Domenica 21 giugno

Settimana della terza domenica dopo Pentecoste – Domenica

La caratteristica fondamentale del tempo dopo Pentecoste è quella di farci rileggere tutta la storia della salvezza. Così, dopo la scorsa domenica nella quale abbiamo messo a tema la bellezza della creazione e, in essa, la presenza dell’uomo, questa domenica ci chiede di riflettere in maniera originale, sul tema del peccato, rovina della creazione

Vangelo

Gv 3, 16-21
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Genesi

Gen 2, 4b-17
Lettura del libro della Genesi

Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».

Romani

Rm 5, 12-17
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.

Genesi

Mentre viene ribadita la bellezza e la bontà della creazione, il racconto delle origini, come chiamiamo questo brano della Genesi, ci ricorda la verità sulla creazione dell’uomo. Egli ha, infuso dentro di sé, lo “Spirito di Dio”, il soffio vitale, quella “somiglianza e immagine” che deve permettere all’uomo di riconoscere le due coordinate fondamentali della vita che non sono in suo possesso: il rispetto della vita e la conoscenza del bene e del male. L’uomo che riceve la vita come dono e che trasmette la vita come collaboratore nella creazione, non è proprietario della vita. Egli è chiamato a rispettare la vita. Così pure l’uomo che ha coscienza per distinguere il bene dal male, non è colui che possiede il criterio ultimo del bene e del male. Vita e conoscenza del bene sono caratteristiche di Dio. L’uomo è chiamato a rispettare la vita e a riconoscere il bene che viene da Dio e il male che gli si oppone. In questo consiste la sua figliolanza che è, al tempo stesso, anche la sua forza di vita. Si comprende così che il peccato è il non rispetto della vita o il volersi sostituire nel discernere ciò che è bene da ciò che è male. Il sovvertimento dei criteri morali, non riconoscendo il bene che è Dio, è la forma tipica del peccato stigmatizzata da tutta la scrittura. Il divieto di “mangiare” dei due alberi, quello della conoscenza del bene e del male e quello della vita, dicono esattamente questo: l’uomo che pure può fare molte cose, che pure è l’apice della creazione, che è immagine e somiglianza di Dio stesso, non è padrone della vita né del bene. E tuttavia la sua vita non è quella di un mero esecutore dei comandi divini: la sua libertà, che è poi la caratteristica che più lo fa assomigliare a Dio, può spaziare in tutto l’ordine della creazione, della quale l’uomo si deve occupare, sempre nel rispetto di Dio.

Vangelo

Se questo è il piano originario, si capisce che il peccato è il non rispetto della vita e del bene che è Dio. Peccato è il volersi sostituire a Dio in queste due direzioni. Come diceva il Vangelo: “chi fa il male odia la luce e non viene alla luce, perché le sue opere non vengano riprovate”. L’opera del peccato, indipendentemente dalla fattispecie che esso assume, è sempre un rinnegare quell’essere immagine e somiglianza di Dio effuso nella coscienza di ogni uomo. Il peccato non vuol venire alla luce per prosperare in quell’ombra di lontananza da Dio nella quale c’è spazio per il non rispetto della vita e per ritenersi i detentori di ogni criterio morale, sovvertendo l’ordine che viene da Dio. Su tutto questo orizzonte di peccato che investe ogni uomo, brilla, però, la grazia di Dio. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”: la risposta di Dio al peccato dell’uomo non è lo sdegno, la punizione, l’abbandono. Al contrario, Dio, sempre fedele alla logica del dono e dell’amore, viene a condividere la vita degli uomini perché a partire da essa si sviluppi quel ritorno a Dio che è sinonimo di conversione. Infatti il progetto di Dio su tutta l’umanità è che “il mondo si salvi attraverso di Lui”, il Figlio primogenito, senza il quale non c’è e non ci può essere salvezza. Il progetto di Dio creatore è, da sempre, un progetto di redenzione. Nella logica del dono, che è la logica che sovraintende tutta la creazione, la logica della redenzione è quella della massima condivisione della vita dell’uomo, l’incarnazione, al fine di permettere a tutti il ritorno nelle sicure braccia di Dio. Per chi capisce questi principi, per chi comprende questo progetto, è segnata la strada: far emergere le proprie opere, perché ogni opera di bene sia fissa in Dio, autore di ogni cosa, fonte di ogni bene che è presente nella vita dell’uomo.

