Martedì 23 marzo

Settimana della quinta domenica di Quaresima – Martedì

Genesi

41, 1b-40
Lettura del libro della Genesi

In quei giorni. Il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse, e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, salirono dal Nilo altre sette vacche, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco, sette spighe spuntavano da un unico stelo, grosse e belle. Ma, dopo quelle, ecco spuntare altre sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe grosse e piene. Il faraone si svegliò: era stato un sogno. Alla mattina il suo spirito ne era turbato, perciò convocò tutti gli indovini e tutti i saggi dell’Egitto. Il faraone raccontò loro il sogno, ma nessuno sapeva interpretarlo al faraone. [Allora il capo dei coppieri parlò al faraone: «Io devo ricordare oggi le mie colpe. Il faraone si era adirato contro i suoi servi e li aveva messi in carcere nella casa del capo delle guardie, sia me sia il capo dei panettieri. Noi facemmo un sogno nella stessa notte, io e lui; ma avemmo ciascuno un sogno con un proprio significato. C’era là con noi un giovane ebreo, schiavo del capo delle guardie; noi gli raccontammo i nostri sogni ed egli ce li interpretò, dando a ciascuno l’interpretazione del suo sogno. E come egli ci aveva interpretato, così avvenne: io fui reintegrato nella mia carica e l’altro fu impiccato».] Allora il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo; egli si rase, si cambiò gli abiti e si presentò al faraone. Il faraone disse a Giuseppe: «Ho fatto un sogno e nessuno sa interpretarlo; ora io ho sentito dire di te che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo subito». Giuseppe rispose al faraone: «Non io, ma Dio darà la risposta per la salute del faraone!». Allora il faraone raccontò a Giuseppe: [«Nel mio sogno io mi trovavo sulla riva del Nilo. Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche grasse e belle di forma e si misero a pascolare tra i giunchi. E, dopo quelle, ecco salire altre sette vacche deboli, molto brutte di forma e magre; non ne vidi mai di così brutte in tutta la terra d’Egitto. Le vacche magre e brutte divorarono le prime sette vacche, quelle grasse. Queste entrarono nel loro ventre, ma non ci si accorgeva che vi fossero entrate, perché il loro aspetto era brutto come prima. E mi svegliai. Poi vidi nel sogno spuntare da un unico stelo sette spighe, piene e belle. Ma ecco, dopo quelle, spuntavano sette spighe secche, vuote e arse dal vento d’oriente. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe belle.] Ho riferito il sogno agli indovini, ma nessuno sa darmene la spiegazione». Allora Giuseppe disse al faraone: «Il sogno del faraone è uno solo: Dio ha indicato al faraone quello che sta per fare. Le sette vacche belle rappresentano sette anni e le sette spighe belle rappresentano sette anni: si tratta di un unico sogno. Le sette vacche magre e brutte, che salgono dopo quelle, rappresentano sette anni e le sette spighe vuote, arse dal vento d’oriente, rappresentano sette anni: verranno sette anni di carestia. È appunto quel che ho detto al faraone: Dio ha manifestato al faraone quanto sta per fare. Ecco, stanno per venire sette anni in cui ci sarà grande abbondanza in tutta la terra d’Egitto. A questi succederanno sette anni di carestia; si dimenticherà tutta quell’abbondanza nella terra d’Egitto e la carestia consumerà la terra. Non vi sarà più alcuna traccia dell’abbondanza che vi era stata nella terra, a causa della carestia successiva, perché sarà molto dura. Quanto al fatto che il sogno del faraone si è ripetuto due volte, significa che la cosa è decisa da Dio e che Dio si affretta a eseguirla. Il faraone pensi a trovare un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo della terra d’Egitto. Il faraone inoltre proceda a istituire commissari sul territorio, per prelevare un quinto sui prodotti della terra d’Egitto durante i sette anni di abbondanza. Essi raccoglieranno tutti i viveri di queste annate buone che stanno per venire, ammasseranno il grano sotto l’autorità del faraone e lo terranno in deposito nelle città. Questi viveri serviranno di riserva al paese per i sette anni di carestia che verranno nella terra d’Egitto; così il paese non sarà distrutto dalla carestia». La proposta piacque al faraone e a tutti i suoi ministri. Il faraone disse ai ministri: «Potremo trovare un uomo come questo, in cui sia lo spirito di Dio?». E il faraone disse a Giuseppe: «Dal momento che Dio ti ha manifestato tutto questo, non c’è nessuno intelligente e saggio come te. Tu stesso sarai il mio governatore e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più grande di te».

La narrazione di oggi è profondissima e affascinante.

Giuseppe, anche se la liturgia non ci fa leggere questa parte, si è già dedicato con generosità al servizio dell’Egitto, servendo con competenza la casa del capo delle guardie del Faraone. Così come, nella stessa casa, egli ha rispettato la moglie di Potifar, che, invece, lo insidiava. Sappiamo di come questa dedizione sincera e leale al padrone abbia portato Giuseppe in carcere: la ripicca di quella donna fu terribile.

