4 domenica dopo l’Epifania – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Per introdurci
Animati da indicibile speranza, perché la vita ci sorprende.
Potrebbe essere questa la sintesi tra i due slogan per le giornate che celebriamo: la festa della famiglia e la festa della vita, senza dimenticare che, essendo la domenica più prossima al 26 gennaio, oggi vogliamo anche a livello religioso e in preghiera non dimenticare la “giornata della memoria” e, quindi, stringerci tutti attorno al Signore anche ricordando il nostro passato più recente con tutto il carico di dolore, di morte, di odio, di fanatismo, di esclusione che vorremmo tutti avere abbandonato e che, purtroppo, la cronaca di ogni giorno ci segnala come male presente nel mondo ancora oggi.
La Parola di Dio
LETTURA Is 45, 14-17
Lettura del profeta Isaia
Così dice il Signore: «Le ricchezze d’Egitto e le merci dell’Etiopia e i Sebei dall’alta statura passeranno a te, saranno tuoi; ti seguiranno in catene, si prostreranno davanti a te, ti diranno supplicanti: “Solo in te è Dio; non ce n’è altri, non esistono altri dèi”». Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore. Saranno confusi e svergognati quanti s’infuriano contro di lui; se ne andranno con vergogna quelli che fabbricano idoli. Israele sarà salvato dal Signore con salvezza eterna. Non sarete confusi né svergognati nei secoli, per sempre.
SALMO Sal 83 (84)
Beato chi abita la tua casa, Signore.
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente. R
Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio. R
Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore. R
EPISTOLA Eb 2, 11-17
Lettera agli Ebrei
Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; e ancora: «Io metterò la mia fiducia in lui»; e inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato». Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
VANGELO Lc 2, 41-52
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. I genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Vangelo
Anzitutto immergiamoci nel Vangelo. ad essere animata da una incredibile speranza è, anzitutto la Santa Famiglia, dove Dio si nasconde per circa 30 anni. Nella prima lettura il profeta ci ricordava che Dio è il “Dio che si nasconde”. Non perché Dio non voglia farsi vedere, né, tantomeno, perché non voglia farsi trovare da coloro che lo cercano. Al contrario, Dio si mette sulle tracce di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che lo cercano e che lo desiderano, ma si nasconde tra le esperienze comuni degli uomini, come è l’esperienza di famiglia.
Nascosto nell’esperienza di vita di una famiglia, quella di Giuseppe e di Maria, Gesù infonde entrambe le realtà sulle quali noi oggi siamo inviati a riflettere: il gusto per la vita e il seme della speranza.
Il gusto per la vita. Gesù infonde, anzitutto, questo gusto, in ogni esperienza a cui partecipa: si commuove per le giornate che trascorre, sa lodare Dio per le piccole cose di ogni giorno, si commuove per i malati che incontra, guarisce, accompagna, sa lodare Dio per la forza di vita che è presente in molte mamme e papà disperati che incontra sul suo cammino. Tutte le pagine del Vangelo trasudano della narrazione del gusto per la vita che Gesù vive e che Gesù suscita in coloro che incontra, anche nelle persone più disperate, anche nelle esperienze più tragiche come la malattia e la morte.
In questo senso potremmo dire che Gesù è anche un testimone di speranza del tutto singolare. Anzitutto perché è la speranza di Maria e di Giuseppe, che hanno accompagnato i giorni della sua vita. In secondo luogo, perché Gesù suscita la speranza in coloro che lo incontrano, in coloro che lo ascoltano, in coloro che hanno visto le sue opere. Gesù infonde speranza in tutte le famiglie specie in quelle che ha accostato nelle circostanze più tristi della vita, indicando nella fiducia del Padre e nella speranza delle risurrezione la chiave per non smettere mai di sperare, per continuare la vita anche quando diventa una lotta, per non perdere mai il seme della speranza, anche quando tutto direbbe il contrario.
