del più grande dei profeti e quella di chi attende il Figlio di Dio. Giovanni partecipa a questa realtà che il solo saluto della Vergine è in grado di introdurre.
La Sapienza ci invita a:
a comprendere che anche in un saluto ci può essere sapienza. Può essere il saluto cordiale di chi si conosce, il saluto affettuoso che si riserva per le persone più intime, il saluto che è un semplice e cordiale intendersi, o quel saluto che è solo espressione di formale rispetto. Qualsiasi saluto è espressione di una sapienza. La sapienza del rispetto, della vicinanza, dell’intesa, della stima, dell’amicizia… Un saluto del tutto particolare è il saluto dei cristiani. “Ave” è il saluto che anche noi diamo alla Vergine ogni volta che recitiamo la preghiera a lei dedicata; “Benedicite”, si salutano così i benedettini; “Pace e bene” i francescani; “Deo gratias” i figli di don Orione; “Riverisco”, “Sia lodato Gesù Cristo” era il saluto, fino a non troppi decenni fa, che si tributava ai religiosi. Forse in questi saluti cristiani era contenuta una grande sapienza. Forse in questo modo di salutare antico era contenuta una grande capacità di capire che Dio è presente nelle cose di tutti i giorni, con la sua benedizione, con la sua compagnia, con la sua forza… e forse era logico rispondere con affetto e, al tempo stesso, con deferenza. Forse aver perso questi saluti è un po’ avere perso anche questa sapienza, o almeno parte di essa. Proviamo a meditare: anche la sapienza di un saluto può dire molto!
Provocazioni di sapienza
- Come saluto le persone che frequento, che incontro, che approccio?
- Oltre alla cortesia e al rispetto, che non dovrebbero mai mancare, c’è anche un po’ di fede che brilla?
- Che saluto rivolgo a Dio?
Preghiera alla Sapienza
Signore Gesù che stai per venire, il nostro saluto è per te! Non sia solamente un saluto formale, non sia un saluto solamente doveroso. Sia, piuttosto, il saluto di figli che esprimono il loro amore, il loro affetto, il loro rispetto. Insegnaci anche questo, Signore, e giungeremo alla sapienza del cuore.