Project Description
Fedeli nel bene, custoditi dal male
Fedeli nel bene, custoditi dal male
Introduzione
Richiamo solo brevemente i passi della lectio:
- La lectio. Anzitutto si individua un testo biblico di riferimento che vuole animare la serata, la preghiera, la riflessione.
- In questo secondo momento dell’esercizio di preghiera comunitaria, è un po’ compito mio far parlare il testo e cioè, in base alle sottolineature proposte dalla lectio, leggere, spiegare, alcune dimensioni che sono emerse e che interessano la riflessione.
- Proprio come i bovini, che dopo aver molto mangiato rimasticano di nuovo ciò che hanno ingerito, così il fedele che pratica la lectio, in un tempo di silenzio questa volta personale, cerca di ritornare sulla lectio e sulla meditatio, confrontando gli spunti personali con quelli che il predicatore ha predisposto.
- Dopo aver svolto tutto questo lavoro, ci si ferma. Non si scava più nel testo, non ci si trattiene più, non si approfondisce più, ma ci si concentra solo sul mistero di Dio e si cerca di contemplare un tratto, un aspetto di questo mistero, introdotti dalla lectio proposta. Anche se non siamo in chiesa e davanti al Santissimo, cerchiamo di entrare in contemplazione del mistero di Dio.
- In questo momento può nascere, o è bene che nasca, anche una preghiera personale, dettata dalla propria riflessione.
- Ogni momento di meditazione con il testo biblico, deve poi cercare anche un riscontro concreto, una “actio”, un’azione che ci viene suggerita, proposta o che vogliamo tutti eleggere.
Come si vede il lavoro è serio, metodico, composito e anche complesso. Sarà facilitato in questo metodo chi non partecipa per la prima volta a un corso di lectio divina, ma tutti ci potremo arrivare.
LA FEDELTÀ SECONDO IL SIRACIDE
Come introduzione breve a questo incontro dico solo che l’insegnamento sulla fedeltà è un’altra delle caratteristiche dominanti nella sapienza di Israele. Il Siracide torna più volte su questo tema, secondo lo schema che ormai abbiamo imparato per cui il Sapiente ritorna più volte sugli stessi argomenti, ma questa del capitolo 5 è forse una delle più significative. Così come è normale che più volte il Siracide torni sul tema dell’utilizzo della parola che, come vediamo, è il centro della seconda parte di questo brano. Con questa semplice introduzione ci immergiamo nel testo.
SIR 5, 9-15 LA STRUTTURA DEL TESTO: APPUNTI PER UNA LECTIO
Entriamo nell’analisi del quarto brano della nostra lectio divina. Come vedete la struttura è molto semplice:
- 9 incipit con un’immagine
- 10 centralità del tema: presentazione della fedeltà
- 11 2 tema: ascolto e parola
- 12-14 ascolto e parola
- 15 conclusione del tema
COSA DICE IL TESTO: APPUNTI PER UNA MEDITAZIO
Il v 9: l’immagine
La partenza di questo brano a noi dice poco, perché non apparteniamo più ad una società contadina e, quindi, sappiamo pochissimo di cosa significhi ventilare il grano e dedicarsi alle opere ad esso annesse. Così come non siamo più gente che si sposta a piedi e poco sappiamo della fatica del cammino e ancora meno della scelta di un sentiero. Sono però immagini intuibili quelle del sapiente. Il contadino, quando ha raccolto il grano e deve procedere alla messa in sicurezza del raccolto, sa quando è ora di ventilare il grano e quando è più prudente rimandare. Non è questa un’operazione che si possa compiere quando soffia il vento che disperde il raccolto nell’operazione di ventilazione: sarebbe come mandare a monte il proprio duro lavoro.
Così come chi si deve spostare da un luogo all’altro sa bene quale sentiero percorrere, sa scegliere per quale via incamminarsi. Il discernimento è essenziale per non percorrere chilometri inutili, allungando il percorso e nemmeno per intraprendere sentieri pericolosi, che possano mettere a repentaglio la propria vita. Nell’antichità erano famose le vie sulle quali si incontravano i “briganti” che andavano accuratamente selezionate per non imbattersi in essi.
