II Domenica di Quaresima o “della Samaritana”.
La sapienza di chi lotta contro le passioni è il secondo dei grandi segni di sapienza che vogliamo raccogliere in questa quaresima verso una Pasqua “nuova” come ci dice e ci chiede il nostro Arcivescovo.
- Cosa vuol dire “lottare contro le passioni”?
- Oggi ha ancora senso impegnarsi per quella che è stata una forma di sapienza del passato ma che, certamente, non lo è oggi?
- Perché mortificarci?
- Perché parlare di queste cose quando nessuno, nemmeno la Chiesa, ne parla più?
Deuteronomio
Dt 5, 1-2. 6-21
Lettura del libro del Deuteronomio
In quei giorni. Mosè convocò tutto Israele e disse loro: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in pratica. Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. Non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato. Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo. Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”».
Efesini
Ef 4, 1-7
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.
Vangelo
Gv 4, 5-42
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Vangelo
L’ispirazione mi viene dalla Samaritana, questa donna sulla quale è stato detto moltissimo e che il Vangelo caratterizza per quello che è: una donna priva di affetto. “Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito”, le dice il Signore nel colloquio che le riserva al pozzo. Segno non di un rimprovero, ma un aiuto a leggere una situazione difficile. Probabilmente la Samaritana non è stata in grado di amare gli uomini a cui si è accompagnata, ma è certamente vero che nessuno di questi 6 uomini ha amato lei. La situazione della Samaritana si definisce, quindi, come la situazione di una donna che, non sapendo lottare contro le passioni e desiderosa di uscire dalla solitudine, si accompagna a chi capita per il tempo che si riesce. Una posizione molto moderna, se vogliamo: la posizione di chi preferisce non impegnarsi e godere di quello che la vita riserva, magari, anche, accontentandosi di una non progettualità per il futuro e di una insistenza solo sul tempo presente.
La situazione sentimentale della Samaritana interessa Gesù che, tuttavia, non si ferma solo su di essa, ma sposta l’accento dell’attenzione sulla fede della donna. È il lungo brano del Vangelo riservato alla diatriba sulla domanda: “dove bisogna adorare Dio?” e sulla risposta definitiva del Signore Gesù: “i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità”. Dialogo e, soprattutto, insegnamento del Signore che dice a tutti che la morale non può stare in piedi se non si basa su una fede profonda. Fede profonda non è quella del ritualismo, con quella pretesa tutta giudaica di adorare Dio solo in Gerusalemme, nel tempio. Nemmeno però si radica nella modernità di culti idolatrici, ovvero quelle espressioni religiose che erano tipiche dei samaritani che adoravano diversi dei sui 5 monti che circondano Samaria. Il Signore ha una proposta diversa: “adorare Dio nel cuore”, che significa non crearsi idoli di nessun genere, ma cercare atteggiamenti del cuore che dicano la capacità di rivolgersi a Dio e non essere attenti solamente alle cose della vita o incentrati solamente sui problemi dell’esistenza. È questo il vero “peccato”, se vogliamo, della Samaritana. La sua concentrazione è stata solo per le cose della vita, la sua attenzione è stata solamente quella per le cose dell’esistenza, ed eccola, ora, ridotta alla solitudine, mentre si accompagna ad un uomo che non la ama e che non placherà mai la sua sete di amore. Solo il Cristo farà questo, lui, il “settimo uomo”, quello della pienezza, che ama gratuitamente questa donna e che la indirizza verso il Padre. Solo nell’adesione alla fede recupererà quella capacità di amare che le è stata, fin ora, negata. Insegnamento delicato e profondo che insegna alla donna ma anche a tutti noi che solo nella costante ricerca di Dio si trova anche ciò che umanamente conta sopra ogni altra cosa: l’amore. Quell’amore che non è fatto di passioni ma di verità; quell’amore che non è fatto solo di complicità ma piuttosto di attese; quell’amore che è segno e rimando a ben altro amore: l’amore di Dio per ogni uomo.
Deuteronomio
Così come era contenuto nel deuteronomio. La seconda tavola dei comandamenti è consecutiva alla prima, non si può fondare nessun aspetto della morale, né quello della famiglia, né quello etico economico, né quello affettivo-sessuale, né il discernimento costante degli affetti, se non nella prima tavola, quella dell’amore di Dio. Quell’amore che è ricerca del suo nome, che è rispetto del suo tempo, del suo giorno, quell’amore che è invocazione di preghiera e non certo imprecazione sterile.
È in questa profonda radice che trova anche origine quel comandamento, sesto nell’ordine: “non commetterai adulterio”, lapidario nella sua formulazione e, di per sé, diretto a proteggere ogni famiglia. Comandamento che si deve però accompagnare al nono: “non desidererai la moglie del tuo prossimo, non bramerai…”, comandamenti che lasciano ampiamente intendere quello che il Signore Gesù specificherà nel discorso della montagna: “chi guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5, 28). Comandamento che insegna quel dominio delle passioni che Gesù esplicita nel discorso della montagna e nel dialogo con la samaritana.
Efesini
“Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto”, diceva San Paolo nella seconda lettura, insegnando così che c’è un continuo discernimento degli affetti al quale occorre provvedere, c’è un continuo rimando alla capacità di controllo dei sentimenti e delle pulsioni che il cristiano compie non già come sforzo eroico e titanico della volontà, ma piuttosto come frutto del proprio cammino spirituale e rimane come risultato non del proprio eroismo di contenimento ma della grazia di Dio effusa nei cuori. “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo il dono di Cristo”, continuava poi l’apostolo, insegnando così che è la grazia del battesimo ad agire in ciascuno di noi se noi la assecondiamo. È questa grazia del Battesimo che porta l’ordine dei sentimenti e la chiarezza di ciò che occorre desiderare non già per sottostare ad una legge ma per giungere a quella felicità che nasce dalla fede. “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”: è questa la verità che conduce il credente alla gioia, alla pace degli affetti, alla stabilità della vita che non si trova altro che qui, nel fondamento della fede.
