Mercoledì 29 giugno

Settimana della 3 domenica dopo Pentecoste – mercoledì – Santi Pietro e Paolo

Introduzione

La festa dei Santi Pietro e Paolo è certamente una delle maggiori dell’anno liturgico. Lo ha determinato la fede dei semplici, quella che ha fatto voti, in onore di San Pietro e di San Paolo; oppure la vita di tanti sacerdoti santi, che si sono ispirati proprio al loro modello di vita e alla loro fraternità per alimentare il loro ministero; o ancora ha contribuito a rendere questa festa unica la comune preghiera di tutta la Chiesa per il Papa, che sempre si eleva per lui, ogni giorno, da tutte le comunità ecclesiali disperse nel mondo e anche dalla nostra. Insomma, moltissimi fattori hanno fatto della festa dei Santi Pietro e Paolo uno dei cardini spirituali della tradizione cattolica. Noi, poi, oggi siamo in festa anche per la chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro, quindi nostro protettore e patrono.

Per questo motivo rileggo insieme con voi il solo Vangelo, dedicato, come abbiamo sentito, al Santo nostro patrono.

La Parola di Dio per questo giorno

LETTURA At 12, 1-11
Lettura degli Atti degli Apostoli

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione. Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».

SALMO Sal 33 (34)

Benedetto il Signore, che libera i suoi amici.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. R

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. R

EPISTOLA 2Cor 11, 16 – 12, 9
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli, nessuno mi consideri un pazzo. Se no, ritenetemi pure come un pazzo, perché anch’io possa vantarmi un poco. Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella fiducia che ho di potermi vantare. Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch’io. Infatti voi, che pure siete saggi, sopportate facilmente gli stolti. In realtà sopportate chi vi rende schiavi, chi vi divora, chi vi deruba, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia. Lo dico con vergogna, come se fossimo stati deboli! Tuttavia, in quello in cui qualcuno osa vantarsi – lo dico da stolto – oso vantarmi anch’io. Sono Ebrei? Anch’io! Sono Israeliti? Anch’io! Sono stirpe di Abramo? Anch’io! Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani. Se bisogna vantarsi – ma non conviene – verrò tuttavia alle visioni e alle rivelazioni del Signore. So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze. Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni. Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.

VANGELO Gv 21, 15b-19
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Vangelo

Proviamo ad immaginarci la scena. Siamo dopo la risurrezione del Signore. Gesù è ormai apparso molte volte. Pietro era stato chiamato ad essere la roccia, “kefa”, la pietra sulla quale si poggiano gli altri. Ma Pietro sa bene di avere tradito. Sa bene di aver rinnegato il Signore e Maestro per tre volte. Lui che si era fatto grandi propositi, lui che aveva cercato di fare del suo meglio, lui che aveva sempre difeso il Signore e che, nella notte dopo la cena, era anche uscito armato per difendere Gesù, caso mai fosse successo qualcosa. Tutto era passato solo da pochi giorni, ma ecco che tutto assumeva un tono diverso. Il suo servizio si era rivelato inutile. Lui che era stato chiamato proprio da Gesù la roccia, era venuto meno come neve al sole. Lui che aveva giurato fedeltà eterna, aveva tradito, lui che aveva pensato di essere di esempio e di avere qualcosa in più degli altri, ha scoperto non solo di non avere niente di più degli altri ma di essere, addirittura, molto più fragile di ciascuno di loro.

È Gesù che, dopo la risurrezione, chiama di nuovo Pietro e gli pone una domanda semplice. Sa bene ciò che Pietro ha in mente e gli domanda: “mi ami tu?”. Come dire: guarda che non importa ciò che è successo, basta che tu mi vuoi bene. Pietro che sa bene cosa è successo, appunto, non si azzarda più a dire a Gesù che lo ama sopra ogni cosa, che lo difenderà, che lo seguirà dovunque andrà. Gli dice, con molta semplicità, che gli vuole bene, che cerca di fare quello che può, che cerca di offrirgli le cose che sa fare come anche le sue debolezze, le sue crisi, le sue innumerevoli povertà. Pietro dice a Gesù che, uno come lui, può, al massimo fare questo. Non può certo amare come Gesù ha amato lui. Pietro capisce e dice che il suo amore per Dio, che è l’amore perfetto di chi ha donato la vita per amore, non è certo l’esempio che lui può imitare. Lui, al massimo, può tentare di volergli bene offrendo quello che è e quello che ha.

