III giorno dell’ottava natalizia,
S. Giovanni, apostolo ed evangelista.
L’ottava del Natale vuole mettere, attorno alla culla di Gesù bambino, alcuni testimoni, alcune figure di Santi che aiutano la contemplazione della sacra culla. Ieri abbiamo visto Santo Stefano, oggi San Giovanni Evangelista.
Lettera di Giovanni
Gv 1, 1-10
Lettura della prima lettera di san Giovanni apostolo
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena. Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna.
Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato. Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi.
Vorrei che anzitutto sentissimo la forza della tenerezza di San Giovanni, la forza della delicatezza nel descrivere ciò che egli ricorda dell’esperienza viva di Cristo che egli ha fatto. Non era presente nel vero Natale di Cristo. Lo avrebbe conosciuto circa 30 anni dopo, ma sentite cosa scrive: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che le nostre mani toccarono, ossia il Verbo della vita”. San Giovanni sa di avere fatto un’esperienza unica, singolare, data solo agli apostoli: toccare il Verbo della vita. Esperienza dolce, esperienza forte, esperienza singolare. Giovanni ricorda questo della sua esperienza di Cristo. È la forza di fede che gli viene dalla contemplazione del crocifisso, è la forza della fede che gli viene dall’essere stato davanti alla Croce, è la forza della contemplazione con cui ha cercato di vedere molti momenti della vita di Cristo. È la tenerezza che suggerisce anche a noi che stiamo vivendo i giorni dell’ottava di Natale. Giovanni ci dice che, di fronte alla culla di Gesù bambino, si sta così, con l’atteggiamento spirituale di chi vuole contemplare il Verbo della vita, con l’atteggiamento spirituale di chi vuole quasi toccare la sua carne, udire le sue parole. Esperienze non possibili nella fisicità della realtà, come, invece, lo fu per Giovanni, colui che riposò sul petto del Signore, ma possibili nella forza dello spirito che rende vera ogni contemplazione, anche quella di chi, secoli dopo, vuole essere quel seguace della dottrina di Cristo, come abbiamo detto ieri citando sant’Ambrogio.
Perché questa esperienza? San Giovanni ci dice chiaramente: perché essa genera comunione. Cosa ricorda San Giovanni dei suoi giorni con Cristo? Cosa ricorda della sua vita accanto a Cristo? Ricorda la comunione che nacque con lui. Quella comunione forte, unica, singolare, intensissima per la quale San Giovanni crebbe nella fede. Quella comunione con Dio che si trasformò anche in comunione con altri uomini: gli apostoli che fecero la sua stessa esperienza. Quella comunione che fu il primo nucleo di quella che sarebbe poi diventata la Chiesa. San Giovanni ci sta dicendo che non è possibile un’autentica esperienza di Cristo, se non nella comunione. Come il Natale è la festa della comunione di Dio con gli uomini, così oggi non è possibile adorare Cristo se non nella comunione con quegli uomini che compongono la sua chiesa. In altre parole Giovanni ci sta dicendo che quell’esperienza unica, singolare, irripetibile che egli potè fare toccando il corpo di Cristo, ascoltando la sua voce, rimanendo con Lui, oggi è possibile solo nella chiesa, che venera la sua parola, consacra e si nutre del suo corpo, cerca di portare nel mondo il medesimo sentimento di amore che Cristo ebbe a portare, per tutti, sulla terra.
Questa esperienza di comunione, ci dice infine l’apostolo, è per la remissione del peccato. Contemplare la presenza di Cristo tra noi, contemplare la sua presenza di risorto nella chiesa, facendo memoria degli altri eventi della sua vita, è perché noi tutti possiamo sempre avere chiara la dimensione di redenzione che è il cuore dell’esperienza cristiana, il cuore della stessa rivelazione. Fare esperienza del natale di Cristo è, dunque, fare esperienza della sua vicinanza e della sua presenza come redentore, come cantiamo anche nei canti di Natale.
Vangelo
Gv 21, 19c-24
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Pietro: «Seguimi». Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
Così come ancora l’apostolo, nel Vangelo, ricorda uno dei suoi scontri con Pietro. Entrambi fecero la medesima esperienza, eppure fu esperienza diversa, perché singolare, perché personale. La medesima esperienza generò vocazioni diverse: in Pietro l’esperienza di Cristo generò la vocazione di essere il punto di unione delle vocazioni e la guida visibile della chiesa; in Giovanni l’esperienza di Cristo divenne esperienza di Vangelo per portare alle genti l’annuncio della risurrezione e per invitare tutti alla contemplazione dei grandi eventi della vita di Cristo. Dalla medesima esperienza e nella comunione di tutti, nascono esperienze diverse e modi diversi di vivere un’unica fede.
Per Noi
La festa di San Giovanni evangelista ci sta dunque dicendo che è così anche per noi: nella comunione dell’unica chiesa, nascono diverse esperienze, e diversi modi di vivere la fede e di dare gloria al Padre. Così lo scopo di questo giorno dell’ottava è quello di farci chiedere:
Che esperienza di Cristo stiamo facendo?
Che esperienza di fede vogliamo testimoniare?
Nella comunione dell’unica Chiesa, qual’è il ruolo che spetta a me?
Continui la nostra contemplazione di Gesù bambino, per farci chiedere cosa possiamo fare per vivere bene quella chiamata alla fede che anche noi abbiamo ricevuto e che deve caratterizzare ogni nostra giornata.
E così sia.