2 domenica dopo la dedicazione – la partecipazione delle genti alla salvezza
Per introdurci
In questa domenica che conclude il mese di ottobre, noi siamo invitati a riflettere sulla “partecipazione delle genti alla salvezza”. È la fine di un itinerario preciso, che è iniziato con la dedicazione del Duomo, la prima domenica nella quale abbiamo messo a tema la chiesa locale, è proseguito la scorsa settimana, con la riflessione sull’identità della chiesa missionaria e si conclude quest’oggi, con questo preciso tema. Tema che porta con sé una domanda:
chi partecipa alla salvezza?
La Parola di questa domenica
LETTURA Is 25, 6-10a
Lettura del profeta Isaia
In quei giorni. Isaia disse: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”».
SALMO Sal 35 (36)
Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Signore, il tuo amore è nel cielo,
la tua fedeltà fino alle nubi,
la tua giustizia è come le più alte montagne,
il tuo giudizio come l’abisso profondo:
uomini e bestie tu salvi, Signore. R
Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio!
Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali,
si saziano dell’abbondanza della tua casa:
tu li disseti al torrente delle tue delizie. R
È in te la sorgente della vita,
alla tua luce vediamo la luce.
Riversa il tuo amore su chi ti riconosce,
la tua giustizia sui retti di cuore. R
EPISTOLA Rm 4, 18-25
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne «padre di molti popoli», come gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo – aveva circa cento anni – e morto il seno di Sara. Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che «gli fu accreditato», ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
VANGELO Mt 22, 1-14
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Vangelo
Trovo che la risposta più bella sia quella contenuta nella parabola con i quattro titoli che San Matteo ha posto nel riprendere questa predicazione del Signore, per definire gli uomini che prendono parte alla festa: invitati, amici, chiamati, eletti.
Invitati. È il primo termine che ricorre nel Vangelo e, certamente, per come il racconto si svolge, lascia percepire che ci si riferisce ad una prima lista di invitati, ad una prima lista di uomini e di donne a cui viene rivolto l’invito. Si tratta di pari dignitari, si tratta di persone del medesimo rango, si tratta di invitati d’ufficio, potremmo dire, immaginandoci la scena di una corte, nella quale è ambientata la parabola. È un termine molto generico, molto aperto, non ulteriormente connotato, che designa comunque anche altri invitati, quelli che potremmo chiamare i successivi invitati.
Amici. Anche questo secondo termine è molto ampio, molto generico. Infatti, il re, dopo aver ricevuto il dinego di molti invitati della prima ora, manda i suoi servi a chiamare “tutti quelli che trovano”, tutti coloro che sono “ai crocicchi delle strade”, senza ulteriore connotazione. È un’apertura notevole. Se i primi invitati erano già molti, ma presi tra i pari rango, i pari dignitari, ecco che qui si ha un allargamento ulteriore, perché vengono chiamati tutti, senza distinzioni, senza connotazioni.
Chiamati. È proprio nelle parole finali del racconto del Signore che troviamo due termini precisi. Il primo è “chiamati”. Gli inviati, tutti quanti, sono dei chiamati, persone alle quali è stato rivolto un invito. Indipendentemente dalla risposta, indipendentemente dall’avere accettato o dall’aver creato scuse per non partecipare alla chiamata, tutti gli inviati devono riconoscersi e devono percepirsi come dei chiamati. Uomini, donne, a cui è stato rivolto un invito non per merito, ma per grazia.
Eletti. Infine, l’ultimo titolo usato da San Matteo: eletti. Eletti, lo si capisce immediatamente, fa pensare a coloro che sono presenti nella sala con l’”abito nuziale” che, fuor di metafora, è l’abito della grazia, ovvero quella dignità, quella identità che conservano coloro che, sentendosi dei chiamati, hanno saputo perseverare nel cammino di grazia iniziato con il battesimo.
Così, con questo immaginario, con questi termini, la parabola è un prezioso insegnamento che ricorda alcune verità fondamentali della vita di fede:
- Dio è padre di tutti e chiama tutti alla salvezza:
- Tutti i chiamati ricevono quella grazia necessaria per l’inizio di fede che è il cammino di redenzione;
- Portare a termine questo percorso è compito della libertà che si apre alla grazia, e che fa di ogni chiamato un eletto, non semplicemente uno al quale è stato rivolto l’invito alla salvezza, ma uno al quale questo invito sta a cuore, uno che collabora per questa salvezza eterna che è lo scopo finale dell’esistenza.
Isaia
Così si comprende l’immagine dalla quale Gesù stesso ha attinto per costruire questa parabola: l’immagine del profeta Isaia che immagina la salvezza eterna come un grande banchetto, un banchetto al quale tutti i popoli sono invitati. Il profeta, che ha il compito di indagare il futuro, vede il giorno del giudizio finale, quasi anticipa questo giorno, vedendo un’immensa processione che altro non è che la processione di tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà che hanno aderito alla chiamata alla salvezza. Persone che provengono anche da diverse strade, ma tutti dirette verso un unico incontro, quello con Dio Padre di tutti.