In carcere la seconda esperienza di dedizione agli altri di Giuseppe: egli si mette ad interpretare i sogni degli altri, scoprendo in ciò che gli altri sognano una rivelazione di Dio. È questa fama che gli permette di costruire, ora, la sua fortuna. Giuseppe non solo interpreta i sogni del Faraone, lasciando che egli sappia cosa avverrà, con certezza, durante il suo regno. Giuseppe va ben oltre questo compito, perché, per puro spirito di dedizione al popolo che lo sta ospitando, dice anche quello che il Faraone deve fare, se vuole scampare a quella grande carestia che sta per arrivare. Giuseppe si dedica all’Egitto non solo, quindi, con la vicinanza al Faraone, ma indicando gratuitamente una via di bene per un popolo numerosissimo, la superpotenza di quel tempo. Sono tutti aspetti diversi della dedizione di cui è capace Giuseppe.

Proverbi

Pr 29, 23-26
Lettura del libro dei Proverbi

Figlio mio, l’orgoglio dell’uomo ne provoca l’umiliazione, l’umile di cuore ottiene onori. Chi spartisce con un ladro odia se stesso: egli sente la maledizione, ma non rivela nulla. Chi teme gli uomini si mette in una trappola, ma chi confida nel Signore è al sicuro. Molti ricercano il favore di chi comanda, ma è il Signore che giudica ognuno.

Posizione ribadita anche dal libro dei Proverbi. Chi cerca un facile guadagno, chi si mette “a servizio di un ladro”, come “chi cerca di piacere a chi comanda”, cerca un guadagno personale, ricerca beni per sé. Non certo per tutto il popolo di Dio! L’autore del libro dei Proverbi considera questi progetti di vita fallimentari. Solo chi cerca di piacere al Signore, solo chi cerca di capire che cosa il Signore chiede all’esistenza di ciascuno, diventa capace di quella generosa e gratuita donazione che dice la bellezza e, al tempo stesso, la santità di una vita.

Vangelo

Gv 6, 63b-71
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Gesù riprese: «Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici.

Anche il Vangelo ci illumina, mostrando diversi progetti di vita.

In primo piano, ripetuto per ben due volte, c’è il progetto fallimentare di Giuda. Egli ha iniziato a seguire il Signore sulla via di dedizione da Lui aperta, ma non è in grado di perseverare. Giuda si ferma, si distoglie dal suo cammino spirituale. Preferisce pensare solo a sé stesso, preferisce solo pensare al proprio tornaconto. È un uomo che vuole arricchire sé, e non gli altri.

C’è il riferimento a tutti quei discepoli che hanno iniziato a seguire il Signore ma che hanno deciso, ad un certo punto, di non seguirlo più. Troppo difficile, troppo esigente questo maestro della Galilea. Ciò che richiama e insegna e quella sua morte violenta a cui fa spesso riferimento hanno fatto preoccupare tutti costoro, che hanno così deciso di ritirarsi dalla formazione che Gesù vuole donare a chi lo segue.

C’è il progetto di vita di San Pietro che, evidentemente, deve aver pensato molto dopo il “rimprovero” del Signore che abbiamo ascoltato l’altro giorno. Pietro è tornato alla scuola del Maestro ed ha capito dove sta il suo errore. Per questo non vuole lasciare il Signore e, nonostante le fatiche e gli errori, si dispone a continuare quella ricerca di Dio che passa attraverso la generosa donazione di sé. Percorso che Pietro non ha ancor terminato, per il quale ancora dovrà darsi da fare, eppure percorso affascinante, ricco di novità e di benedizione. Pietro lo percorrerà fino a partecipare a quella promessa di vita eterna che il Signore schiude anche per lui, il discepolo buono che sa seguirlo, anche quando fa fatica a comprendere la sua parola.

Esercizio per la revisione di vita quaresimale

  • So interpretare ciò che il Signore mi chiede e mi rivela per continuare il mio progetto di dedizione agli altri?
  • Cerco di piacere a chi comanda o mi faccio amici tra i poveri utilizzando i miei beni?
  • Continuo a camminare su quella strada che il Signore rivela perché so che porta alla vita eterna, anche quando mi costa adeguarmi alla Parola che il Signore rivela?

Impegno per suscitare la sapienza in noi

Credo che tutti abbiamo molto da imparare da Giuseppe. Abbiamo da imparare, soprattutto, quella gratuità e quel servizio che vanno oltre quello che gli è chiesto. Giuseppe non gioca mai al minimo, è un uomo che opera per il “massimo”, un uomo che non si tira indietro, un uomo che non si mette dei confini per la sua azione. Un uomo che vede, ascolta, decide di dedicarsi agli altri così come il Signore stesso gli diceva. Cerchiamo anche noi di approfittare di quello che ci viene donato e cerchiamo di vivere appieno il senso di ogni dedizione che ci è chiesta o proposta dalla vita. Solo così troveremo quella gioia e quella pace che sono sempre nell’animo di chi si dedica alle cose di Dio. Cerchiamo anche noi di non giocare mai al minimo. Il Signore, infatti, ama chi dona con gioia e chi è generoso nel proprio modo di vivere la sua fede e la sua capacità di servizio.

È questo l’esercizio di sapienza che desideriamo vivere oggi.

2021-03-18T17:13:38+01:00