Dunque il Siracide con queste immagini intende dire che alla base della vita adulta c’è una capacità di giudizio che non può essere saltata, se non si vuole perdere l’occasione di realizzare la propria vita. Forse, con un linguaggio più vicino a noi e più caro all’opera di papa Francesco, potremmo dire che all’origine della vita adulta c’è un discernimento sulle cose che occorre sempre e costantemente operare. Senza capacità di discernimento non si va da nessuna parte, senza capacità di giudizio non si procede. È questo l’incipit del tema. Immagini lontane dal nostro vissuto che dicono, però, una realtà spirituale che ci è molto cara e molto vicina. Senza discernimento, senza giudizio non si può vivere.
Credo che già qui ci sia una meditazione utilissima per noi, che molto spesso parliamo di discernimento ma assai spesso evitiamo accuratamente quel “discernimento spirituale” che il testo sottende e che il Papa ci richiama. Il discernimento, il giudizio a cui si fa riferimento non è, infatti, legato alla sola capacità di giudicare le cose dal punto di vista umano, ma implica il capire cosa esse ci dicono dal punto di vista spirituale. Questa è la vera arte del discernimento! In questa arte, dobbiamo ammetterlo, siamo tutti molto fragili anzi, molto spesso non ci chiediamo neppure cosa dicono gli eventi della nostra vita al nostro cammino spirituale. Spesso preghiamo per le cose che ci capitano, specie quando esse sono difficili da sopportare o, addirittura, dannose. Ma non ci chiediamo quasi mai cosa dicono queste cose al cammino di fede che stiamo percorrendo. La provocazione di questa sera è, dunque, fin dall’inizio molto forte e molto attuale: impariamo a capire che le cose della vita non sono solamente degli accidenti che capitano, ma delle realtà che hanno a che fare con il senso generale della nostra esistenza e per le quali noi tutti dobbiamo imparare a discernere. Il discernimento in ordine al cammino di fede è l’arte del cristiano maturo, l’arte del cristiano che vuole vivere un itinerario di santificazione personale e di edificazione di coloro che ci sono accanto.
Il v10: il tema della fedeltà.
Perché è così importante il discernimento? Perché è fondamentale che ci sia quest’opera? Perché è importante capire cosa dicono gli eventi alla mia vita e al mio spirito? Il Siracide è consapevole di questo: nella vita occorre fedeltà. Quella fedeltà che molto spesso manca all’uomo. Ecco il cuore del tema “Sii costante nel tuo sentimento e unica sia la tua parola”.
Il riferimento è ad una virtù antica apprezzata anche dalla cultura classica alla quale molti filosofi del tempo del Siracide facevano riferimento e che i latini hanno chiamato “stabilitas”, che, letteralmente, è la capacità di stare in piedi anche quando le cose vanno male. Diremmo noi la “fermezza d’animo”. Ecco il Siracide dice che uno è adulto nella fede, uno diventa sapiente, quando impara l’arte della stabilità, quando non permette che le cose della vita continuino a fargli cambiare parere, quando comprende che la fermezza è necessaria per vivere secondo lo Spirito di Dio.
La fermezza a cui fa riferimento il Siracide non nasce dall’esperienza, ma, piuttosto, dalla sua fede. Egli è convinto che Dio possa anche provare la vita di un uomo, anche per tutto il tempo della sua esistenza. L’unica risposta possibile è la fermezza, ovvero il desiderio di continuare il cammino anche quando questo diventa ripido, difficile, forse, addirittura, impossibile. Il sapiente sa bene che senza la fermezza non esiste cammino spirituale perché il primo gradino dell’esperienza spirituale è proprio questo: rimanere saldi nel Signore. È quell’atteggiamento che viene riproposto dallo stesso Signore nel corso del Vangelo e che Paolo tradurrà, poi, nella lettera ai Corinti: “perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” 1 Cor 15, 58. La stabilità implica quindi una fatica: quella di avere a cuore dei valori che sono il punto di riferimento per un’esistenza intera per poi far dipendere la vita da questi valori. La stabilità non è qualcosa che o si possiede o non si ha per nulla, ma qualcosa che si costruisce pian piano, passo dopo passo, lasciandosi educare proprio dagli eventi della vita riletti alla luce della parola di Dio. La stabilità, la perseveranza, la fermezza a cui fa riferimento il Siracide sono quindi il prodotto di un serio cammino spirituale, un cammino che deve perdurare nel tempo e che deve produrre questa virtù come punto di arrivo della propria esperienza di fede, prima ancora che umana. Chi dialoga con il Signore e diviene esperto di queste cose, vive in modo diverso rispetto a tutti.
