Lunedì 29 marzo

Settimana Autentica – Lunedì

Introduzione alla Settimana Santa

La “sapienza di chi fa festa” è il sesto ed ultimo dei gesti di sapienza che vogliamo vivere in questa Quaresima che lascia spazio alla settimana santa. Settimana detta anche “autentica” dal momento che si rivivono, nei giorni propri, gli ultimi gesti della vita del Signore nel loro ordine. Non commenterò quest’anno i tre testi biblici che ci vengono proposti nella loro interezza, ma lascerò emergere dai Vangeli tre atteggiamenti sapienziali che dovremmo fare nostri:

  1. “vegliate in ogni momento pregando”: l’arte di custodire il cuore;
  2. “voi sapete che tra due giorni è Pasqua”: l’arte di custodire il tempo;
  3. “quanto mi volete dare”: l’arte di saper usare bene delle cose.

Giobbe

1, 6-22
Inizia la lettura del libro di Giobbe

In quei giorni. I figli di Dio andarono a presentarsi al Signore e anche Satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Dalla terra, che ho percorso in lungo e in largo». Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male». Satana rispose al Signore: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non sei forse tu che hai messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quello che è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e i suoi possedimenti si espandono sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui». Satana si ritirò dalla presenza del Signore. Un giorno accadde che, mentre i suoi figli e le sue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del fratello maggiore, un messaggero venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano arando e le asine pascolando vicino ad essi. I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore e ai guardiani e li ha divorati. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I Caldei hanno formato tre bande: sono piombati sopra i cammelli e li hanno portati via e hanno passato a fil di spada i guardiani. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le tue figlie stavano mangiando e bevendo vino in casa del loro fratello maggiore, quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato soltanto io per raccontartelo». Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello; si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!». In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.

Tobia

3, 7-15; 4, 1-3a. 20 – 5, 3
Inizia la lettura del libro di Tobia

In quei giorni. A Sara, figlia di Raguele, abitante di Ecbàtana, nella Media, capitò di sentirsi insultare da parte di una serva di suo padre, poiché lei era stata data in moglie a sette uomini, ma Asmodeo, il cattivo demonio, glieli aveva uccisi, prima che potessero unirsi con lei come si fa con le mogli. A lei appunto disse la serva: «Sei proprio tu che uccidi i tuoi mariti. Ecco, sei già stata data a sette mariti e neppure di uno hai potuto portare il nome. Perché vorresti colpire noi, se i tuoi mariti sono morti? Vattene con loro e che da te non dobbiamo mai vedere né figlio né figlia». In quel giorno dunque ella soffrì molto, pianse e salì nella stanza del padre con l’intenzione di impiccarsi. Ma, tornando a riflettere, pensava: «Che non insultino mio padre e non gli dicano: “La sola figlia che avevi, a te assai cara, si è impiccata per le sue sventure”. Così farei precipitare con angoscia la vecchiaia di mio padre negli inferi. Meglio per me che non mi impicchi, ma supplichi il Signore di farmi morire per non sentire più insulti nella mia vita». In quel momento stese le mani verso la finestra e pregò: «Benedetto sei tu, Dio misericordioso, e benedetto è il tuo nome nei secoli. Ti benedicano tutte le tue opere per sempre. Ora a te innalzo il mio volto e i miei occhi. Comanda che io sia tolta dalla terra, perché non debba sentire più insulti. Tu sai, Signore, che sono pura da ogni contatto con un uomo e che non ho disonorato il mio nome né quello di mio padre nella terra dell’esilio. Io sono l’unica figlia di mio padre. Egli non ha altri figli che possano ereditare, né un fratello vicino né un parente per il quale io possa serbarmi come sposa. Già sette mariti ho perduto: perché dovrei vivere ancora? Se tu non vuoi che io muoia, guarda a me con benevolenza: che io non senta più insulti». [In quel giorno Tobi si ricordò del denaro che aveva depositato presso Gabaèl a Rage di Media e disse in cuor suo: «Ecco che io ho invocato la morte: perché dunque non dovrei chiamare mio figlio Tobia e informarlo, prima di morire, di questa somma di denaro?». Chiamò il figlio e gli disse: «Ora, figlio, ti comunico che ho depositato dieci talenti d’argento presso Gabaèl, figlio di Gabri, a Rage di Media. Non temere, figlio, se siamo diventati poveri. Tu hai una grande ricchezza se avrai il timore di Dio, se rifuggirai da ogni peccato e farai ciò che piace al Signore, tuo Dio». Allora Tobia rispose al padre: «Quanto mi hai comandato io farò, o padre. Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui? Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro? Inoltre non sono pratico delle strade da prendere per andare in Media». Rispose Tobi a suo figlio Tobia: «Mi ha dato un documento autografo e anch’io gli ho apposto il mio autografo: lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; la sua parte la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent’anni da quando ho depositato quella somma. Cércati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che si metta in viaggio con te. Lo pagheremo per tutto il tempo fino al tuo ritorno. Va’ dunque da Gabaèl a ritirare il denaro».]

