La fatica del lavoro: una nobile preghiera2021-03-18T17:55:48+01:00

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La fatica del lavoro: una nobile preghiera

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La fatica del lavoro: una nobile preghiera

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Introduzione

Richiamo solo brevemente i passi della lectio:

  1. La lectio. Anzitutto si individua un testo biblico di riferimento che vuole animare la serata, la preghiera, la riflessione.
  2. In questo secondo momento dell’esercizio di preghiera comunitaria, è un po’ compito mio far parlare il testo e cioè, in base alle sottolineature proposte dalla lectio, leggere, spiegare, alcune dimensioni che sono emerse e che interessano la riflessione.
  3. Proprio come i bovini, che dopo aver molto mangiato rimasticano di nuovo ciò che hanno ingerito, così il fedele che pratica la lectio, in un tempo di silenzio questa volta personale, cerca di ritornare sulla lectio e sulla meditatio, confrontando gli spunti personali con quelli che il predicatore ha predisposto.
  4. Dopo aver svolto tutto questo lavoro, ci si ferma. Non si scava più nel testo, non ci si trattiene più, non si approfondisce più, ma ci si concentra solo sul mistero di Dio e si cerca di contemplare un tratto, un aspetto di questo mistero, introdotti dalla lectio proposta. Anche se non siamo in chiesa e davanti al Santissimo, cerchiamo di entrare in contemplazione del mistero di Dio.
  5. In questo momento può nascere, o è bene che nasca, anche una preghiera personale, dettata dalla propria riflessione.
  6. Ogni momento di meditazione con il testo biblico, deve poi cercare anche un riscontro concreto, una “actio”, un’azione che ci viene suggerita, proposta o che vogliamo tutti eleggere.

Come si vede il lavoro è serio, metodico, composito e anche complesso. Sarà facilitato in questo metodo chi non partecipa per la prima volta a un corso di lectio divina, ma tutti ci potremo arrivare.

PREMESSA

Siamo già al penultimo incontro della nostra lectio divina di quest’anno e affrontiamo un tema molto bello e molto pratico: il lavoro. Iniziamo, come sempre, con una premessa. Il tema del lavoro è stato molto trattato nell’antichità. Vi si sono dedicati molti autori in tutte le culture, in modo molto differente. Questo per farvi capire il clima all’interno del quale ci muoviamo. Normalmente tutte le culture antiche distinguono il lavoro manuale dal lavoro intellettuale e assegnano il primato al lavoro intellettuale a scapito di quello manuale. Gesù Ben sira conosce molto bene sia le trattazioni dei Babilonesi che quelle egizie. Sa bene che i babilonesi pongono un dio a proteggere ogni arte dell’uomo, ma sa anche molto bene che, per il mondo sumerico in genere, esiste una vera e propria gerarchia dei lavori, una vera e propria classificazione delle opere. Gesù ben Sira, come ho già spiegato, viene anche in contatto con la cultura degli egizi, in Alessandria e nella sua grande biblioteca. Conosce molto bene che gli egizi classificano e distinguono i lavoro secondo una gerarchia piuttosto rigida ed è venuto in contatto con le loro opere. Il sapiente biblico dimostra di conoscere un’opera molto famosa degli egizi: la satira dei mestieri o “insegnamento di Ketty”, un’opera che classifica e divide tutte le arti degli uomini denigrandole e mettendo in ridicolo gli atteggiamenti di questa categoria piuttosto che di quest’altra.

Gesù ben Sira non aderisce a questi insegnamenti.

Egli conosce molto bene ciò che la Genesi insegna a proposito del lavoro umano: è partecipazione all’opera del creatore. È come se l’opera della creazione fosse, in un certo qual senso, incompiuta, come se Dio avesse lasciato l’opera della creazione nelle mani degli uomini perché essi, ciascuno con i suoi talenti e con le sue capacità, portasse a compimento quello che Dio ha iniziato.

La Genesi esprime questa consapevolezza anzitutto con il verbo ‘AVAD che significa lavorare la terra con il sudore della fronte. Per la Scrittura il lavoro è dedizione, è fonte di fatica, è collaborazione faticosa, è lavoro della terra che il creatore ha dato agli uomini.

