V Domenica di Quaresima o “di Lazzaro”.
La sapienza di chi vive di dedizione è il quinto dei grandi segni di sapienza che vogliamo raccogliere in questa quaresima verso una Pasqua che ci sappia davvero rinnovare come ci dice e ci chiede il nostro Arcivescovo.
- In che cosa consiste la dedizione?
- Perché diventa un atteggiamento sapienziale?
- Poiché la dedizione nasce dalla coscienza, come formiamo la coscienza noi credenti?
Deuteronomio
Dt 6, 4a. 20-25
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè disse: «Ascolta, Israele: Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato”».
Efesini
Ef 5, 15-20
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Vangelo
Gv 11, 1-53
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
Deuteronomio
Mi introduco alla narrazione giovannea del vangelo con le parole del deuteronomio. Israele è molto attento alla formazione della coscienza dei giovani. Così, quando un giovane domanda il perché delle cose che gli vengono insegnate, il pio ebreo torna a raccontare la storia della Pasqua, la liberazione prodigiosa dalla schiavitù dell’Egitto e il purificarsi attraverso il lungo cammino verso la terra dei padri, la terra della promessa. È lì, in quegli eventi che Dio si è dedicato al suo popolo ed ha messo nel cuore degli uomini la sapienza della dedizione verso di Lui e verso gli altri uomini. Per questo, poi, l’autore sacro poteva concludere: “la giustizia consisterà, per noi, nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore”. La sapienza della dedizione coincide con la giustizia e la giustizia non è altro che l’avere sempre presenti nella coscienza tutti i valori della fede, i valori che Dio rivela, per metterli in pratica davanti a Dio ed essere così giusti con gli altri uomini. Già questo insegnamento del primo testamento è ricchissimo di sapienza sulla quale occorrerebbe meditare a lungo.
Vangelo
Questo primo insegnamento si fonde con la narrazione evangelica e con la sua sapienza.
Betania è la “casa dell’amicizia” – questo il significato di questa parola ebraica. Casa dove Gesù sperimenta l’amicizia: è il luogo dove Gesù viene accolto insieme ai suoi discepoli.
È il luogo dove sperimenta il calore umano di Marta, che si dedica alla cura degli aspetti esteriori: i luoghi, gli alimenti, tutto ciò che occorre al soggiorno del Signore e dei suoi discepoli. Questo è il suo ruolo abituale nella casa. La sua dedizione è quella della donna di casa che governa i servi e dispone ogni cosa perché tutto sia pronto all’uso e perché si diffonda un clima di accoglienza grande.
È il luogo dove Gesù sperimenta l’accoglienza di Maria che è in grado di collaborare con la sorella, condividendone il lavoro. Questa donna è però anche in grado di dare al Signore quell’attenzione che nasce dall’ascolto. L’ascolto della sua parola, l’ascolto della sua rivelazione, quell’ascolto attento di chi accoglie una presenza e si dedica alla “parte migliore”. Maria ci testimonia così che una coscienza si forma quando rimane nel silenzio dell’ascolto e nel silenzio della preghiera.
È il luogo dove Gesù sperimenta l’accoglienza amica e fraterna di Lazzaro. Il Vangelo non ritrae le sue parole, ma solo la sua vicenda umana. Un uomo buono, un uomo che accetta la sofferenza della malattia che la sua vita incontra, senza pretendere nulla. Un uomo che muore nel silenzio, solamente sorretto dalla cura premurosa delle sorelle. Un uomo che, avendo accolto la sapienza di Dio e la rivelazione di Gesù, diventa il soggetto di un’azione unica: risorgere. L’amicizia con Gesù è così forte che, poco prima della sua Pasqua, per spiegare ancor meglio cosa sia la risurrezione dei morti, volendo preparare i suoi discepoli a quell’evento unico e inaudito che sarebbe stata la sua risurrezione, Gesù fa risorgere dalla tomba. Mettendolo così in grado di sperimentare di nuovo quel servizio premuroso, quella dedizione sincera delle sorelle che lo accolgono, nella fede, come un uomo che ha sperimentato un dono inedito di Dio.
In tutta questa azione è in primissimo piano la coscienza del Signore, che compie quello che è giusto e quello che è vero. Egli sa bene che, ormai, lo stanno cercando per ucciderlo, ma sembra incurante di questa verità. Egli sente che deve andare dall’amico Lazzaro, egli avverte che il miracolo che vuole compiere deve essere un ulteriore modo di dedicarsi e di donarsi all’umanità, egli vuole che la gente incontri questa sua definitiva rivelazione che porterà ad una ulteriore svolta la sua vita. La coscienza di Gesù mostra che il grande comandamento di Dio è l’amore per la vita. È per questo che fa risorgere Lazzaro per introdurre poi la sua risurrezione, quella che fonda la fede. La dedizione di Gesù all’uomo è espressa, in tutta la sua forza, in questo miracolo. Se Gesù aveva già mostrato la sua dedizione all’uomo in molti modi e in diverse forme, ora, con questo nuovo miracolo, egli mostra che il servizio di Dio all’uomo comprende anche l’annientamento dell’ultimo nemico della vita: la morte. È solo nel silenzio ricercato e custodito, è solo nella solitudine con il Padre che Gesù trova la forza per compiere questa ultima rivelazione prima della sua morte.