Ebrei
Così si comprende molto bene anche la riflessione teologica che ci viene proposta dall’epistola. L’autore di questo testo del nuovo testamento ha compreso che già nella chiamata di Abramo è compresa questa partecipazione finale di tutte le genti alla salvezza. Tutti i popoli trovano in Abramo un ideale, un modello di vita. Abramo è il Padre, la figura di ispirazione, la figura di riferimento di tutti i credenti. Coloro che vivono di fede, pregano Dio, anche se camminano su strade diverse sono chiamati a camminare nella via della salvezza e ad incontrare, alla fine dell’esistenza, Dio, che ha sostenuto i diversi passi della fede di ciascuno. Così torniamo all’insegnamento cardine di queste scritture: la salvezza non è possesso di nessuno ma è dono per tutti. Dono che fa appello alla libertà perché ciascuno, con responsabilità, possa collaborare ad essa.
Per noi
È alla luce di questi brani della Parola di Dio che noi possiamo svolgere, questa mattina, la nostra riflessione.
Anzitutto credo che le scritture ci stiano ponendo un invito alla contemplazione: noi siamo qui per contemplare il grande amore di Dio che chiama tutti alla salvezza, senza differenze, senza esclusioni, in un modo molto più universale ed abbondante rispetto a quello che noi potremo pensare. Le scritture ci chiedono di dilatare i confini del nostro cuore e di pensare che la redenzione c’è, è per tutti, nessuno escluso.
Ancora una seconda riflessione. Le scritture ci spiegano, però, che la realizzazione della salvezza, sebbene possa avvenire in diversi modi, chiede l’adesione della libertà, chiede il desiderio di essa. Con forte drammaticità il Vangelo ci ha ricordato che si potrebbe anche rifiutare la salvezza eterna. Realtà che noi vediamo drammaticamente presente in tante persone che deliberatamente fanno a meno della fede, del mistero di Dio, rifiutano quel cammino di salvezza che è stato proposto. Non tocca noi dire, non tocca noi giudicare, ma noi vediamo concretamente in atto questa possibilità che non è solo teorica, ma reale.
Di qui, se Dio chiama tutti alla salvezza, se la salvezza finale è come un banchetto dove non si riescono contare gli invitati, se tutti i popoli sono chiamati a realizzare questa alleanza, che specificità ha il cristianesimo? C’è questa specificità? Che senso ha?
Certamente c’è una specificità del cristiano in ordine alla salvezza che pure è per tutti. La specificità del cristiano è che il battezzato è chiamato ad essere amico di Dio, ad essere un eletto, come spesso San Paolo chiama i battezzati. La specificità di questa elezione non sta in una superiorità del cristiano rispetto agli altri, piuttosto sta in un dono di grazia al quale ogni credente è chiamato a corrispondere. Detto altrimenti: la conoscenza di Cristo alla quale il battezzato viene chiamato è dono gratuito che dipende dalle condizioni di vita nelle quali uno vive: dipende dal luogo dove nasce, vive, dipende dall’esperienza di Chiesa possibile in quel luogo, dipende dall’adesione libera alla fede che è sempre una chiamata… Chi ha tutto questo vive certamente una elezione molto specifica. Elezione che fa appello alla libertà. Lo specifico del cristiano dovrebbe essere quel percepirsi sempre come amico di Dio, fratello in Cristo, chiamato da Dio in Cristo Gesù perché la salvezza eterna si realizzi nella sua anima. Lo specifico del cristiano consiste nel riconoscere che è attraverso Cristo che la salvezza giunge al suo compimento. Ciò che altri cammini possono solo intuire, ciò che altre vie possono solo contemplare come da lontano, si fa carne, si fa corpo in Cristo. Questo è lo specifico del cammino cristiano a cui tutti noi ci sentiamo chiamati.
Per noi che siamo qui a celebrare la Messa, questo momento di liturgia, di celebrazione, dovrebbe già essere un anticipo di quel bacchetto celeste della fine dei tempi al quale ci sentiamo chiamati come eletti. In questo momento dovrebbe essere forte in noi tutti la consapevolezza che stiamo incontrando la persona di Cristo. Incontro che dice il rinnovarsi di quella grazia battesimale che a tutti è stata data fin dal nostro battesimo. Incontro con la persona di Cristo risorto che trascina tutti noi potentemente verso quella salvezza eterna che è solo dono, grazia, possibilità donata alla libertà.
Così, in questa consapevolezza, dovremmo crescere noi tutti e fare di questo momento il momento cardine, culminante di quel cammino di fede personale che, ogni giorno, siamo chiamati a vivere nella preghiera. Quell’unione con Dio che noi cerchiamo di avere tutti i giorni nella nostra preghiera personale, qui, in questo incontro eucaristico, attingendo alla reale presenza del Signore e alla sua forza, diventa rilancio per i giorni successivi, per i momenti successivi del cammino che sono già tutti nelle mani di Dio.
Ecco perché anche noi ci sentiamo invitati, amici, chiamati, eletti. Chiediamo al Signore di conservare nel cuore il gusto di questa chiamata per partecipare a quella salvezza eterna che sarà il coronamento di ogni cammino di fede onesto e serio, nel quale la chiamata di Dio sa incontrarsi con la libertà degli uomini. Chiediamo al Signore di percepire l’importanza di questa chiamata generale alla salvezza, fondamento della nostra speranza.