Domenica delle Palme
La sapienza di chi digiuna, quella di chi lotta contro le passioni, quella di chi vive gesti di perdono e di riconciliazione; la sapienza di chi si lascia illuminare dalla parola di Dio e quella di chi vive di dedizione, culminano nell’ultimo atteggiamento sapienziale che vorrei suggerire per vivere bene i giorni di questa settimana autentica che, più comunemente, chiamiamo santa: la sapienza di chi fa festa.
- Cosa significa per noi fare festa?
- In che senso possiamo riferirci alla Pasqua?
- Quest’anno così particolare abbiamo davvero qualcosa da festeggiare?
Sembra, infatti, che ci manchino i segni più tipici della festa. Avremmo una gran voglia di uscire, spostarci, ritrovarci, abbracciarci, visitare coloro che non vediamo da tempo. Tutti segni di festa, per noi, ma che ancora ci sono preclusi. Cosa ci dicono le scritture?
Isaia
Is 52, 13 – 53, 12
Lettura del profeta Isaia
Così dice il Signore Dio: «Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli».
Ebrei
Eb 12, 1b-3
Lettera agli Ebrei
Fratelli, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
Vangelo
Gv 11, 55 – 12, 11
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo. Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Vangelo
Stupiscono le diverse sapienze che si incontrano nel Vangelo.
La sapienza dei farisei e dei capi dei sacerdoti. Facciamo presto a criticarli, a caricarli di una colpa grave per un complotto contro il Signore. Queste persone, però, volevano vivere secondo la loro sapienza: la sapienza della retribuzione: chi non è per noi è contro di noi. La sapienza di chi non vuole incontrare il nemico ma lo vuole uccidere, la sapienza della difesa. Perfino una sapienza di fede: la difesa del tempio, delle tradizioni, dei costumi. È la falsa sapienza di chi pretende di sapere senza mettersi in gioco.
La sapienza di Marta, la sapienza della donna della dedizione, come abbiamo detto la scorsa settimana, la sapienza di una donna che invita ancora Gesù nella sua casa, la sapienza di una donna che continua ad offrire ospitalità, organizzare pranzi, senza più lamentarsi di essere sola a servire. Nella sua sapienza c’è un ulteriore gesto di dedizione, perché lei ha capito che solo una vita che si dona, serve. Solo una vita nella quale si serve, fa crescere quella dimensione di pace a cui tutti aneliamo. È la sapienza di chi fa festa.
La sapienza di Maria, la sapienza della donna che loda il Signore. Lei sa che il Signore le ha donato la sua parola, Lui che non si era opposto al suo atteggiamento di ascolto, tipico degli uomini e che le sarebbe stato precluso, in linea logica e che, invece, lei ha ottenuto sfidando tutto e tutti e ottenendo una lode dal Signore. Lei sa anche che il Signore le ha appena ridonato quel suo fratello attorno al quale ruota anche la sua vita. Che cosa fare per ricambiare tanto amore, tanta attenzione? Donare. Donare quello che si ha di più prezioso. Un olio profumato, che aveva preso per la sepoltura, spendendo, lei che poteva, quanto il salario di un operaio di un anno. Perché trattenere? È la sapienza di chi loda, è la sapienza di chi ringrazia, è la sapienza di chi fa festa.
C’è, perfino, la presunta sapienza di Giuda. Giuda che pensa di opporre alla lode la carità, Giuda che rimprovera questa donna accusandola di spreco. “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”. È la falsa sapienza di chi ritiene che servire gli altri sia solo offrire ristori materiali. È la falsa sapienza di chi pensa che ci sia opposizione tra la lode a Dio e il servizio ai fratelli. È la falsa sapienza di chi vorrebbe quantificare ogni cosa, monetizzare ogni possibile donazione. È la falsa sapienza di chi ha sempre qualcosa da opporre, di chi pensa sempre di sapere di più degli altri. È la falsa sapienza di chi, di fatto, non partecipa alla festa.
La sapienza di Gesù, la sapienza del figlio di Dio, che sa bene cosa accadrà di lì a pochi giorni. Sa bene che quella festa di Betania, quell’ultimo squarcio di serenità della sua vita, quell’ultimo momento di amicizia, comprensione, intimità con gli uomini non è la vera festa. Essa è rimandata di qualche giorno e sarà il momento della sua morte, il momento della sua Croce, il momento nel quale agli iniqui sarà dato di gioire, mentre i giusti comprenderanno che la sapienza del Signore si è fatta spogliazione fino alla morte, dono di sé fino alla fine. Questo è ciò che attende Gesù, questo è ciò che Egli abbraccia.