Vangelo

Lc 21, 34-36
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

UN INVITO

Di inviti alla vigilanza è piena la Scrittura e anche il Signore, nel corso della sua predicazione, spesso ha invitato i discepoli, come anche la gente che accorreva per ascoltare le sue predicazioni, alla vigilanza.

State attenti a voi stessi che i vostri cuori non si appesantiscano in affanni, ubriachezze, dissipazioni”, così leggiamo nel Vangelo di oggi. Gesù invita ad una custodia del cuore. Anche Gesù ha avvertito il bisogno di prepararsi alla sua passione, morte e risurrezione. Potremmo dire che tutto il suo ministero è stato vissuto come un progressivo prepararsi agli eventi ultimi della sua vita. Anche quell’ultima “salita” a Gerusalemme è stata vissuta come la preparazione all’“ora”, al momento supremo della sua “missione”.

Non solo Gesù si è preparato ma, mentre preparava sé stesso, ha avvertito il bisogno di preparare gli altri, ovvero i discepoli. Ecco il senso della loro custodia, il senso di quelle predicazioni intense e di quelle esperienze forti che ha permesso di compiere ai suoi discepoli. Gesù avverte che quel senso di festa che era nel loro cuore, dal momento che la Pasqua era la festa per eccellenza degli Ebrei, avrebbe potuto portare i cuori dei discepoli lontano da quel nuovo senso di Dio che egli avrebbe impresso alla festa.

Custodia e preghiera

La custodia del cuore a cui allude il Signore non si prepara in altro modo che quello della preghiera. Possiamo immaginare che i giorni della settimana autentica del Signore siano stati momenti di preghiera ancora più intensi rispetto a quelli già intensissimi che il Signore aveva. Preghiera che viene raccomandata anche al discepolo. I discepoli sapevano bene che la Pasqua era un momento di preghiera forte per tutti, e tuttavia sapevano anche bene che la grande festa richiedeva preparativi pratici di non poco conto. Essi, sicuramente, pensavano che il loro primo impegno fosse quello. Li vediamo sempre pronti a darsi da fare per cercare di obbedire agli inviti del Signore e fare tutto il possibile per quella che era ritenuta, anche da loro, una grande solennità. Gesù non chiede questo: ecco il senso del richiamo alla preghiera, ecco il senso del richiamo ad una intensità maggiore per custodire il cuore.

L’invito per noi

L’invito è anche per noi. Anche noi siamo invitati a non cadere in dissipazioni e ubriachezze della vita, se vogliamo custodire il senso della festa.

Come prepariamo la Pasqua?

Normalmente anche noi siamo presi da alcuni preparativi: viaggi, spostamenti, riunioni con parenti e amici, conquistati da quel senso di vacanza che inizia ad emergere nella primavera. Lo scorso anno, ricorderete, eravamo non solo bloccati, ma anche impediti perfino nell’uscire e venire in chiesa. È stata una Pasqua a distanza, una Pasqua di fedeli senza preti e di preti, in chiesa, senza fedeli.

Che Pasqua sarà quest’anno?

Io credo che debba essere una Pasqua che desideriamo passare senza dissipazioni, senza ubriachezze, senza preparativi che ci portano lontano dal cuore della festa. La Pasqua nella pandemia dello scorso anno e tutto questo anno che abbiamo passato tra restrizioni e difficoltà, devono almeno averci insegnato che il cuore di ogni festa vissuta con fede è l’incontro con Dio. Il resto sono corollari trascurabili. Il senso di questi giorni è, allora, quello espresso dall’invito del Signore: un invito alla preghiera. Preghiera che non è solo la celebrazione; preghiera che non è solo la meditazione personale; preghiera che deve essere anche la custodia del cuore. Buona cosa è il tempo che si dilata per stare con il Signore. Ma servirebbe a poco passare del tempo in chiesa o in atteggiamento di preghiera, se poi il nostro cuore e la nostra mente sono lontani e fantasticano di altre cose.

Lasciamo ad altri le dissipazioni del cuore. Lasciamo ad altri le ubriachezze. Lasciamo ad altri il trascorrere una Pasqua tra vacanze e spostamenti, tra pensieri inutili e preoccupazioni vane. Noi sforziamoci di educare il cuore a stare con Cristo. È difficile avere mente concentrata, cuore attento e docile. Solo la preghiera può aiutarci. È questa la sapienza del Vangelo, è questa la sapienza alla quale vorrei che attingessimo, tutti insieme, quest’anno.

Sia questo il primo segno di questa settimana autentica, da passare, “autenticamente”, con Cristo.

2021-03-25T22:07:20+01:00