III dopo Pentecoste
Per introdurci
- Che cos’è il peccato originale?
- Che relazione c’è con i peccati personali?
- Perché non ne parliamo mai?
Piccole domande, come al solito, per introdurci nella liturgia della Parola che abbiamo ricevuto, oggi come dono e che non poteva che riguardare il peccato. Se ricordate, infatti, siamo nel tempo dopo Pentecoste e stiamo rileggendo tutta la storia della salvezza. Dopo il tema della creazione ecco affacciarsi il tema del peccato. Con tutte le evidenti difficoltà che porta con sé la prima pagina che abbiamo ascoltato. Essendo un racconto, essa ci induce a pensare alla “storia” del peccato originale, come se fosse una sorta di “favola”, adatta ai primissimi passi del catechismo. Del resto, l’affidarsi al tema dell’evoluzione della creazione, o forme di conoscenza scientifica non meglio precisate, induce molti nell’errore. L’errore che ci porta, poi, a non parlare più del peccato.
Con quale prospettiva, invece, in questa domenica, siamo invitati a riflettere su questo tema? Con la prospettiva della salvezza che ci è stata donata sia dal Vangelo che dalla riflessione di Paolo. Riflessione dalla quale è bene partire.
La Parola di questa domenica
LETTURA Gen 3, 1-20
Lettura del libro della Genesi
In quei giorni. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà». All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!». L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
SALMO Sal 129 (130)
Il Signore è bontà e misericordia.
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica. R
Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore. R
Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora. R
EPISTOLA Rm 5, 18-21
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
VANGELO Mt 1, 20b-24b
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Apparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Romani
“Come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di uno solo si riversa sugli uomini la giustificazione, che dà vita”. Paolo parte da un concetto fondamentale che la teologia esprime così; “la solidarietà in Adamo”. Concetto che intende spiegare che tutti gli uomini sono peccatori. L’uomo, da sempre, non si comporta da “amico” o “alleato” di Dio.
Genesi
A spiegarcelo è, appunto, la genesi, che ci ha ricordato che il peccato altro non è che un uscire dalla relazione con Dio, pieno di conseguenze. Quando l’uomo esce dalla relazione con Dio egli interrompe o, per lo meno, rende difficile la relazione intesa in senso generale. La relazione con gli altri uomini che, purtroppo, comprende anche quella relazione che dovrebbe essere la più bella, la più dolce, la più santa: la relazione d’amore, la relazione tra uomo e donna. Egli interrompe poi la relazione con il creato. Perdendo il Creatore, si perdono anche le relazioni con tutti gli esseri creati da Dio e il mondo, che era stato dato come luogo da custodire, amare e far crescere, diventa il “suolo nemico” che quasi si ribella al lavoro dell’uomo, che lo rende difficile e pieno di difficoltà.
Il peccato “originale”, che significa “delle origini”, cioè qualcosa che è da sempre, da che mondo è mondo, da che uomo è uomo, intende dire questo. L’uomo, pur creato da Dio, pur immagine e somiglianza di Dio, da sempre tende ad uscire da questa relazione. Il peccato originale è, dunque, la prima interruzione della relazione con Dio, che genera tutte le conseguenze che sono state elencate dalla Genesi. Il peccato personale altri non è che un ribadire questa verità. L’uomo, con il proprio peccato, non fa altro che interrompere continuamente e di nuovo questa relazione con Dio che rovina, poi tutti: le relazioni con gli altri uomini e le relazioni con il creato. Come si vede questa concezione biblica nulla ha a che fare con quella riduzione che spesso noi applichiamo ad essa quando parliamo della inevitabilità del male o della sua forza che sembra sfidare quella di Dio stesso. Né, tantomeno, è postulato un principio del male in opposizione a quello di Dio. Il cuore del peccato è sempre una interruzione di una relazione. Dalla luce che la relazione con Dio dovrebbe portare agli uomini, si passa al buio più fitto che è quello che l’uomo sperimenta allontanandosi da Dio.
Vangelo
Alla luce della citazione di San Paolo comprendiamo però anche il Vangelo. È l’opera di uno solo che ci introduce di nuovo nella grazia di Dio, che permette all’uomo di recuperare quella relazione fondamentale che lo costituisce di nuovo signore del creato e custode dell’uomo. L’unico che ricostruisce questa relazione è Gesù Cristo. Ecco perché abbiamo ascoltato il brano dell’annunciazione a Giuseppe che, normalmente, riserviamo al tempo dell’Avvento. La prospettiva attraverso la quale guardare al tema del peccato originale e dei peccati personali è, dunque, questa: quella della rivelazione di Cristo che riporta l’uomo all’origine del progetto di Dio. È la “solidarietà in Cristo” che ci spiega come Cristo porta tutti con sé sul legno della Croce. È il mistero della redenzione che ridona all’uomo la prospettiva di un rapporto con Dio che non sia basata sulla sua volontà, quanto, piuttosto, sulla volontà di salvezza di Dio che interviene per ridonare all’uomo la riconciliazione con il creatore. È da questa solidarietà in Cristo che ritrovano senso e forza tutte le relazioni: quella con Dio, quella con gli uomini, quella con il creato. Non per niente il nome con cui è chiamato Gesù è “Emmanuele”, ovvero Dio con noi, Dio per noi, Dio che restituisce la relazione con tutti e con tutto.