Ancora il Siracide diceva: “sia unica la tua parola!”. Chi è cresciuto nell’arte del discernimento e chi ha compreso la forza della stabilità che viene dal cammino di fede, non parla con cuore doppio, ma sa essere uomo di verità. In questo senso si potrebbero rileggere molte pagine della predicazione del Vangelo di Gesù, e, prima di tutto, il discorso della montagna: “sia il vostro parlare sì, si, no, no! Il di più viene dal maligno”. Frase che conosciamo bene e che rispettiamo poco, infatti la nostra instabilità di vita e l’instabilità che produciamo negli altri viene proprio da questo “di più” che mettiamo in ogni discussione e che viene dal maligno, ma del quale non riusciamo a fare a meno.
Ecco il cuore di questa trattazione del Siracide. Chi è perseverante nel bene, trova Dio, chi è fedele nel proprio itinerario di ricerca di Dio vive tutto con quella fedeltà che si addice all’uomo, alla donna, che hanno la “stabilitas” come ragione di vita. Pensiamo come il nostro tempo sia proprio un altro tempo! Noi vediamo poca “stabilitas” in mezzo a noi! Anzi, vediamo proprio il contrario, vediamo molta instabilitas! È un richiamo a noi che dovremmo sempre essere quegli uomini e quelle donne animati dallo spirito di Dio che cercano la stabilità della loro esistenza.
I vv. 11-14: il secondo tema: parola e ascolto.
Così si entra nel secondo tema trattato dal Siracide in questo brano: ascolto e parola. Questo è un tema facile da comprendere e noi capiamo bene che siano confluite qui diverse attenzioni di sapienza del Siracide. Il sapiente dice: “sii pronto nell’ascoltare e lento nel dare risposta”. Proprio perché tutto centrato sulla stabilitas, l’uomo di fede è sempre pronto per ascoltare l’uomo e i suoi bisogni, ma molto prudente nel parlare. Quando parla l’uomo di fede, fa vibrare le sue riflessioni, lascia trasparire i suoi valori. Non si abbandona ad un chiacchiericcio superficiale, non cede al pettegolezzo, non entra in quelle discussioni che sono inutili, sterili, non risponde alle accuse che non meritano di essere raccolte. Il sapiente vive anche di silenzio, sapendo che la stabilità della sua vita è fondata in Dio e che nulla può scalfire questa stabilità.
Noi viviamo proprio in un altro mondo! Non solo perché abbondiamo di parola, ma anche perché affidiamo spessissimo le nostre riflessioni ai social, che permettono intanto un permanere delle cose oltre il tempo che sarebbe proprio della Parola, ma, poi, rendono possibile l’intervento, la risposta, il ribattere ad un’opzione che non condividiamo… con il risultato che molta gente perde moltissimo tempo proprio nel continuo verificare questi mezzi di comunicazione e nel continuare ad intervenire in risposta a ciò che non si ritiene vero o sensato. Così si perde quella stabilitas di cui il sapiente ci ha parlato e si cade, pericolosamente, nel baratro delle parole che vengono dal maligno, provocando inutili divisioni e allontanamenti dolorosi. Il cristiano dovrebbe saper ascoltare chiedendo il dono dello Spirito Santo, per esprimere, poi, con la virtù del consiglio, il proprio parere. Consiglio che, quindi, non nasce dall’esperienza, non nasce dal buon senso ma, senza mettere da parte queste realtà importantissime, viene dalla fede. Con queste parole del Siracide possiamo rileggere le parole di san Giacomo, che è, tra gli autori del nuovo testamento, quello che ha riflettuto maggiormente su queste cose: possiamo rileggere, per esempio, Gc 1, 19-24: “Lo sapete, fratelli miei carissimi: ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira. 20Infatti l’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. 21Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. 22Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; 23perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: 24appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era”. Come vedete la parola del Siracide ha plasmato moltissimo il nuovo testamento, la predicazione del Signore e, quindi, quella apostolica. Impariamo e ricordiamo che il cristiano ascolta, prega lo Spirito Santo e si presta a dare quel consiglio che lo Spirito accende dentro di lui per il bene spirituale delle persone. Se ci attenessimo a questa regola, tutti eviteremmo davvero bruttissimi scivoloni e saremmo più attenti a quello che diciamo!