È Gesù che lo provoca. È Gesù che insiste. A Pietro già la prima risposta sarebbe stata sufficiente. Finalmente aveva messo nelle mani di Dio tutto quello che era, perché il Maestro insisteva? Pietro rimane addirittura “addolorato” per quelle triplici domande del Signore, il quale non vuole far altro che ricordare a Pietro il suo triplice tradimento ma non per fargli pesare ciò che ha fatto, piuttosto per sanare ciascuna delle sue debolezze. È solo quando Pietro comprende questa pedagogia, è solo quando Pietro comprende che il Signore lo chiama a qualcosa di più e di meglio rispetto a quel suo “giocare al minimo”, che Pietro gli si consegna totalmente, accettando sì di andare anche dove non vuole e di essere guidato da persone ostili, come accadrà a Roma, circa 30 anni dopo, quando Pietro, con il suo martirio, mostrerà di aver compreso la lezione e di essere capace di dare gloria a Dio. Pietro insegna così di aver compreso quello che non ha capito per una vita e di possedere, ora, finalmente, quello che non ha posseduto mai per la vita: l’umiltà. Il discepolo prescelto, finalmente capisce che quell’elezione non era dovuta alle sue capacità, alla sua grinta, al suo coraggio, ma solo a Dio, che lo aveva scovato sulle rive della Galilea per farlo essere il principio, la pietra scelta della Chiesa, sempre relativa a Cristo e su di Lui fondata.

Per noi 

Vorrei che qualcosa del genere capitasse anche a noi. Vorrei che qualcosa del genere accadesse nelle nostre vite. Nelle nostre vite di persone buone, generose, ma certamente ancorate a quello che noi sappiamo fare per Dio, a quello che noi sappiamo donare alla comunità, attaccate al ruolo, al servizio che svolgiamo, alla preziosità che riteniamo di avere per molti aspetti della nostra vita privata come pure della nostra appartenenza ecclesiale. Vorrei che questa festa patronale ci facesse apprezzare il valore dell’umiltà. Del voler servire il Signore, così come gli altri uomini ai quali siamo legati, come siamo capaci, senza pensare di essere di più, di meglio o, comunque, diversi dagli altri, ma al pari degli altri, in cammino per lasciare che il Signore continui a perdonare i nostri errori. Vorrei che scoprissimo che il nostro valore umano, ecclesiale, sociale, non venisse da quello che ci appartiene, né da quello che sappiamo fare o abbiamo imparato a fare, ma solamente dall’essere, oggi, qui, presenti in questo luogo, in queste famiglie, in questa Chiesa. Vorrei che percepissimo che il Signore ci ha scelti e continua a sceglierci non perché siamo i migliori possibili, ma solamente perché Lui ci vuole bene e non ci chiede altro che di volergli bene.

Vorrei che capissimo che il Signore ci sta dicendo che, se vogliamo bene a Lui, poi vorremo bene anche agli altri uomini, come Lui li ama.

Vorrei che capissimo che, se vogliamo bene a Lui, poi vorremo bene alla Chiesa e la edificheremo così come Lui ci chiede di amarla e di edificarla.

Vorrei che noi tutti capissimo che ameremo la fraternità di cui abbiamo parlato la prima sera, o avremo la capacità di fare alcuni voti, di cui abbiamo parlato ieri, hanno senso solo se noi riferiamo queste dimensioni della vita e della fede a Dio.

Vorrei che capissimo che solo offrendo a Dio quel poco che sappiamo fare abbiamo la certezza di continuare ad accumulare quel tesoro prezioso che è l’umiltà e che questo tesoro, condiviso con tutti, diventa la forza di una chiesa.

Vorrei che imparassimo a dire ai nostri giovani che una vita dove non si vuole bene al Signore, non cresce, non porta a nulla, anche quando si facessero le cose migliori del mondo.

Vorrei che potessimo sentire il Signore che chiama ciascuno di noi questa sera per dirci solo: mi vuoi bene tu? Noi cosa rispondiamo?

Lasciamoci ispirare da San Pietro e diciamo anche noi: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene. Come posso, come riesco, con i miei limiti, con i miei problemi, con le mie difficoltà, ma ti voglio bene. Signore io ti do quello che sono per dirti il mio amore, tu tienimi con te.

E così sia.

2022-06-24T22:17:11+02:00