Quinta Parte2020-03-11T23:12:17+01:00

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La lettera dal carcere ed esortazione, Fil 3, 1b-4,1. 8-9

La struttura della sezione che vogliamo studiare in questo penultimo incontro è ben identificabile. Si tratta di una nuova lettera, che non appartiene più a quella scritta dal carcere e che, pertanto, non può avere le caratteristiche di quella già esaminata.

Che cosa è successo? San Paolo, come abbiamo visto nella lectio sulla lettera dal carcere, non è stato condannato ed è stato rimesso in libertà. Proprio come Paolo stesso aveva previsto. In qualche modo l’apostolo aveva compreso che non era quello il tempo della sua chiamata finale e, ora, finalmente, riassapora la libertà. Dopo aver mandato gli amici a Filippi, mentre era in carcere, ora torna lui stesso nella comunità che aveva tanto amato e alla quale si sentiva così profondamente legato. Qui trova però una situazione nuova, differente da quella che aveva lasciato, molto preoccupante. San Paolo trova “falsi missionari” che predicano un Vangelo diverso da quello che lui stesso, insieme agli altri missionari, ha testimoniato. Interviene sulla situazione, ma poi deve lasciare Filippi e recarsi a Corinto, dove deve riconciliarsi con quella comunità. È da Corinto che Paolo scrive questa lettera “polemica”, poi ricongiunta agli scritti che abbiamo già commentato. Siamo  nel 57/58 d.c. È utile comprendere che le lettere di Paolo sono scritte non di getto, non con un capitolo conseguente all’altro, ma in diversi momenti della vita di Paolo. Le lettere sono state poi riviste e messe insieme dai discepoli di San Paolo, se non da San Paolo stesso, dando vita agli scritti ordinati che noi possediamo perché la Chiesa li ha fedelmente trasmessi. San Paolo scrive questa “lettera polemica” dopo i numerosi interventi orali, e, quindi facendo seguito, come egli stesso dice, ai numerosi dialoghi con la gente di Filippi. Ancora una volta siamo in presenza di un’abbondanza di concetti, come vedremo, che trasmettono il senso di calore, di passione che San Paolo ha avuto per questa gente e per questa comunità. Anzi, se San Paolo torna su cose già dette a voce è proprio per chiarirle meglio e per renderle patrimonio della fede per tutti gli abitanti di Filippi ma anche per noi che rileggiamo questi testi nel nostro contesto e per la nostra vita ecclesiale. Ecco, dunque, l’origine e il contesto di questa “lettera polemica”. Quale la struttura di questa lettera? Essa è abbastanza semplice e facilmente identificabile:

  • 3, 1b-3: l’introduzione in tono polemico
  • 3, 4-14: il rimando autobiografico
  • 3, 15- 21: l’appello a non seguire i rivali
  • 4, 1.8-9a: l’appello alla fedeltà
  • 4, 9b: l’esortazione conclusiva

Riprendiamo le sezioni.

3, 1b-3. Paolo subito si mostra molto polemico con gli avversari che sono definiti: “cani, cattivi operai, mutilati”. Di chi sta parlando e perché si rivolge a loro in tono così polemico? Anzitutto precisiamo: cani era l’epiteto che veniva utilizzato per identificare i pagani, i senza Dio. Paolo si sta rivolgendo a un gruppo di persone che sono andate a Filippi, si sono presentati come missionari, come gente di fede e hanno sobillato la comunità. Di loro Paolo dice: sono dei senza Dio, sono come dei pagani! La comunità non deve riceverli e non deve farsi turbare da loro: sono persone senza fede che agiscono per i loro scopi personali. Non bisogna temerli. Il secondo insulto: cattivi operai. La derivazione è evangelica e noi stessi abbiamo in mente i numerosi brani in cui è Gesù stesso a parlare dei credenti come operai nella vigna del Signore, espressione che ha designato, fin da subito, coloro che si sono dedicati alla missione di propagazione del Vangelo e alla vita della Chiesa. Costoro che si sono presentati a Filippi come missionari non sono operai del Vangelo, sono dei cattivi operai. Si sono presentati come amici di Cristo ma, come dirà poi dopo, sono nemici della sua croce. Se sono operai, sono operai cattivi. Sono dei mutilati. Paolo vuole essere non solo polemico ma anche offensivo. Questi missionari presentatisi a Filippi sono delle persone circoncise, ma la loro circoncisione non rappresenta un fatto di fede, non segna l’appartenenza nobile al popolo di Dio. Per loro è solo motivo di orgoglio e non può esserci fede dove c’è un orgoglio così grande e così forte.