Spunti per una proposta spirituale di Sapienza
Le riflessioni della Parola, come sempre, vengono consegnate a noi, ci provocano molto da vicino in questa seconda domenica di quaresima, dal momento che la sapienza della custodia degli affetti, la sapienza della lotta contro le passioni, non ci appartiene per niente.
Viviamo infatti in un mondo che, avendo perso il senso di Dio ha reso lecito tutto. Specialmente nel campo dell’affettività e della sessualità, come vediamo bene nei risvolti più comuni della vita sociale del nostro mondo. Come diceva Dante, siamo giunti a rendere “licito” (lecito legalmente parlando), ciò che è “libido” (libidine, sessualità sregolata e priva di sentimento), tanto che noi riteniamo sostenibile tutto ciò che non lede il diritto di una persona.
È in questo panorama, che avvolge specialmente la vita dei nostri giovani come del resto anche la nostra, che occorre recuperare quella dimensione di sapienza che è la lotta contro le passioni.
Che cosa è la “lotta contro le passioni”? Per come si sono espressi i padri del deserto, essa è la lotta contro quella macchinazione della mente che parte, certo, da una pulsione, da un desiderio che si avverte, ma che prende poi ogni aspetto della razionalità e della coscienza e diventa, appunto, macchinazione verso il male, programmata cupidigia per realizzare uno scopo. È proprio qui che si annida il male e il peccato, nel passaggio da quella che è una pulsione, provata anche inconsciamente dal corpo, alla macchinazione della mente e del cuore. È quello che noi vediamo tutti i giorni nei fatti di cronaca che entrano nelle nostre case. Si tratta allora di una decisione della volontà, alimentata dalla passione, verso la quale ci si orienta coscientemente e liberamente. Abbiamo tutti gli elementi del peccato: una libera decisione per qualcosa che è male, alla quale si acconsente. Non è un male in sé il provare una passione, che nasce per 1000 cose della vita: piuttosto è male quella macchinazione malvagia che ne consegue e alla quale si pone rimedio solamente con la lotta.
Lotta dello Spirito, che, come dice il Signore, per essere pronto mentre la carne è debole, deve nutrirsi di preghiera e di quel digiuno sul quale già abbiamo riflettuto la settimana scorsa. La lotta contro le passioni è quel procedimento della fede che, attingendo dalla preghiera, mi porta sempre a chiedermi: cosa è vero, cosa è giusto, cosa è bene? Questa domanda, fatta nel contesto della relazione con Dio, come ha suggerito il vangelo, porta alla riscoperta dei valori fondamentali della fede, i comandamenti che abbiamo riletto nella prima lettura, e alla scoperta della novità di vita della vocazione battesimale di cui ci ha parlato San Paolo.
La sapienza di chi lotta contro le passioni non è, quindi, l’atteggiamento sterile di chi pretende di piegare i sentimenti alla volontà: questo sforzo di continenza non sarà inutile, ma non credo che giungerà al fine che si cerca e nel quale si spera. Non è la negazione del desiderio che produce la santità quanto piuttosto l’educazione del desiderio e il discernimento su di esso alla luce della fede. Lotta contro le passioni e raggiunge la sapienza chi non vive solo di passioni, chi non asseconda incondizionatamente tutti i propri desideri, ma li vaglia alla luce della fede e della Parola di Dio. È questa una seconda forma di sapienza che siamo chiamati a vivere.
In particolare mi rivolgo ai giovani, che vivono più da vicino il fascino di richiami non sempre onesti ma che hanno nel cuore una vera capacità di amare. A voi giovani raccomando di fermarvi a riflettere, di lasciare che il Vangelo vi illumini e che ci sia una capacità di interrogarvi alla luce del Vangelo che vale più di qualsiasi altra cosa.
Le otto figlie della lussuria
Solo così si possono evitare quelle otto figlie della lussuria che san Gregorio Magno, un papa che ha vissuto in tempi di decadimento morale molto simili al nostro, aveva già enucleato: “accanimento della mente; irriflessione; incontinenza; precipitazione; amore di sé; odio di Dio, attaccamento al mondo presente e disperazione di quello futuro”. Tutte cose che noi vediamo nel nostro mondo. Tutti gli esempi di mancata vigilanza e di mancata sapienza che potremmo suscitare sul tema, si riconducono esattamente a queste fattispecie. C’è gente accanita nella mente, fissata, malata ; amante solo della propria “bella” vita; incapace di riflettere sulle cose; incapace di contenersi e di dare un limite ai propri desideri e pulsioni; tutta concentrata sul presente e mai appassionata dell’eternità. È proprio solo il pensiero di Dio e dell’eternità beata, come diceva Gesù nel Vangelo, che può sostenere una scelta morale e un desiderio di incamminarci verso quella Verità di Dio che sostiene il cammino dell’uomo anche nell’educazione dei sentimenti e degli affetti che ciascuno è chiamato a compiere.
Provocazioni di Sapienza
- Come potrò accogliere la sapienza di educazione degli affetti che mi viene proposta?
- Come potrò lottare contro le mie passioni?
Dedichiamo questa settimana a questo tema, profondissimo e bello che potrà essere un vero banco di prova della nostra quaresima e del nostro desiderio di seguire Dio con un cammino intenso, rinnovatore e vero.