Settimana della 4 domenica dopo Pentecoste – Mercoledì
Vangelo
Lc 7, 11-17
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Come si fa a dire ad una donna vedova che perde anche il suo unico figlio: “non piangere?”. Quando capita qualche caso del genere non solo siamo noi i primi a piangere, ma siamo anche coloro che invitano ad accogliere quel pianto come una manifestazione di dolore, di amore, di vicinanza, quasi come una preghiera.
Come si fa a dire rivolto ad una bara: “ragazzo dico a te, alzati?”. Sembrano i gesti di un folle, di uno che non ha capito la situazione, di uno che, forse per il dolore, parla ancora a quel ragazzo come se fosse vivo.
Eppure questi gesti sono i gesti di Gesù che si lascia commuovere da quella prematura scomparsa e sa donare a quella donna i segni di quella consolazione che aveva atteso quando aveva perso il marito, o prima di perdere anche quel figlio. Non erano arrivati allora, ma sono giunti adesso. Gesù si mostra amante della vita, attento alla condizione di quella donna che lo provoca a misericordia, uomo che ha a cuore il dolore dell’uomo.
Gesto tanto eclatante che la gente dice: “Dio ha visitato il suo popolo”, ovvero riconosce in quella presenza di Gesù la presenza amica di Dio che trae dalla morte la vita e porta tutti alla gioia e alla salvezza. Sono i gesti di Gesù a parlare della sua misericordia e a dire chi egli sia.
Deuteronomio
Dt 16, 18-20; 17, 8-13
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè disse a tutto Israele: «Ti costituirai giudici e scribi in tutte le città che il Signore, tuo Dio, ti dà, tribù per tribù; essi giudicheranno il popolo con giuste sentenze. Non lederai il diritto, non avrai riguardi personali e non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe le parole dei giusti. La giustizia e solo la giustizia seguirai, per poter vivere e possedere la terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti. Quando in una causa ti sarà troppo difficile decidere tra assassinio e assassinio, tra diritto e diritto, tra percossa e percossa, in cose su cui si litiga nelle tue città, ti alzerai e salirai al luogo che il Signore, tuo Dio, avrà scelto. Andrai dai sacerdoti leviti e dal giudice in carica in quei giorni, li consulterai ed essi ti indicheranno la sentenza da pronunciare. Tu agirai in base a quello che essi ti indicheranno nel luogo che il Signore avrà scelto e avrai cura di fare quanto ti avranno insegnato. Agirai in base alla legge che essi ti avranno insegnato e alla sentenza che ti avranno indicato, senza deviare da quello che ti avranno esposto, né a destra né a sinistra. L’uomo che si comporterà con presunzione e non obbedirà al sacerdote che sta là per servire il Signore, tuo Dio, o al giudice, quell’uomo dovrà morire. Così estirperai il male da Israele. Tutto il popolo verrà a saperlo, ne avrà timore e non agirà più con presunzione».
Anche se la prima lettura di oggi ci sembra molto lontana da noi, il suo insegnamento spirituale è, invece, vicinissimo al nostro modo di sentire. Come si fa a dire, quando due uomini litigano, chi ha ragione? Non è sempre possibile, non è sempre facile, non è sempre permesso. Ecco perché, quando anche il ricorso al giudice risulta infruttuoso, l’antico popolo di Israele era invitato a rivolgersi al sacerdote. Egli non avrebbe certo risolto ciò che nemmeno i giudici erano stati in grado di risolvere con il diritto, ma avrebbe pronunciato una sentenza di fede e avrebbe indicato una via per lodare Dio amante della vita, oltre i conflitti, le separazioni, le divisioni che gli uomini, nella loro insipienza, fanno sorgere. È nel nome del Dio che ama la vita che essi si rivolgeranno ai contendenti, è richiamando la sua benedizione e la sua gloria che essi tenteranno di far tornare alla ragione chi è fonte di divisione. Forse ci rattrista un poco la frase finale della lettura, ma deve essere chiaro l’intento del Primo Testamento: occorre estirpare il male dal popolo di Dio, occorre estirpare il male dalla nazione che Dio si è scelto. Si estirpa il male solo quando uno diventa capace di rispettare la vita, propria e degli altri. Ecco il perché anche di questo finale così duro, tanto che stende su di noi perfino un’ombra di terrore.
Per noi
Non possiamo certo pronunciare parole di vita come Gesù. Non possiamo avere gesti di compassione come quelli del Signore, che è in grado di risollevare una donna affranta ridonandole ciò che aveva di più caro. Quante volte siamo stati accanto a situazioni del genere, quante volte avremmo davvero voluto essere sostegno a casi di questo genere ma, ovviamente, non siamo in grado di compiere quei miracoli che Gesù ha compiuto!
La nostra compassione, in questi casi, deve essere quella di chi si muove alla preghiera, deve essere quella che si esprime con la forza dell’intercessione e della vicinanza umana, del sostegno. Preghiera al Dio della vita e sostegno all’uomo nel dolore. Le due cose insieme. Questo è il comportamento cristiano. Questo è il comportamento di chi ama la vita, la rispetta, la promuove, la difende.
Chiediamo al Signore di farci vivere così, perché è dal nostro comportamento che si comprenderà il nostro amore per la vita, il nostro saper rispettare la legge di Dio, il nostro essere parte di un popolo che attende da Dio ogni consolazione e ogni bene.