Con questi indizi siamo in grado di precisare chi sono costoro. Sono giudeo cristiani, persone che provengono dal giudaismo ed hanno, quindi, il segno dell’appartenenza al popolo santo di Dio, persone che si sono anche convertite al cristianesimo, persone che si credono sapienti, persone che affascinano con il loro linguaggio, e, tuttavia, sono persone che non si dimostrano veri credenti, che sobillano la comunità, che si dimostrano dei tradizionalisti che vorrebbero imporre regole e norme di purità che si rifanno all’antico Israele.

In sintesi sono:

  • Giudeo cristiani nati in una comunità diversa da quella di Filippi;
  • Considerano un vanto la tradizione religiosa di Israele;
  • Vogliono imporla ai convertiti;
  • Sono impegnati in una missione contro Paolo.

Questa lettera polemica ci dice la vivacità della vita cristiana anche nella chiesa antica e ci mostra le difficoltà che anche gli apostoli hanno dovuto sostenere per preservare il più possibile la comunità dagli assalti di falsi amici.

3, 4-14. La difesa di San Paolo, anche questa in aperto stile di polemica. Paolo sintetizza la sua origine per dire che, se quelli si vantano del giudaismo da loro professato, lui è giudeo molto più di loro:

  1. È stato circonciso l’ottavo giorno, come impone la legge di Mosè;
  2. È israelita figlio di israeliti e non proviene da una famiglia della diaspora;
  3. È puro di sangue, cosa che contava moltissimo e non era da tutti poter vantare di provenire da una famiglia che non aveva avuto contaminazioni di sorta;
  4. È un beniaminita di discendenza, quindi vanta l’appartenenza ad una particolare tribù rinomata e famosa;
  5. È un fariseo come formazione;
  6. È un uomo zelante nell’ortodossia e nell’ortoprassi e, per questo è stato un fiero persecutore della Chiesa;
  7. È giusto di fronte a Dio perché irreprensibile nell’osservanza della legge.

Paolo quindi si mette sul piano del confronto con queste persone e mostra di essere assai più giudeo di loro. Paolo riflette però anche sulla sua fede cristiana, sul suo incontro con Cristo e non si vergogna di considerare “spazzatura” tutto ciò che i suoi stessi avversari considerano un “vanto”. Paolo ha lasciato tutto quello che aveva dal momento che ha incontrato Cristo e non gli serve più appellarsi alle cose di un tempo. Tutto è stato superato. È evidente l’unione di questo brano autobiografico con l’inno che abbiamo commentato la volta scorsa. Come Cristo non ha “considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio”, così Paolo non considera un “tesoro” da difendere con gelosia il suo essere ebreo. C’è qualcosa che conta di più e per il quale vale la pena di lasciare tutto ciò che era stato in suo possesso precedentemente: la conoscenza di Cristo. Non si tratta di una conoscenza teorica, non si tratta di una formazione intellettuale. Paolo conosce Cristo perché “ha preso parte alle sue sofferenze” e continua a prendervi parte. Il riferimento è anche al carcere dal quale Paolo è appena stato liberato. Paolo non teme nulla, non teme nemmeno le difficoltà della vita alle quali deve sottostare. Per Paolo conta solamente piacere al Signore e vivere con Cristo. Tutto il resto è, appunto, “spazzatura” che può tranquillamente essere abbandonata. Ecco in che senso Paolo si definisce “conquistato da Cristo”, pieno anche di un’ulteriore consapevolezza: egli non è già arrivato alla meta, ma corre come un atleta che sa di dover lottare fino alla fine se vuole ottenere il premio. A coloro che si ritengono già arrivati, a coloro che si ritengono già perfetti, San Paolo oppone la propria condizione e la propria concezione della vita cristiana: essa è come una corsa nella quale non ci si può fermare e nella quale si deve sempre lottare se si vuole raggiungere il premio della vita eterna.

