Martedì 27 luglio

Settimana della 9 domenica dopo Pentecoste – martedì

Vangelo

Lc 11, 5-8
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono».

Accogliere vuol dire lasciarsi scomodare!

Lo insegna con molta forza il Vangelo di oggi. Certamente al tempo di Gesù avere una visita nel cuore della notte non era una cosa abituale – oggi lo è! – e metteva in discussione il riposo di tutti. Come sapete nella piccola casa del tempo di Gesù normalmente i genitori dormivano su amache i cui capi erano tesi tra una parete e l’altra, mentre i bambini dormivano su stuoie, per terra. Dover aprire ad uno che bussa nella notte, significa svegliare tutti. Ora Gesù immagina la scena di un uomo che accoglie un amico. È un gesto di carità, è un gesto di prossimità. Ma quest’uomo non ha nulla da mettere sotto i denti di colui che è stato accolto. Ecco che si reca da un altro amico, con insistenza, ad elemosinare qualcosa. Certo costui inizia con una certa resistenza: è tardi, bisogna svegliare tutti, è una grande fatica proprio in mezzo alla notte, ma poi, di fronte all’insistenza, cede. È un segno di accoglienza nel cuore, ancor prima che nei gesti e nella propria casa. Gesù si serve di questo esempio per dire che ciò che avviene tra gli uomini per amicizia, è ciò che deve avvenire anche nella fede. Il Signore non domanda altro che questo: essere accolto così, come si accoglie un altro uomo. Anche il Signore comanda di essere accolto prima nel cuore e poi nei gesti concreti che testimoniano questa avvenuta accoglienza.

2 Samuele

2Sam 6, 1-15
Lettura del secondo libro di Samuele

In quei giorni. Davide reclutò di nuovo tutti gli uomini scelti d’Israele, in numero di trentamila. Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per far salire di là l’arca di Dio, sulla quale si proclama il nome del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini. Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadàb che era sul colle; Uzzà e Achio, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo. Mentre conducevano il carro con l’arca di Dio dalla casa di Abinadàb, che stava sul colle, Achio precedeva l’arca. Davide e tutta la casa d’Israele danzavano davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, tamburelli, sistri e cimbali. Giunti all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’arca di Dio e la sostenne, perché i buoi vacillavano. L’ira del Signore si accese contro Uzzà; Dio lo percosse per la sua negligenza ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio. Davide si rattristò per il fatto che il Signore aveva aperto una breccia contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Peres-Uzzà fino ad oggi. Davide in quel giorno ebbe timore del Signore e disse: «Come potrà venire da me l’arca del Signore?». Davide non volle trasferire l’arca del Signore presso di sé nella Città di Davide, ma la fece dirottare in casa di Obed-Edom di Gat. L’arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gae il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa. Ma poi fu detto al re Davide: «Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio». Allora Davide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed- Edom alla Città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno.

Così è anche nella prima lettura. Si tratta di accogliere nientemeno che “l’arca della alleanza”, la cosa più sacra per tutti gli ebrei. C’è chi ha paura: chi può avere in casa propria un oggetto tanto sacro e pensare che ci si possa comportare come sempre? Nessuno vuole compiere questa accoglienza. L’arca di Dio spaventa tutti. Tranne Obed -Edom. Egli, forse obbligato, la accoglie e scopre che questa presenza, invece di incutere timore e terrorizzare, genera benedizione. È per questo motivo che anche Davide, in seguito, decide di venire, di prenderla con sé, di non staccarsi da quella reliquia che è fonte di benedizione per chi crede. Lui che è per eccellenza il benedetto da Dio, scopre che l’accoglienza di quel tabernacolo sarà per lui segno visibile di quella benedizione di Dio che già sta operando nella sua vita. È dall’accoglienza del cuore che si si passa all’accoglienza di questo tabernacolo. Prima Davide accoglie nel cuore questa presenza, poi lascia che questo grande tabernacolo entri anche nella sua casa.

Per noi

Così è anche per noi, sia in riferimento alle cose della fede, sia in riferimento alle cose della vita: prima si accoglie nel cuore e poi si diventa in grado di compiere quelle azioni che sono davvero la condizione unica, vera, grande per vivere bene, per accogliere anche gli altri.

Prima si accoglie una persona nel cuore, si impara a lasciarsi scomodare dalla sua futura presenza, si impara a lasciarsi coinvolgere nel suo mondo, e, poi, si accoglie questa persona fisicamente, nella propria vita, nella propria casa, nel proprio tempo, sapendo che questa accoglienza sconvolgerà il programma di vita che uno si è fatto.

Così è anche nella fede. Quando uno accoglie il Signore nel cuore, poi si lascia scomodare la vita da mille cose. Da quello che la vita offre, da quello che la comunità cristiana propone, da quello di cui qualcuno ha bisogno…

Quando uno ha fede, quando uno medita nella preghiera il segreto dell’accoglienza che il Signore propone, poi non conta in che modo sarà chiesto di accogliere, non conta in quale modalità uno potrà realizzarlo. Conta solo che uno si lasci disturbare dalle cose che lo circondano, per compiere il bene lì dove gli viene concesso. Il contrario sarebbe proprio quel cuore duro che effettivamente in molti abbiamo e che rende ciascuno di noi insensibile ai bisogni e al dolore degli altri. Ma se uno è insensibile a questo richiamo, può dire di avere accolto Dio nel cuore?

Ricordiamoci poi che l’accoglienza di Dio e dei segni della fede, produce sempre benedizione su benedizione. Impariamolo anche noi. Chi accoglie Dio, dovrà poi lasciarsi disturbare da mille altre forme di accoglienza, ma avrà benedizione su benedizione.

Ed è questo, alla fine, ciò che conta!

2021-07-23T10:44:17+02:00