Lunedì della seconda settimana dopo l’Epifania
Questa settimana, che culminerà con la festa della conversione di San Paolo, da un lato sarà caratterizzata dall’elogio dei grandi di Israele, dall’altra dalla predicazione semplice di Gesù.
Siracide
Sir 44, 1. 23g 45, 1. 6-13
Lettura del libro del Siracide
Facciamo ora l’elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni. Il Signore Dio fece sorgere un uomo mite, che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini: Mosè, il cui ricordo è in benedizione. Egli innalzò Aronne, santo come lui, suo fratello, della tribù di Levi. Stabilì con lui un’alleanza perenne e lo fece sacerdote per il popolo. Lo onorò con splendidi ornamenti e gli fece indossare una veste di gloria. Lo rivestì con il massimo degli onori, lo coronò con paramenti di potenza: calzoni, tunica ed efod. Lo avvolse con melagrane e numerosi campanelli d’oro all’intorno, che suonassero al muovere dei suoi passi, diffondendo il tintinnio nel tempio, come memoriale per i figli del suo popolo. Lo avvolse con una veste sacra d’oro, violetto e porpora, opera di ricamatore, con il pettorale del giudizio, con i segni della verità e con tessuto di scarlatto filato, opera d’artista, con pietre preziose, incise come sigilli, incastonate sull’oro, opera d’intagliatore, quale memoriale, con le parole incise secondo il numero delle tribù d’Israele. Sopra il turbante gli pose una corona d’oro con incisa l’iscrizione sacra, insegna d’onore, lavoro vigoroso, ornamento delizioso per gli occhi. Prima di lui non si erano viste cose tanto belle, mai uno straniero le ha indossate, ma soltanto i suoi figli e i suoi discendenti per sempre.
La differenza tra le due letture, oggi, è particolarmente evidente. Il Siracide esalta la figura di Mosè, il profeta che non ha pari. Il suo ritratto è quello liturgico. Abbiamo infatti ascoltato la descrizione del suo paramento solenne: la finezza del tessuto delle sue vesti, lo splendore del pettorale che egli porta, la fulgorante lucentezza della corona che egli porta sopra il copricapo. Tutte opere di artisti che hanno appositamente tessuto, intagliato, decorato vesti e monili, perché Mosè apparisse radioso. L’ornamento non è fine a sè stesso: tutto ciò che Mosè indossa deve parlare della gloria di Dio. Infatti, quando il profeta prega per tutto il popolo o quando offre il sacrificio solenne a Dio, egli “si gloria del nome di Lui”, espressione bellissima, con la quale l’autore sacro ci ricorda che qualsiasi espressione del culto, dà lode a Dio. Per questo qualsiasi atto di culto merita la massima attenzione e l’espressione, in tutte le dimensioni possibili, di quanto l’uomo ha di meglio. Vesti, ornamenti, canto, addobbo del luogo di culto devono esprimere questa attenzione per Dio. Tutto ciò che viene dato a Dio deve esprimere il meglio che l’uomo sa dare.
Vangelo
Mc 3, 7-12
✠ Lettura del Vangelo secondo Marco
In quel tempo. Il Signore Gesù con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.
Il contrasto con il Vangelo appare evidente. C’è molta folla anche nel Vangelo, come ai tempi dell’Esodo, come intorno a Mosè. Ma la predicazione del Signore appare straordinariamente semplice. Una barca, la sponda di un lago, una piccola insenatura come naturale “teatro” per la predicazione del Signore, perché la sua parola sia udita ovunque. È in questo contesto semplice che risuona la parola più alta che può risuonare: “tu sei il Figlio di Dio”, riconoscimento che qualcuno ha proposto a tutti perché tutti comprendessero e capissero la vera natura di Dio. Quel Dio che Mosè annunciava con lo splendore del suo ornamento, Gesù lo rivela nella semplicità dei gesti, delle azioni, della parola. Lui che era vestito della preziosissima tunica tessuta tutta d’un pezzo, lui che non disdegnava l’olio dal valore di più di 300 denari, lui che lasciava che le donne lo assistessero con tutti i loro beni materiali.
Per Noi
Tra le due scritture, dunque, il contrasto è solo apparente. Infatti esse ci insegnano che Dio è semplice, come Gesù rivela con la sua predicazione, ma a Dio occorre dare il meglio di quanto si ha. Come onorare il nome di Dio trascendente e santo anche nella sua semplicità? Cosa esprimere per Dio, se non il meglio di quello che si possiede? Ecco il senso di quanto la liturgia tanto di Israele quanto della Chiesa ha sempre cercato di esprimere nei secoli. La solennità di un paramento, lo splendore di una chiesa, la gloria di alcuni soggetti dell’arte, l’armonia di una musica e molto altro ancora, sono tutte possibili espressioni di quel “meglio dell’uomo” con cui Dio va onorato. Personalmente non credo che si possa fare in un modo diverso! Ecco perché credo che l’impegno a dare il meglio di quanto si ha e il meglio di quanto si può esprimere a Dio, sia un impegno che tutti dobbiamo prenderci. Credo che tocchi ciascuno dare il meglio di sé, quando si tratta di esprimere la propria lode per Dio. Il “tenere” ad alcune espressioni, poi, è simbolo di quanto vogliamo rispettare il mistero di Dio. Il bello, di fatti, da sempre è espressione di Dio, che è il Vero, il Bello, il Giusto…
Impariamo a non sottovalutare queste espressioni, forse molto umane, ma che sanno dire molto del rispetto con cui noi possiamo accostare il mistero del Trascendente che è Dio. Il Signore ripagherà, come sempre, il rispetto carico di fiducia di chi si accosta a Lui con questa semplicità di spirito, nucleo centrale della predicazione di Gesù.