3, 15-21. Da qui un’ulteriore considerazione: i Filippesi non devono farsi imitatori di questi predicatori polemici ma solo di Paolo. L’apostolo non intende mettere al centro di tutto la sua persona, dopo quello che ha appena affermato, ma chiede soltanto di saper imitare il suo modo di fare. Egli si è fatto servo di Gesù Cristo e, per questo, ora invita tutti a farsi suoi imitatori, nel senso di continuare a cercare il volto di Cristo nel concreto cammino di fede che stanno conducendo.  Chi “ha per dio il ventre”, cioè i rivali che vogliono essere schiavi delle antiche prescrizioni di purità ebraiche, non ha certo trovato la libertà dei figli di Dio che viene data in Cristo Gesù. Paolo oppone a questa concezione legalistica e tradizionalistica lo sguardo sempre rivolto alla vita eterna che occorre sempre avere sulle cose e sul tempo. Il cristiano guarda alle “cose di lassù” e attende, con piena fiducia, quello che deve ancora accadere. È pieno di questa speranza, è ricolmo di questa gioia che il cristiano continua il suo percorso di vita e non si sente mai arrivato fino a che non potrà godere in pienezza della rivelazione del volto di Dio. Fine dell’esistenza è la partecipazione al “corpo glorioso”. Anche qui San Paolo mostra le conseguenze di ciò che ha già cantato nell’inno cristologico: Gesù si è abbassato fino alla vita degli uomini, lui che aveva la ricchezza di Dio. Dopo la sua passione e morte, ha sperimentato la forza della risurrezione ed è tornato a quella unione originaria con il Padre che è l’unione della Trinità. Anche il cristiano spera nella risurrezione della carne e sa che il fine della sua vita non è altro che la trasfigurazione del suo corpo e la partecipazione gloriosa a questa dimensione di vita. Paolo è l’uomo della speranza che canta la bellezza della fede, che si propone non come già arrivato alla fine di tutto il suo percorso ma nel pieno svolgimento di esso. Paolo canta la bellezza dell’eternità alla quale si sente attratto in forza della promessa di Cristo. È per virtù di questa speranza che non conta più nulla il suo passato ma, dimentico di tutto, mostra il suo essere proteso a quel futuro con Cristo che è il cuore della vita cristiana. La vera speranza cristiana è solo quella che deriva da Cristo salvatore.

4, 1. 8-9. Ecco la conclusione del discorso che Paolo non può non tirare: egli invita a non fidarsi dei falsi predicatori e, quindi, a non seguirli ma, piuttosto, a rimanere fedeli alla sua predicazione e alla sua missione.

Infine, quasi unendo alla filosofia stoica le sue riflessioni, invita a guardare sempre a ciò che è vero, bello, nobile, utile… per giungere a quella felicità eterna che è la vita in Cristo.

“Il Dio della pace sia con voi”. È il saluto finale della lettera polemica, ripreso come dall’inizio dello scritto che abbiamo già commentato.

Meditatio.

Trovo alcuni spunti di meditazione validi anche per noi:

