Settimana della sesta domenica di Pasqua – Mercoledì
Vangelo
Gv 14, 7-14
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».
Il desiderio di Filippo è in primissimo piano nel Vangelo che ascoltiamo oggi: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Un desiderio vero, bello, unico e grande. Filippo, ascoltando le parole di Gesù, comprendendo che c’è un posto per ciascuno nella vita eterna, subito dice quale desiderio è entrato nel suo cuore: il desiderio di vedere il Padre. Gesù risponde a queste parole del suo discepolo, aiutandolo a comprendere una duplice e diversa modalità di vedere il Padre. L’una è da subito attuale: “chi vede me ha visto il Padre”. Gesù è assoluta trasparenza di Dio e, per questo, chi vede lui, chi ascolta lui, vede già il mistero di Dio che si rivela e ascolta già la voce del Padre.
Una seconda modalità di vedere il mistero del Padre sarà quella che si renderà attuale alla fine della vita e attraverso il passaggio della morte. Sarà quella la visione della gloria, la visione piena.
Queste due esperienze sono per tutti. Anche noi vediamo ora, nell’operato di chi crede nel Signore e vive il comandamento dell’amore, quella dolce presenza di Dio che già educa la nostra anima all’accoglienza della vita eterna, visione che diventerà piena solo nel momento stesso della nostra morte. Impostata in questa maniera la morte assume un significato ben diverso da quello che, normalmente, noi le attribuiamo. La morte è davvero una “sorella” perché ci introduce nella visione piena del volto di Dio. Non è un nemico da temere, ma una realtà da benedire, perché è l’ultima realtà della vita e già il principio di quella eterna.
Così Gesù non solo risponde al desiderio di Filippo, ma richiama ciascuno di noi ad avere “desideri santi”, da esprimere nella preghiera al Padre, perché è certo che questa preghiera viene accolta ed esaudita, come abbiamo sentito nell’ultima parte della predicazione del Signore.
Atti
At 28, 17-31
Lettura degli Atti degli Apostoli
Dopo tre giorni, Paolo fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi: di questa setta infatti sappiamo che ovunque essa trova opposizione». E, avendo fissato con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. Alcuni erano persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non credevano. Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri: “Va’ da questo popolo e di’: Udrete, sì, ma non comprenderete; guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano, e io li guarisca!”. Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!». Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.
Anche la predicazione di San Paolo, con altri spunti, insisteva sulle medesime realtà. Paolo da subito dice a coloro che lo accolgono che il motivo della sua presenza a Roma è “la speranza di Israele”, ovvero la speranza di incontro con il Messia che introduce nella vita eterna, che guida al possesso della vita eterna. È per questo motivo che Paolo viene ascoltato, producendo in alcuni la conversione, in altri quell’allontanamento che è irreversibile. Da vero missionario che ha nel cuore la Parola di Cristo, Paolo, simbolicamente, “scuote i calzari”, ovvero attraverso una citazione della Parola di Dio, richiama tutti coloro che lo ascoltano a quel principio di responsabilità verso l’annuncio della parola che la comunità Giudaica di Roma rifiuta. È il mistero della chiusura di Israele, un argomento di fede e teologico molto presente già negli scritti del primo testamento e sul quale torna anche Gesù, per tentare di sconfiggere questa ostilità e per aprire i cuori al desiderio di Dio.
Ad Jesum per Mariam:
anche oggi mi lascio guidare da alcune litanie per riassumere la spiritualità che ci viene proposta in questo giorno:
- Regina Patriarcarum;
- Regina Profetarum: di Maria diciamo che è “regina dei patriarchi e dei profeti”. Sono, per così dire, i “grandi” del popolo ebraico. Uomini grandi nella fede che, in qualche modo, avevano compreso la venuta del Messia e avevano cercato di aprire i cuori degli uomini a quell’incontro.
Anche noi, sulla scorta di questi grandi del primo testamento, siamo chiamati a rendere più vera, più forte la nostra fede. Rileggendo attentamente quella Parola che ha guidato il cammino del popolo di Dio, troviamo anche noi conforto per vivere il nostro cammino e per continuare quel pellegrinaggio verso la vita eterna nel quale siamo tutti presenti. Alla vigilia della solennità dell’Ascensione, cerchiamo di mantenere il nostro sguardo di fede fisso sul mistero di Dio. Solo così continueremo a sentirci pellegrini verso quella meta alla quale siamo tutti attesi.