È la frase del Vangelo che abbiamo ascoltato oggi a tenere insieme e a indicare queste due prospettive della vita del Signore: “occuparsi delle cose del Padre”. Chi si occupa delle cose del Padre vive una vita di speranza, vive una vita che sa riconoscere e sa gioire per tutte le cose belle e buone dell’esperienza quotidiana. Chi si occupa delle cose del Padre vive una vita di cielo, perché partecipa della stessa dimensione di vita di Dio.
Cosa significa, per Gesù, occuparsi delle cose del Padre? Il contesto del Vangelo ce lo dice molto chiaramente, nel dialogo con i dottori della legge, in questo esame di maturità nella fede al quale Gesù si sottopone. Cuore di questo esame è la conoscenza della scrittura, la conoscenza del mistero di Dio. Gesù insegna questa verità: chi si occupa delle cose del Padre, cioè chi cerca di conoscere il mistero di Dio che si rivela nelle esperienze nascoste della vita, impara a gustare delle piccole cose dell’esistenza e impara a vivere di speranza: quella dell’incontro con Dio Padre al termine dei propri giorni. Dunque potremmo dire che Gesù indica la via della fede come via maestra per gustare la bellezza delle piccole cose della vita e per crescere animati dalla speranza.
In questo modo si adempie anche ciò che abbiamo sentito nella seconda scrittura di oggi, l’Epistola, che ci ha ricordato che Dio si prende cura della stirpe di Adamo, cioè di ogni uomo e di ogni donna che sono sulla terra. In molti modi diversi e personali Dio si prende cura di tutti. In sintesi, però, Dio si prende cura di ciascuno proprio nella rivelazione del Signore Gesù. Nel suo essere amante della vita e nel suo essere suscitatore di speranza, Dio dimostra di prendersi cura di ciascuno. Così che ogni uomo che è amato dal gusto della vita diventa anche testimone di speranza e rivelazione della presenza di Dio, ogni giorno, tra gli uomini. Anzi, Gesù stesso suscita tra gli uomini testimoni di speranza e amanti della vita, che sappiano essere piccoli rivelatori del Vangelo nel suo nome e per la sua gloria.
Per il nostro cammino
Credo che queste provocazioni si addicano perfettamente a noi.
- Siamo amanti della vita? Siamo pieni del gusto di vivere?
Per la verità credo che la maggior parte delle persone si sentano più oberate da pesi che amanti della vita e che riescano a fare qualche esperienza simile a quella del Signore che sa commuoversi per le cose di goni giorno, solo quando si trovano in contesti di vita fuori dall’ordinario. Gesù, invece, ha goduto delle cose più ordinarie della vita nei contesti più quotidiani dell’esistenza e ci insegna a fare altrettanto. Se vogliamo imparare la lezione del Vangelo di oggi, abbiamo anzitutto bisogno di fare questo: impariamo a godere dei contesti di vita quotidiani nei quali siamo immersi. Impariamo a saper gioire per le cose di ogni giorno. Impariamo a valorizzare le piccole cose dell’esistenza, in ogni loro aspetto, sapendo che è da queste che passa quella piccola via di gioia che può coinvolgere ciascuno di noi ed essere contagiosa per tutti coloro che incontriamo.
- Siamo suscitatori di speranza perché per primi contagiati dalla speranza?
Questo dovrebbe essere un tratto distintivo del cristiano. Proprio perché il cristiano crede nella risurrezione di Cristo, il credente guarda ogni realtà, anche quella più buia, anche quella più nera, animato da questa invincibile speranza. Anche a questo proposito mi pare di incontrare più gente che sia disperata o che abbia una speranza molto flebile che non credenti animati dalla speranza della risurrezione e che, per questo, sanno vivere bene ogni giorno della loro esistenza. Credo che tutti dovremmo sostare su questi concetti, per capire bene che più amiamo la nostra vita, più amiamo tutte le esperienze che in essa facciamo, più saremo sostenuti dalla speranza cristiana e diventeremo sempre più suscitatori della speranza cristiana.