  1. Paolo non disdegna di scendere in polemica in nome della verità. Paolo è un uomo che non si tira mai indietro rispetto alla chiarezza della verità e si lascia andare anche a qualche polemica molto forte, pur di dire a tutti quello che pensa e quello che è necessario operare. Paolo è un uomo molto forte che opera in nome della chiarezza. In questo San Paolo ci invita a fare altrettanto, a non essere pusillanimi, a non rinunciare mai alla chiarezza del discorso per il bene della vita dello spirito nostro e degli altri. Paolo ci invita a non sottrarci mai al dovere della verità. Trovo che questo primo spunto sia molto utile per tutti noi, dal momento che, come tutti ben sappiamo, viviamo in un momento storico nel quale, per non urtare le ragioni dell’altro, si accetta anche il compromesso. Paolo non è di questo avviso e se, in nome della verità e animati dallo spirito di chiarezza, bisogna anche a scendere in polemica, non ci si può tirare indietro.
  2. L’esempio di Paolo ci mostra quale è stato il cuore dell’Esodo di Paolo: il passare dall’osservanza della legge all’obbedienza a Cristo. Paolo torna spesso, nella sue lettere, su questo concetto. Lo spiega lui stesso. All’inizio la sua fede era fatta soprattutto di osservanza di norme. Alla fine la sua fede è mutata nell’obbedienza a Cristo e alla sua volontà, quella per cui, da persecutore, si è fatto apostolo delle genti. Penso che anche la nostra vita di cristiani sia fatta di molta osservanza. Osserviamo il precetto domenicale, osserviamo, in questa quaresima, alcune norme o prescrizioni o alcune tradizioni che ci sembrano dire bene lo spirito da osservare in questi giorni santi. Per esempio il digiuno, il magro… oppure abbiamo anche altri canoni a cui riferirci e, spesso, ci sembra che vivere bene la fede sia osservare queste prescrizioni. Paolo direbbe anche a noi che, se ci limitiamo a questo, facciamo proprio il minimo. Non abbiamo ancora incontrato Cristo che, da un lato è libertà da ogni norma e prescrizione, dall’altro è senso pieno di esse. Paolo non ci invita a lasciare tradizioni e norme, ma ci spinge a considerare il vero valore di esse: l’incontro con Cristo. Se queste cose servono perché noi doniamo la nostra libertà a Cristo e perché noi possiamo essere pienamente rispondenti alla sua volontà, ben vengano, ma se norme e tradizioni finiscono per essere un idolo, non siamo poi molto diversi da quelli che facevano del ventre il loro Dio. Occorre verificarsi e occorre vedere se l’esercizio della nostra libertà è proprio in odine alla conoscenza di Cristo oppure no.
  3. Mi pare che sia molto provocatorio per noi anche il concetto di speranza cristiana che era indicato alla fine della lettera polemica. San Paolo ci dice in maniera molto forte e molto chiara che l’esito della vita cristiana è la vita eterna. Senza avere sempre davanti a noi questo esito della vita terrena, perde senso qualsiasi cosa che si fa per Dio. È la speranza della vita eterna che ci porta a vivere in un certo modo, è la speranza della vita eterna che ci spinge ad accettare alcuni valori e a comportarci con coerenza rispetto ad essi, è la speranza della vita eterna che sostiene il nostro desiderio di preghiera per essere in comunione con Dio. È la speranza della vita eterna che deve sostenere ogni giorno la scelta cristiana che tutti siamo chiamati a compiere. Senza la speranza della vita eterna, infatti, non ha ragion d’essere la nostra vita e il nostro stesso cristianesimo.
  4. La conoscenza di Cristo è ben lungi, come abbiamo detto, dall’essere solo un fattore culturale, interiore della persona. La conoscenza di Cristo è quella che spinge a quella comunione di vita che corrisponde alla ricerca costante e perpetua della volontà di Dio Padre. Credo che la lettera spinga tutti noi a chiederci davvero se per noi il compimento della volontà di Dio è fonte e sostegno della sua conoscenza, oppure se anche noi lasciamo che solo la sfera intellettuale sia coinvolta in questa conoscenza di Cristo, ma la vita vada da tutt’altra parte.

Ruminatio.

  • Sono uno che accetta i compromessi o che opera per la verità e la chiarezza?
  • La forza di Paolo è anche in me, per operare anzitutto chiarezza nella mia vita e, poi, in quella degli altri?
  • Sono uno che rincorre idoli come anche tradizioni e norme o comprendo che la fede è ricerca della volontà di Dio per me?
  • Qual è l’esodo personale che anche io devo compiere?
  • Alla fine della mia vita, cosa conterà?
  • Trovo in me la speranza della vita eterna?
  • Cosa faccio per coltivare ogni giorno questa speranza?
  • Cosa mi dice il mio battesimo in tal senso? In che modo posso recuperare anche gli articoli del credo che stiamo riscoprendo in questa quaresima, per coltivare questa dimensione di vita e di fede?
  • Cosa è per me la conoscenza di Cristo?
  • Davvero non c’è nulla di più sublime ed importante per me?

Contenplatio.

Oratio.

Signore Gesù, dona anche  a noi tutti e alla nostra chiesa quella conoscenza di te che viene dal seguire la tua volontà. Donaci forza per vivere quella chiarezza di fede che fa bene a noi e al mondo.

Donaci quella grazia di saper sempre indicare a tutti la verità di un cammino che deve giungere alla pienezza della vita. Amen.

Actio.

Ci prendiamo l’impegno di vivere bene la settimana santa nella quale si fonda la nostra speranza di vita eterna.