Romani

Il brano più intenso delle scritture di oggi rimane, però, la lettera ai Romani, cuore del pensiero dell’apostolo Paolo.

Paolo sa bene che tutti gli uomini sono peccatori. C’è quella dimensione di peccato, che noi chiamiamo peccato originale, che ingloba tutti gli uomini. È quella radice di male che, al di là delle fattispecie che esso assume, attanaglia tutta l’umanità. Questa è la “solidarietà in Adamo”, cioè la condivisione del peccato che tutti gli uomini vivono. Ma c’è un’altra forza di solidarietà che l’uomo deve considerare: la “solidarietà in Cristo”. Cristo si fa uomo per sposare, per abbracciare tutta quanta l’umanità. Non c’è dimensione di peccato che Cristo non possa affrontare, non c’è fattispecie di peccato che non possa entrare nel suo cuore e suscitare compassione per l’uomo peccatore, non c’è nulla che si possa opporre definitivamente alla sua grazia e al suo desiderio di salvezza per ogni uomo, se non quell’opporsi a riconoscere noi Dio la sorgente della pace, della vita, della morale, di cui noi siamo figli. “il caso del dono non è come il caso del peccato”, argomenta San Paolo. Infatti la potenza del peccato che il Signore Gesù venuto a togliere, quella potenza che tutto può operare dove gli uomini non riconoscono in Dio la sorgente della vita e del bene, nulla può più operare dove si lascia spazio alla grazia di Dio che è superiore a qualsiasi caduta. È per questo che San Paolo poteva concludere: “quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e il dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo di Cristo Gesù”. Come dire: chi fa tesoro della grazia di Dio, anche se il suo passato è pieno di peccati, tutto potrà sperare per la potenza e per la forza di bene che spira dentro di lui. Chi ama Dio tutto può ricevere dalla sua misericordia e dalla sua presenza.

Per tornare all’immagine della Genesi, la grazia del perdono di Dio è quella grazia misteriosa che irriga tutti i punti della terra, è come la potenza di 4 fiumi che irrigano tutto il mondo e fanno germogliare i segni di bene che Dio ha predisposto per ogni tempo e per ogni luogo. Il battezzato non solo ha ricevuto questa grazia di vita, ma è chiamato a farla risplendere nelle sue opere quotidiane. La partecipazione al bene, infatti, genera sempre altro bene.

Per noi

  • Noi rispettiamo la vita? Cosa diciamo sul venire al mondo di un uomo e sull’andarsene da questo mondo di un uomo?
  • Rispettiamo i criteri che anche a noi sono stati dati?

Perché vedete è davvero facile non rispettare il Dio della vita e il rendersi autori della vita e della morte. Sono i grandi temi nei quali rischia di naufragare la nostra esistenza di figli di Dio.

  • Da dove deriviamo i concetti di bene e di male?
  • Siamo davvero disposti a lasciare che sia la fede ad indicarci cosa è bene e cosa non lo è?

Perché vedete, molti hanno come concetto fondamentale il voler decidere quale scala di valori seguire nella vita e, non di rado, ciascuno pensa di farsi la sua scala di valori, in base al proprio sentire, senza domandarsi cosa dice Dio.

  • Cosa dicono di noi le nostre opere?

Perché, vedete, sono le opere a dire cosa c’è nel cuore di un uomo e non le parole! Quali siano i valori di un uomo, lo dice il cuore, lo dice la coscienza, lo dice la fede! cosa dicono di noi le nostre opere? Davvero vogliono venire alla luce come opere di bene o desideriamo stare nascosti perché operiamo il male?

  • Ci sentiamo destinatari di quella grazia di Dio che tutto può nella vita?

Perché, vedete, senza sentire che noi siamo sotto la sua protezione, anche le più belle parole delle Scritture rimangono vuote e senz’anima.

Ecco perché tutti siamo invitati, quest’oggi, a ripetere nella nostra mente, nella nostra coscienza le parole di San Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da mandare a noi il suo figlio unigenito perché noi avessimo la vita”. Ripetiamoci queste parole, lasciamo che scavino nella nostra mente e nel nostro cuore, per essere ricchi della sua presenza spirituale, quella che rende feconda la vita di ogni uomo.

2020-06-19T15:46:37+02:00