Romani
Così possiamo comprendere la seconda parte della scrittura di San Paolo. “La legge, poi, sopravvenne perché abbondasse la caduta, ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”. Parole che ci aiutano a riflettere ulteriormente. Cosa può fare l’uomo di fronte al peccato? Solo cercare di impedire le realtà peggiori con una legislazione che tenti di arginare la cattiva propensione dell’uomo, la sua cattiva volontà. Questo sforzo della volontà era necessario, ma tuttavia è insufficiente. La “legge”, cioè l’insieme di norme, regole e tradizioni che sono alla base di un’esperienza di fede, non può impedire il peccato! Solo può aiutare e prenderne maggiore consapevolezza. Solo Dio, dal quale viene la “sovrabbondanza” della Grazia che è lo Stesso Cristo Gesù può salvare da questa prospettiva votata solamente alla morte. Ecco il tema vero e proprio della trattazione di Paolo. È la sovrabbondanza della grazia, l’inesauribilità della grazia che continuamente viene effusa sul mondo che rinnova l’uomo. Questa sovrabbondanza di Grazia è Cristo.
Per noi
Il tema del peccato originale, dunque, non è una storia, né una catechesi da ragazzini, ma un modo con il quale la Scrittura ci educa a comprendere che, se si toglie la relazione con Dio, si perde tutto. Se si toglie la relazione con il creatore, si rischia di perdere ogni cosa. Noi lo vediamo bene nel nostro mondo, nella nostra civiltà. Avendo perso la relazione con il Creatore, vediamo assai bene come sono in crisi le relazioni tra gli uomini. Ogni giorno ci sono una serie di notizie che ci spingono in questa direzione per una riflessione sempre più profonda e vera su questi temi. Vediamo altrettanto bene come questa relazione soppressa abbia oppresso il mondo, tanto che noi continuamente ci domandiamo cosa possiamo fare per vivere meglio il rapporto con il creato, cercando di recuperarlo quando è tardi. Ma non vediamo la soluzione. La soluzione è lasciare che la sovrabbondanza della grazia di Cristo operi in noi. Il richiamo delle scritture di questa domenica di inizio estate è, quindi, per una presa di consapevolezza dell’importanza della relazione con Dio. Relazione nella quale, poi, si recupera ogni altro bene e ogni altra relazione. Senza passare da questa strada, non solo il peccato rimane, ma non si recupera alcuna dimensione di vita, di pace, di serenità. Di qui la domanda per noi:
- Cosa facciamo per lasciare che la grazia di Cristo sovrabbondi?
- Come lasciamo che la grazia agisca per il nostro bene?
- Speriamo di recuperare le dimensioni di una più profonda relazione con gli uomini e con il creato con i buoni propositi o con una “legge” o lasciamo che sia la grazia di Dio ad agire in noi?
L’estate che ci sta davanti sia davvero occasione per questa ripresa di uan relazione con il Padre più profonda, vera e reale.
accoGliere un prete
Così possiamo inquadrare l’accoglienza del nuovo sacerdote per la pastorale giovanile? A cosa serve che ci sia un prete nella nostra comunità? A cosa serve che ci venga dato un nuovo sacerdote? Vedete la presenza di un nuovo sacerdote, di per sé, non è in vista in funzione del lavoro pastorale. Non è per aiutare meglio o di più nelle diverse attività che ci sono, ma è perché si ridoni alla relazione con Dio quella forza che è necessario che abbia. La presenza di un sacerdote dice a tutti che se non si instaura una relazione profonda con Dio, davvero è tutto perduto. L’esercizio da fare in questi mesi sia davvero quello dell’accoglienza e della relazione con gli uomini di Dio per custodire la relazione con Dio.
San Pietro
Certamente San Pietro apostolo, che oggi iniziamo a festeggiare, sapeva molto bene tutte queste cose. Lui, peccatore e credente, lui uomo di Dio ma sempre immerso nelle relazioni difficili che portano al peccato, ci aiuterà a comprendere cosa significa essere solidali sì con Adamo ma ancora di più con Cristo. San Pietro Apostolo, del quale ci prepariamo a festeggiare il giorno del martirio, aiuti tutti noi a capire che senza una profonda relazione con Dio, davvero, è tutto perduto. Dove invece, sovrabbonda la sua grazia, tutto ritorna a vantaggio dell’uomo.