Il Siracide pone poi anche l’accento della propria attenzione sul non divenire calunniatore. Il passo, in effetti, è breve. Se uno parla troppo, se uno parla senza ricorrere alla virtù dello Spirito Santo e del consiglio che da esso deriva, rischia, davvero, di dire calunnie su qualcuno, anche noi vediamo come questo sia presente nella nostra società. Auguriamoci di non essere noi tra quelli che compiono questo passo breve e pericolosissimo.
Il v. 15: la conclusione
La conclusione è una ulteriore espressione di sapienza: “non fare del male, né poco, né tanto”. Se hai capito cosa è la stabilità del cuore, se hai imparato a controllarti nelle tue parole, se sai che Dio ti segue, ti accompagna, ti aiuta nel tuo percorso di crescita, allora hai orrore del male e sei capace di capire che il male non va mai fatto! Il male va sempre evitato! L’uomo di fede non si lascia mai vincere dal male, non si consola dicendo che da lui viene poco male, viene un “male minore” rispetto a quello che altri uomini, altre donne producono nel mondo. Questo sarebbe troppo poco! Il cristiano, specialmente, non si può fermare a questa visione delle cose, ma deve sempre tendere al bene, in ogni occasione e in ogni modo. Questo è l’atteggiamento tipico di chi ha la stabilità del cuore, che anche San Paolo ci ha insegnato nella lettera ai Romani: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”. Il cristiano che ha accolto l’invito di sapienza che si è rivelato nel Signore Gesù che è la sapienza incarnata, non si lascia mai vincere dal male, ma propone sempre il bene come reazione al male e fa di tutto perché il suo modo di guardare alla realtà, il suo modo di parlare, il suo modo anche di intervenire tra le cose che avvengono, sia sempre occasione per cercare il bene. È questa la sintesi più alta a cui giunge il Nuovo testamento e a cui il testo sacro fa giungere anche noi. Noi siamo tra coloro che devono sempre cercare di vincere il male con il bene, perché questo è ciò che è richiesto a chi ha nel cuore la Parola di Dio. Così è dell’uomo sapiente che non agisce sotto il comando delle passioni, tema sul quale torneremo nel corso delle prossime lectiones.
QUALCHE DOMANDA: APPUNTI PER UNA RUMINATIO
Sul discernimento:
- Ho la capacità di fermarmi a riflettere su quello che mi capita?
- Per me vivere un’opera di discernimento significa solo capire cosa dicono gli eventi o sono capace di capirne la portata a livello spirituale?
- Lascio che gli eventi della mia vita mi dicano in quale direzione camminare per vivere una vita secondo lo spirito?
Sulla costanza:
- Sono uno che è fedele ai propri propositi?
- Ancor di più sono uno che è fedele nella vita?
- La mia fedeltà nasce dal continuo sforzo di vigilanza su me stesso o da valori assodati che regolano la mia esistenza?
Sulla dinamica ascolto – parola:
- Sono capace di vero ascolto?
- Desidero intervenire su ogni questione e cerco visibilità sui social?
- La mia capacità di consiglio viene dalla virtù della prudenza e della richiesta costante del dono dello Spirito Santo?
- La mia parola diventa calunnia, o ho rischiato di farlo?
Sulla sintesi di sapienza – conclusione:
- Cerco, per quanto mi è possibile, di vincere il male con il bene?
- Giustifico il male che esce da me dicendo che comunque è poca cosa?
- So cercare di porre un argine al male che pure è in me?
UNA PREGHIERA: APERTURA ALL’ORATIO
Signore Gesù, tu che chiedi di saper essere luce e sale del mondo, aiutaci fare più silenzio e donaci quella stabilità del cuore che è la culla di ogni possibile bene da compiere.
UNA PROPOSTA: APPUNTI PER UNA POSSIBILE ACTIO
Per il prossimo mese penso che potremmo tutti rivedere la posizione di “stabilitas” della nostra vita, iniziando magari quel digiuno dalle parole che ci introduce già nel tempo quaresimale. Digiuno che potremmo estendere ai social, dai quali, sempre, prendere le distanze, se non vogliamo finire per essere divisori di comunità e distruttori di legami.