Sesta Parte2020-05-30T10:15:58+02:00

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La lettera dal carcere ed esortazione, Fil 3, 1b-4,1. 8-9

La struttura della sezione che vogliamo studiare in questo ultimo incontro è ben identificabile.

Anzitutto l’introduzione di 3, 1a, che è un “invito ad essere sempre lieti nel Signore”. Come abbiamo visto più volte, San Paolo torna spesso su questo argomento della gioia che deve contraddistinguere la vita cristiana. La gioia a cui si riferisce Paolo non è mai solamente umana, da attribuire a quei momenti di vita lieti che ogni uomo sperimenta. Per Paolo tutti i sentimenti vanno riletti alla luce di Cristo Risorto. Per questo si “gioisce nel Signore”. Ovvero il cristiano, prendendo parte alla gioia di Cristo risorto, vive ed interpreta tutti i momenti della propria esistenza, anche quelli più bui e difficili, alla luce della presenza di Cristo, da cui proviene ogni bene e al quale si è diretti. La gioia che Paolo invita a possedere e a sperimentare non è quindi passeggera: il cristiano, qualsiasi cosa capiti, sa che Dio lo accompagna e, per questo, non si sconvolge. Tutto vive in Cristo, principe dei risorti.

Una seconda sezione è quella dei vv 2-7 del capitolo 4.

Anzitutto un caso concreto: Evodia e Sintiche. Non sappiamo bene cosa sia successo, dal momento che San Paolo non ce lo racconta, ma è evidente che tra queste due donne deve essere accaduto qualcosa di grave che ha portato a prendere una distanza. Non si tratta di un problema di carattere o di rivalità femminile: le due donne vengono definite collaboratrici del Vangelo, quindi è chiaro che nella comunità hanno un ruolo, vivono un servizio, sono entrambe “collaboratrici dell’evangelizzazione”. È nella comunità ed è a proposito dell’Evangelizzazione che deve essere successo qualcosa di difficile, qualche cosa che ha portato alla rottura tra le due. Di questa rottura, o meglio di questo clima difficile che si è generato, è partecipe anche qualche altro collaboratore. San Paolo esorta tutti a risolvere la situazione proprio a partire  dalla professione di fede in Cristo risorto e a favore del vangelo come lui stesso, Paolo, fa ogni cosa in riferimento al progresso del Vangelo.

È proprio per questo che Paolo spiega ai Filippesi che il primo modo di evangelizzare è quello della “affabilità” che deve “essere nota a tutti”. I Filippesi, quindi, vengono esortati ad essere modello per tutto il mondo. Modello di affabilità, ovvero di accoglienza, di ascolto, di condivisione, di discernimento, di ricerca continua della concordia. San Paolo esorta i filippesi a vivere con le loro doti umane, il programma di evangelizzazione che riguarda la loro comunità ma anche la chiesa intera. Anche la fine di questo paragrafo torna a specificare che “Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori in Cristo Gesù”. Il modello di riferimento, anche per superare le difficoltà, le crisi, le discordie che vengono dall’evangelizzazione, è sempre Gesù Cristo e il suo modo di vivere i sentimenti.

La sezione dei vv 10-20 costituisce una lettera a sé. Molto probabilmente, ci dicono i commentatori, è stata scritta prima della lettera dal carcere, il che ci aiuta ancora a riflettere sul fatto che le lettere di San Paolo non sono scritte tutte di getto, ma pian piano e, poi, sistemate. Dunque una nuova lettera dal titolo curioso: “il ringraziamento senza grazie”. Così l’hanno chiamata alcuni commentatori tedeschi, perché si capisce bene che il tono di San Paolo è quello di chi vuole ringraziare per i benefici ricevuti, ma senza mai pronunciare la parola “grazie”. Per questo è chiamata: “il ringraziamento senza grazie”.

