Mercoledì 23 settembre

Settimana della 4 domenica dopo il martirio – Mercoledì

Vangelo

Lc 19, 11-27
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Mentre stavano ad ascoltare queste cose, il Signore Gesù disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».

Dopo le due grandi feste che abbiamo celebrato, torniamo al lezionario previsto per questa settimana, quarta dopo il martirio. Il Vangelo di oggi e la lettera di Giacomo vanno in un’unica direzione, che è quella che ci è stata suggerita dall’Arcivescovo per quest’anno e cioè quella di farci comprendere alcuni richiami alla sapienza. Partiamo dai richiami del Vangelo. Anzitutto vediamo il confronto tra i protagonisti della parabola. Ci sono due di loro che hanno sapienza nel mettere a frutto ciò che hanno ricevuto. Non è detto come, ma possiamo supporre che siano uomini che si danno da fare in tutti i modi possibili per vivere bene il rapporto con le cose ma, al tempo stesso, anche il rapporto con il padrone. Sanno che dovranno rendere conto di quello che hanno ricevuto, probabilmente anche temono il padrone e, per questo, sanno mettere a frutto quello che hanno ricevuto. Dall’altro lato c’è l’ultimo servo, quello che non mette a frutto ciò che ha ricevuto. È un uomo pigro, probabilmente anche molto limitato, un uomo che pensa che, nella vita, non occorre darsi tanto da fare, basta conservare le cose così come sono.

Nel finale della parabola abbiamo sentito l’apprezzamento per la prima sapienza, per la sapienza di chi si dà da fare, per la sapienza di chi sa trafficare le cose con cui uno è stato benedetto, la sapienza di chi si sprofonda nelle cose della vita ma con il cuore sempre rivolto verso Dio, la sapienza di chi vive come chi ha da rendere conto della propria esistenza, dei propri talenti, delle proprie capacità.

Giacomo

Gc 3, 13-18
Lettura della lettera di san Giacomo apostolo

Carissimi, chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

Ancora più esplicito è il testo della lettera di San Giacomo, dove abbiamo sentito proprio il confronto tra due sapienze: la sapienza mite, buona, arrendevole di chi vive secondo Cristo e la sapienza cattiva di chi pensa solo a sé e, per questo, diventa duro, litigioso, fonte di divisione tra le persone, suscitatore di contese…

San Giacomo riconosce che anche questa, per alcuni, è sapienza del vivere, ma non esita a dire che è come una sapienza al contrario, una sapienza diabolica, una sapienza “terrestre”, cioè che si oppone a Dio, alla sua rivelazione, alla sua sapienza. Una “non sapienza” che si nutre di menzogne, porta al “disordine e alle cattive azioni”, diceva ancora l’Apostolo. È chiaro che, nella mente dell’apostolo, oltre al confronto tra i due tipi di sapienza, c’è la forte provocazione che egli intende porre ai suoi lettori: che tipo di sapienza intendete sposare? – sottintende Giacomo al suo testo.

Per noi.

Credo che la domanda provocatoria di San Giacomo sia posta anche a ciascuno di noi:

  • Che sapienza intendiamo vivere noi? Che sapienza intendiamo celebrare per la nostra vita? Che sapienza intendiamo sostenere?

Possiamo verificarlo già ora, da come viviamo. Se traffichiamo i talenti che abbiamo ricevuto, se pensiamo che la vita sia un tornare a Dio arricchiti dal bene che possiamo eleggere e sostenere, se pensiamo che la vita sia un tempo nel quale ci diventa possibile aprirci a qualsiasi forma di bene che vediamo alla nostra portata, se siamo pacificatori, suscitatori di collaborazioni, pronti al perdono e favorevoli ad aprire vie di perdono per altri, allora è chiaro che abbiamo quella sapienza di vita cristiana che i due testi ci raccomandano.

Oggi celebriamo anche la memoria di San Pio da Pietrelcina. Tutti conosciamo la sua storia così forte e così aperta ai segni di Dio. È chiaro che la sapienza di San Pio è stata quella di “arrendersi” al Signore che, attraverso di lui operava segni grandi e chiedeva capacità grande di lasciar fare alla sua grande misericordia.

A San Pio chiediamo l’intercessione perché qualche piccolo segno di questa sapienza possa essere anche in noi. A San Pio chiediamo di intercedere per noi, perché tutti possiamo crescere in quella sapienza buona che permette di donare la vita senza riserve al Padre di ogni misericordia.

2020-09-18T19:18:49+02:00