Inoltre questa visione è completata da ciò che viene espresso con il verbo ‘SHAMAR che significa custodire. L’uomo è custode del creato. Vi partecipa con la sua opera, interagisce con esso, mette tutto ciò che sa fare a servizio degli altri uomini, in una parola deve custodire ciò che ha ricevuto come dono perché anche altri uomini possano fruirne e lodare Dio per la sua provvidenza.

In sintesi potremmo dire che, a differenza delle altre culture, l’uomo biblico non percepisce il lavoro come una condanna, come una sorta di maledizione, come un sottostare ai capricci degli dei che rovinano il suo operato. L’uomo biblico sa che il suo lavoro è partecipazione all’opera di Dio, è custodia del creato, è partecipazione della stessa attività creatrice di Dio.

È con queste premesse che possiamo entrare nel merito del brano che abbiamo scelto per questa sera. Ricordo solo, infine, che la parte di scrittura che abbiamo selezionato fa parte di un trittico.

La prima parte, Sir 38, 1-23 è dedicata al tema del lavoro del medico. È una sezione molto bella, che vi raccomando di leggere, perché dice che il medico ha il compito di studiare le malattia per guarire gli effetti perversi di esse. Nel suo lavoro è aiutato dal farmacista, che è colui che prepara le medicine che il medico prescrive. Credo che sia un’immagine che anche i più anziani di voi hanno visto: anche mio papà ricorda la sua giovinezza quando si andava dal medico che faceva la sua diagnosi e mandava dal farmacista che miscelava ciò che occorreva come medicina. E tuttavia il Siracide, ha un’affermazione molto bella: è Dio che guarisce. Il medico collabora, il farmacista collabora, ma è Dio che guarisce. Vi metto in parallelo queste affermazioni con la storia di Tobia, o con l’episodio dell’emorroissa del Vangelo, dove si dice che la donna aveva speso tutti i suoi averi ricorrendo a molti medici che, però, non l’avevano guarita, anzi era peggiorata… una descrizione molto bella che dice quello che noi stiamo dimenticando: la scienza ha il dovere di proseguire gli studi, le indagini e di trovare le cure, ma nulla avviene se Dio non lo vuole… un’affermazione di grande attualità in questi giorni che dovrebbe muoversi a dire che noi cristiani confidiamo nella scienza, ma crediamo in Dio. Mi pare che troppo spesso anche noi cristiani ci limitiamo a dire che crediamo nella scienza… forse è per questo che non possiamo vedere l’aiuto di Dio…

La terza parte è quella contenuta nel capitolo 39, che è dedicata allo scriba, colui che svolge un lavoro intellettuale. È una parte importante di questo trittico e, se la leggerete voi, vedrete che non si esalta mai il lavoro dello scriba a scapito di quello manuale. È vero, dice Gesù ben Sira, il lavoro intellettuale permette all’uomo di crescere nella scienza, e tuttavia è necessario il lavoro di tutti per custodire la creazione e per vivere bene nel costante tentativo di far progredire la creazione stessa. E così possiamo comprendere la pericope che abbiamo scelto.

Sir 38, 24-34 la struttura del testo: appunti per una lectio

Entriamo nell’analisi del quarto brano della nostra lectio divina. Possiamo rifarci a questa struttura:

Il lavoro manuale:

  • v. 24 lo scriba: allo scriba spetta il compito di investigare sulla sapienza e di riflettere, anche per gli altri, su questo dono di Dio che deve illuminare tutta l’umanità;
  • vv. 25-26 il fattore: nella bellissima descrizione del suo lavoro che lo porta ad essere sempre troppo preso nei campi o nel mettere in ordine la stalla per dedicarsi alla sapienza;
  • v. 27 l’artista o l’orafo: si apprezza la precisione nel riprodurre il disegno per realizzare spille e monili, ma anche costui mette tutta la sua fatica nella sua arte, sottraendo anche il tempo al sonno per dedicarsi al lavoro, senza riflettere sulla sapienza;
  • v. 28 il fabbro: costui lotta per la sopravvivenza nella fornace, tra il calore del fuoco e il rumore del martello sull’incudine;
  • vv. 29-30 il vasaio/ceramista: sempre in ansia per il suo lavoro che coinvolge il suo sguardo, la sua intelligenza, le sue mani e i suoi piedi, occupando tutto il suo tempo ed anche la sua fatica, oppure dedicandosi alla pulizia degli ambienti.