Il riferimento è ancora alla sua situazione personale e all’aiuto che ha ricevuto dai Filippesi. Paolo si definisce come un “uomo in grado di bastare a sé stesso”: egli non vuole essere superbo, ma riconosce che le diverse vicissitudini del suo ministero, lo hanno portato ad essere nella gioia e nell’abbondanza, come a sopportare i periodi di indigenza e di difficoltà. San Paolo si dice pronto a tutto e sempre pronto a sopportare ogni cosa nel nome del Signore, o a non attaccare il cuore a niente , per non dipendere dalle cose così come dagli uomini. Tutto questo non vale, però, con i Filippesi, perché i sentimenti di stima, di condivisione, di rispetto reciproco che sono nati con loro, permettono anche di aprire “questo conto di dare e di avere”. Paolo, con termini economici, riconosce che con questa comunità c’è qualcosa di particolare: mentre lui stesso ha donato il Vangelo e, con esso, la speranza della vita eterna, i Filippesi hanno sostenuto le sue difficoltà in ogni modo, rendendosi vicino non solo con l’affetto, ma anche con quegli aiuti materiali che erano necessari alla sua persona. Paolo fa suo l’atteggiamento stoico: egli è indipendente, è capace di provvedere a sé stesso e, tuttavia, non dice questo in opposizione a nessuno, ma piuttosto per ricordare che è Cristo che lo rende così. Egli è un uomo libero nel nome del Signore, pronto a sopportare ogni cosa, pronto a vivere  in ogni situazione, sicuro del sostegno di Dio che gli parla anche attraverso il sostegno della gente. Egli è in grado di essere debole con i deboli, forte con i forti: “tutto posso con Colui che mi dà forza”. Paolo non è un arrogante che pensa di fare tutto da solo: piuttosto è un uomo che si affida a Dio e che ha imparato a sopportare ogni cosa nel nome del Signore. È questo che lo rende grande.

I vv 2-23 sono la dossologia finale, il commiato che, in questa lettera, viene espresso alla comunità tutta. Questo saluto, che normalmente era scritto da San Paolo di suo pugno mentre il corpo della lettera era dettato, è volto ad affidare, ancora una volta, tutti i Filippesi alla grazia di Dio, autore di ogni bene e di ogni pace. Paolo non prende distacco dalla “sua” comunità”; piuttosto la affida alla grazia di Dio perché ciascuno possa continuare il suo cammino, lì dove il Signore vorrà.

Meditatio.

Trovo alcuni spunti di meditazione validi anche per noi:

  1. Credo, anzitutto che tutti noi, molto spesso, facciamo dipendere i nostri stati d’animo da ciò che accade. Soprattutto leghiamo la gioia a quei momenti di vita in cui le cose vanno più o meno bene o a quando non ci sono particolari difficoltà dell’esistenza. Paolo, come abbiamo visto, ha un altro criterio. Potremmo concludere questa scuola della parola ritornando sul tema dei sentimenti e su come un cristiano vive i sentimenti che gli è dato di sperimentare. Vi rimando, anzitutto, a ciò che abbiamo già avuto occasione di dire nelle meditazioni su questo testo, per poi concludere dicendo che tocca noi per primi vivere con molta attenzione questo tema bellissimo e difficile da districare, ricordando che è chiesto proprio a noi di non cadere in quelle forme di sentimentalismo oggi sempre più diffuse. Ad un mondo che vive di emozioni, ad una società che vive di condivisione di emozioni, proponiamo il comportamento di chi è “padrone” dei suoi sentimenti, il modello di chi vive ogni cosa in Cristo Risorto. Come San Paolo, come i Filippesi.
  2. Un secondo spunto di meditazione riguarda anche il nostro modo di rileggere le discordie e le crisi che si generano anche nelle nostre comunità. L’episodio di Sintiche e di Evodia, ovvero di collaboratrici che hanno momenti di discordia, è ben noto anche nelle nostre comunità. Ci sono collaboratori e collaboratrici di diversi gruppi ecclesiali che non si sopportano, non si possono vedere e, con il loro modo di fare, mettono in crisi il Vangelo che testimoniano in tanti altri ambiti della loro vita. Non siamo certo comunità esente da queste cose e, forse, nemmeno ve ne possono essere. Tuttavia il cristiano non si ferma a constatare che queste cose accadono, ma cerca di risolvere queste problematiche alla luce del Vangelo che si possiede e alla luce della fede che si professa. A tutti, comunque, al di là di un effettivo coinvolgimento in queste cose, è chiesto di pregare, perché la fede possa trionfare e perché la gioia che viene da Cristo risorto possa essere accessibile a tutti.
  3. San Paolo insiste molto anche sul fatto che la comunità di Filippi deve essere esempio al mondo. Potremmo pensare che, forse, San Paolo è andato un po’ oltre, o potremmo pensare che i Filippesi siano un po’ orgogliosi e, pieni di orgoglio, desiderino qualcosa di estremamente superiore alle loro forze. Credo però che San Paolo abbia visto solamente le potenzialità di questa comunità e stia rivolgendo ad essa un accorato richiamo. La stessa cosa vale anche per noi, la nostra comunità cristiana è davvero piena di ricchezze e di possibilità, trovo giusto che noi ci sproniamo gli uni gli altri, per vivere al meglio le possibilità comunitarie che abbiamo, anch’io dico a voi: traete il massimo profitto dalla vostra fede, cercate di essere esempio in tutto. La nostra comunità deve diventare esemplare per fede, per capacità di servizio, per opere di carità. Rispondiamo al Signore che ci ha benedetti con tanta ricchezza, mettendo a sua disposizione tutto il bene che sappiamo fare.
  4. Una quarta riflessione potrebbe riguardare il nostro rapporto con gli altri, specie nel momento del bisogno. Anche noi siamo invitati non certo a chiuderci in noi stessi e ad essere autosufficienti in tutto, quanto, piuttosto, a riconoscere come Dio ci educa facendoci passare attraverso alcune esperienze forti della vita, nelle quali noi siamo chiamati a riconoscere la volontà di Dio e, anche attraverso l’aiuto che viene dagli altri, a superare ogni prova e ogni difficoltà. Il cristiano non è uno che pensa solo a sé stesso, non è un orgoglioso che vuole fare tutto da sé, ma uno che non si vergogna di avere bisogno e uno che non teme di chiedere “nel nome del Signore”.
  5. Un ultimo spunto di meditazione potrebbe riguardare il nostro modo di vivere la vita comunitaria. La fede ha bisogno di una comunità nella quale sentirsi inserita e grazie alla quale camminare, dentro un orizzonte di autonomia e di reciproca collaborazione.

Ruminatio.

  • Quale crescita nel modo di vivere i miei sentimenti posso dire di avere acquisito?
  • Riesco a vivere ogni cosa nel Signore, come Paolo ci ha raccomandato?
  • Come vedo i rapporti nella mia comunità?
  • Se sono preso in un problema come quello di Evodia e di Sintiche, cosa posso fare per risolverlo? Se non sono dentro questa dinamica, come posso pregare per la mia comunità?
  • Quali possibilità di bene vedo nella mia comunità?
  • Quali sostengo in primissima persona?
  • Sono uno che vuole fare tutto da solo o uno che sa chiedere e che sa apprezzare l’aiuto degli altri?
  • Sono, a mia volta, capace di dare aiuto nel nome del Signore, a chi vedo nella difficoltà e nel bisogno?
  • Vivo partecipe delle realtà della mia comunità, pregando per essa?

Contenplatio.

Alla fine di questo percorso sulla lettera ai Filippesi, cerco di contemplare la bellezza della mia comunità cristiana.

Oratio.

Signore Gesù, tu che ci doni di vivere in una chiesa che guida e sostiene il nostro cammino, facci percepire sempre le bellezze del cammino comunitario. Dona a noi tutti di saper vivere con fiducia il cammino che ci proponi. Donaci di saper vivere sempre e con fede i passi che ci vorrai far fare. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.

Actio.

Oggi termina il percorso che abbiamo fatto insieme, ma non deve terminare il nostro amore per la parola di Dio e il nostro deciso rivolgerci ad essa in ogni situazione di vita. Il proposito che vorrei che facessimo è che, anche nell’estate, anche nel periodo della dispersione, potessimo fare sempre riferimento alla Parola di Dio e all’Eucarestia. Altro nutrimento prezioso per l’anima, non c’è!