Mi pare poi che ci sia chiesto di amare queste esperienze particolari nelle quali essere anche testimoni di speranza.
La famiglia. Anzitutto la realtà bellissima e, oggi, fragilissima della famiglia. Nel mondo in cui siamo mi pare che i credenti si continuano a chiedere quale famiglia sia quella da sostenere, mentre tutto, intorno a noi, diventa per lo meno confuso. Credo che la testimonianza da dare, animati dal Vangelo, sia quella della famiglia fondata sul matrimonio, tra un uomo ed una donna, aperta alla vita, luogo dell’impegno, sede della speranza. Questa è l’idea della famiglia evangelica. Non è certo l’idea di moda oggi, ma, a noi deve importare più la conformità al Vangelo che non l’assecondare le mode. Questa forza viene a noi propriamente dall’Eucarestia. È la forza della presenza del Signore che ci spinge a sostenere i valori del Vangelo. E’ la forza della presenza del Signore che ci dona la capacità di dialogare con tutte le altre idee, che vanno sempre rispettate, ma diventando anche capaci di dire qual è la bellezza della famiglia cristiana, quale forza la anima, quale bene è visibile in essa. È proprio per questo che anche le giornate eucaristiche che vivremo in settimana saranno animate da una riflessione sul tema dell’amore, così come emerge dal Vangelo.
L’amore. L’altro tema per il quale vale la pena spendersi e per il quale stiamo proponendo tanto come comunità cristiana è proprio quello dell’amore. Anche su questo tema credo che il primo nostro compito sia quello di riempirci dei valori del Vangelo per essere, poi, testimoni di quella bellezza e di quella tenerezza che il Signore ha rivelato nel corso di tutta la sua vita. Anche su questo tema non sono poche le confusioni o i disordini personali, sociali, comunitari, che viviamo. È solo immergendoci nel vangelo, ovvero nel contatto con il Signore, che noi potremo ritrovare noi stessi, la nostra umanità e, quindi, far brillare quella verità per la quale noi stessi siamo stati creati. Verità che non si possiede, verità che è Dio che si nasconde, come abbiamo ascoltato dalla scrittura, e che, quindi, è necessario cercare per tutta la vita, prima di poter essere immersi nel mistero, quando cesserà l’invincibile speranza che deve tenerci desti ora, nel corso dei nostri giorni.
La pace. Anche questo terzo tema mi sembra un tema sensibile e a proposito del quale esistono non poche confusioni. È su questo tema che si esercita la speranza cristiana, è su questo tema che si esercita quel contino tendere all’amore di Dio che rende bello ogni giorno, anche quando manca la pace. In quest’ottica vorrei che vivessimo, da cristiani, anche il giorno della memoria. Non bastano gli slogan, non basta il ricordo, non è possibile fare finta di niente, quasi che la memoria ci portasse, addirittura, noia per questi temi. Il cristiano non accetterà mai una cosa del genere. Piuttosto, facendo memoria delle cose del passato, cerca come vivere più approfonditamente il Vangelo, per essere, dove può e dove gli è dato di vivere, testimone credibile di quella speranza che lo abita. Come sono stati abitati dalla speranza moltissimi di coloro che vissero quei giorni terribili, penso a San Massimiliano Maria Kolbe, penso a Suor Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, penso a Salvo d’Acquisto che sopportarono anche il loro martirio proprio perché animati dalla speranza e dal gusto della vita.
Impariamo, dunque, ad essere nelle cose del Padre per avere lo stesso gusto della vita. Saremo sempre più nelle cose del Padre se impareremo ad amare, e ad immergerci nel mistero Eucaristico che celebriamo con solennità in questi giorni, come anche in questa celebrazione, segno di speranza già per questa giornata.