Isaia
Così è anche nella prima lettura che abbiamo ascoltato. Il carme del servo, uno di quei componimenti – gli altri li ascolteremo proprio nella liturgia del venerdì santo – che ricorda che il servo del Signore è l’uomo della sofferenza, l’uomo del dolore, l’uomo che carica su di sè il peccato di tutti per essere il principio della redenzione di tutti. “Disprezzato dagli uomini… era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Quando offrirà sé stesso in sacrificio di riparazione avrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore”. Sono parole che stridono fortemente con il senso di festa che abbiamo tutti noi, sono parole dure, parole difficili. Sono parole che ci ricordano che per Gesù è avvenuto proprio così. Il suo consegnarsi nella festa – la festa di Pasqua – al dolore, alla sofferenza, alla morte, diventa per noi causa di salvezza, causa di gioia, causa di sollievo spirituale. L’origine della festa di Pasqua ha le sue radici proprio nel dolore e nella sofferenza di Cristo.
C’è, dunque, anche una sapienza del servo, che consiste nell’accettare tutto questo, nell’accettare il dolore, la sofferenza, la morte e nel dare un significato salvifico a queste realtà dell’esistenza che ogni uomo vorrebbe gettare lontano da sé.
Ebrei
L’uomo di fede, come ci diceva la seconda lettura, non distoglie i suoi occhi da questo servo sofferente. L’uomo di fede sa bene che è da questa radice che trae origine ogni festa. L’uomo di fede sa bene che è così che la storia ci parla del Risorto. È qui che ha origine la nostra festa di Pasqua. Per questo non distogliamo gli occhi, anche in questo giorno di festa, da colui che ha realizzato per noi la salvezza eterna e, in essa, ogni altro bene.
La sapienza del credente, ci dice questo misterioso scritto, consiste non solo nel non distogliere gli occhi da questa scena, ma anche nel saperla imitare. È solo nella imitazione di Cristo che nasce quel desiderio di essere sempre con lui che plasma la spiritualità di una vita intera.
Spunti per una proposta spirituale di Sapienza
L’ultima forma di sapienza che ci viene proposta da questo percorso quaresimale tutto rivolto alla sapienza è la più difficile. Si tratta non tanto di fare nostro un esercizio penitenziale, un’opera, magari difficile, ma comprensibile. Alla sapienza di ciascun uomo, infatti, è chiesto di abbracciare una logica diversa, una sapienza assolutamente differente da quella che ci viene proposta tutti i giorni, dalla vita di qualsiasi uomo.
È proposto alla nostra sapienza di accettare il limite, cosa che noi tutti vorremmo scansare e che siamo tutti portati a negare o a cercare di superare in qualche maniera.
È proposto alla nostra sapienza di comprendere che anche il nostro dolore, la sofferenza dei nostri cari, ha un senso nell’ottica di Dio. Quella sofferenza che ci sforziamo di eliminare dalla storia dell’uomo, continuamente si presenta sotto forme sempre nuove, e non riusciremo mai a sconfiggerla del tutto. È sapienza accettare la sofferenza della vita e dare ad essa un senso. Quel senso che viene da Gesù Cristo, l’uomo che accetta di soffrire per meritare a tutti gli altri uomini la salvezza eterna.
È proposto alla nostra sapienza di entrare in una concezione di festa diversa da quella che abbiamo. Una concezione di festa dove non ci sia spazio per la trasgressione, l’eccesso, il divertimento fine a sé stesso. Queste cose, seppure in alcune misure buone per la vita dell’uomo, non dicono il senso di festa che deve avere ogni esistenza. Siamo tutti molto lontani, ma specialmente i nostri giovani si formano a questo concetto di festa che ho brevemente descritto e che non è quello della scrittura. Non è nemmeno quello che può permettersi la maggior parte dell’umanità. La vera festa dell’uomo consiste nell’incontro con Gesù Cristo. La vera festa dell’uomo è quella di una ferialità nella quale uno sceglie, come criterio per vivere i propri giorni, non quello dell’immediato appagamento, ma quello del servizio e della donazione, quello dell’offerta di sé e della propria sofferenza, perché si completi “ciò che manca ai patimenti di Cristo”, come solo San Paolo poteva scrivere.
È proposto alla nostra sapienza di sostare, nei prossimi giorni santi, a guardare al Signore, per imparare da lui. La settimana santa serve a questo. Serve solo a contemplare il Signore Gesù, la sua sofferenza, la sua morte, la sua dedizione al Padre.
Per un’ultima provocazione di Sapienza
- Sono disposto ad entrare in questa logica di sapienza divina?
- Potrò accedere a questa logica di festa che viene da Dio?
- Cosa mi manca per accettare questa sapienza divina che si rivela nel servo sofferente e nel Cristo che patisce?
Chiediamo a Maria, Madre della Chiesa, madre di ogni credente, fonte della divina sapienza, di prenderci per mano e di condurci, in questi giorni santi, fin sotto la Croce, dove lei, con le altre donne, rimane in contemplazione di quella morte unica, segno di speranza per gli uomini, fonte della santità per i credenti.