Sarà, poi, solo la sua Pasqua, e propriamente la donazione ultima, vera, piena del Giovedì santo nella lavanda dei piedi e nell’istituzione della Santa Eucarestia e nel Venerdì santo, con la sua morte di Croce, a far comprendere il senso di una donazione senza riserve all’uomo. Gesù amante della vita dona la sua vita e si sottopone alla morte perché tutti gli uomini sperimentino quel risorgere dai morti che aveva già coinvolto l’amico Lazzaro.
Efesini
È da questo esempio di dedizione che impara San Paolo. Erede di quel concetto di giustizia ereditato dal primo testamento ed educato dalla donazione del Signore sulla Croce, che Paolo può rivelare al mondo in che cosa consista la sapienza del credente. “Facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi”. È così che San Paolo inizia il suo discorso. Egli sa bene che il tempo è nemico dell’uomo. Il tempo che può essere usato per molte cose buone, non sempre è utilizzato per questo. Ecco perché Paolo invita a una sapienza di donazione di sé che coinvolga tutti i tempi della vita. Ancora diceva l’apostolo: “intrattenetevi con canti, inni, cantici spirituali, inneggiando al Signore e rendendo grazie per ogni cosa”: testimoniando così che la coscienza del credente si forma solamente nel silenzio, nella preghiera, nella dimensione che ci mette davanti al Dio della vita. È da qui che nasce quella donazione che riempie i giorni, che permette di dare un senso al tempo, che permette di non vivere senza un progetto vero che apra il cuore a qualcosa di grande.
La sapienza della donazione è quella che permette di comprendere “la volontà del Signore”. Poiché la volontà del Signore per la sua vita è stata quella della donazione di sé, ecco che il cristiano che vuole imitare il Signore dovrà fare dono di sé agli altri, senza riserve, come Cristo stesso ha fatto.
È questa la sapienza della donazione che dobbiamo imitare.
Spunti per una proposta spirituale di Sapienza
Raggiungiamo così l’apice delle nostre riflessioni quaresimali: tutti siamo invitati a formare in noi la coscienza della donazione sincera, gratuita e generosa.
Subito ci scontriamo con il primo problema: cosa è la coscienza?
Molti di noi la riducono a qualcosa di assolutamente personale, insindacabile, facendola coincidere con quello che immediatamente sentiamo nelle situazioni che viviamo. Così l’agire secondo coscienza, per molti, è quell’agire che nasce in base a quello che sentiamo nel cuore, senza fare riferimento a particolari criteri o a particolari valori. La coscienza sarebbe, così, ridotta alla pura soggettività.
Non è questa la visione che ci ha insegnato la Scrittura e, in particolare, il Vangelo. La coscienza è la sede di quei principi primi, sono l’origine, la base del nostro comportamento di tutti i giorni. Quei principi che dicono chi siamo in base a come agiamo. Il principio dell’accoglienza, della solidarietà, di ricercare il bene delle altre persone, dell’onestà, della giustizia, della carità cristiana, della verità, sono quei principi oggettivi che sono dentro la coscienza di ciascuno. È Dio che pone questi valori primi nella coscienza di ogni uomo e questi valori vi permangono fino a quando non è l’uomo stesso che decide di ottunderli, di scartarli, di farli morire dentro di lui. Questi valori devono però essere coltivati. Coltiviamo questo valori con il silenzio, con il rispetto, con la preghiera, mettendoci davanti a Dio che è l’origine stessa della coscienza e dei valori che in essa sono depositati. Non compiere questa operazione, non coltivare valori e principi, non scegliere, ogni giorno, di accedere a quella rivelazione di Dio che ci fa bene e che ci può guidare nelle cose della vita, porta, pian piano, ad uccidere la coscienza o a renderla insignificante e, quindi, a far morire anche i valori che in essa sono contenuti.
Lo vediamo molto bene nel nostro mondo ed in particolare nei giovani. Perché molti giovani non professano più questi valori? Perché molti giovani non hanno una vita di donazione a qualcuno e di dedizione agli uomini? Perché non hanno mai momenti di silenzio e solitudine, non hanno momenti in cui si coltiva quella vicinanza con Dio che riempie la coscienza e la tiene viva. L’essere continuamente storditi da parole o da musica, il non avere spazio di tempo per quella solitudine buona che accende l’arte del pensare, porta inevitabilmente a questa conclusione.
Ecco allora l’impegno per questa quinta ed ultima settimana di quaresima prima che inizi la grande settimana santa: coltiviamo quel silenzio interiore che permette di far crescere tutti i valori con i quali la fede educa la coscienza e attraverso i quali è possibile quella vita di donazione sincera che dovrebbe riempire l’esistenza di ciascuno di noi.
Da questo impegno di riflessione dovrebbe nascere anche quel richiamo al volontariato che rende bello anche un tempo come quello che stiamo vivendo. È questo il cuore di questo ultimo tratto di strada quaresimale di questo anno di pandemia che o ci porta a riscoprire questi valori e, con essi, la forza della nostra coscienza, o non sarà servito a niente!
Provocazioni di Sapienza
- Cosa è per me la coscienza?
- Quali sono i valori che la abitano?
- Come formo la mia coscienza?
- Questo tempo di quaresima come mi sta aiutando a cercare quel silenzio interiore che mi porta a vivere bene questa attenzione all’interiorità?
Camminiamo insieme, anche questa settimana, per vivere bene la conclusione di questo percorso di ricerca della sapienza che forma il cuore, rasserena l’anima, infonde fiducia nel tempo e nell’uomo. Noi tutti, chiamati alla risurrezione, coltiviamo questo orizzonte di vita certi che il Signore non mancherà di donarci quella vita eterna che ha voluto come termine dei nostri giorni terreni.