vv. 31.33 la sintesi: è qui che il Siracide si discosta da tutti gli insegnamenti del passato e delle culture del mondo antico. Egli sa bene che ci sono lavori più nobili e lavori meno nobili; sa bene che c’è chi può dedicarsi alla sapienza e chi vive solo faticando; sa bene che una civiltà si vede da come vive la ricerca del diritto, da come gestisce le sue istituzioni, da come permette all’uomo di crescere nella pace e nella libertà, eppure non subordina niente a nessuno. Tutti, infatti, sono necessari per costruire una città. È questa la vera rivoluzione del Siracide: non la gerarchia dei lavori, come dicevano le altre culture, ma la collaborazione tra tutti permette di arrivare ad un risultato bello per ciascuno e ad una grande conquista per la civiltà. Senza la collaborazione di tutti, anche dei più umili, non si cresce veramente. Una società che lasciasse indietro qualcuno, una società che, per dirla con Papa Francesco, producesse degli scarti, non è una civiltà appezzata da Dio che chiede all’uomo di custodire la creazione e di farla avanzare fino a che egli vorrà.

v. 34 la conclusione: pone differenza tra il lavoro manuale pratico e tuttavia è contro ogni delirio di onnipotenza. Tutti gli uomini possono crescere umilmente nella loro arte, per il bene e il progresso di tutti. Qui la traduzione migliore che è il capolavoro del Siracide: “il loro mestiere è la loro preghiera”. Una frase bellissima che ci aiuta a capire che la preghiera non è un’altra attività rispetto a quelle che già facciamo, qualcosa che si deve aggiungere alle altre cose del giorno, qualcosa che, giacché non preghiamo abbastanza, sana il lavoro manuale che ci coinvolge per diverse ore della giornata. Molti hanno questa idea che è un retaggio dei secoli passati: la vera vocazione è quella dell’orante. Gli altri mestieri sono tutti di serie B e, giacché uno non ha scelto la nobile arte della preghiera e della meditazione, almeno cerchi di pregare un poco! No! Il Siracide dice: il loro mestiere, se fatto bene, se fatto con passione, tenacia, ingegno, dedizione, amore, anche se non è il mestiere più utile della terra, è già una preghiera! Insegnamento che darà poi Gesù esplicitamente nel Vangelo: la preghiera dà forma alle cose della giornata dell’uomo, non è una cosa che si aggiunge alla fatica di ogni giorno.

Cosa dice il testo: appunti per una ulteriore meditazione

Il Siracide, quindi afferma che:

  • Il lavoro dello scriba, il lavoro intellettuale è sì, in un certo senso, superiore agli altri mestieri, ma guai a disprezzare chi fa un lavoro manuale: tutto è utile per il bene di una società che deve crescere ad immagine di Dio;
  • Non esistono nemmeno uomini di serie A e di serie B: tutti sono stati creati dall’unico creatore e tutti crescono ad immagine di Lui;
  • La sapienza non è esclusivo monopolio dei letterati. Anche chi fa un lavoro manuale, anche chi fa un lavoro umile ha una sua sapienza, che gli viene dall’esperienza. Anche chi fa un lavoro pratico offre alla collettività la sua sapienza.
  • Lo scriba, chi fa un lavoro intellettuale, ha, caso mai, il compito di illuminare una civiltà, ha il compito di vedere un poco più avanti rispetto agli altri, ha il compito di custodire ciò che gli viene dato dalla tradizione e di rilanciare in avanti il cammino di tutti, perché tutti possano goderne i frutti.

Provocazioni sul tema del lavoro

A questo punto anche noi possiamo raccogliere non poche provocazioni per la nostra riflessione personale su un tema che, come voi tutti capite, non solo è sempre di attualità in ogni epoca della storia, ma acquista una particolare luce di riflessione in questo nostro tempo, in questa nostra storia, in questo momento del tutto particolare che stiamo vivendo, alla luce di quello che stiamo sperimentando.

  1. Anzitutto sulla preziosità del lavoro: ogni uomo è reso nobile dal suo lavoro. È la questione dell’importanza del lavoro per la dignità umana che l’insegnamento morale della Chiesa ha sempre messo in luce.
  2. Il Siracide ci ha anche detto che non si può essere centrati troppo sulle proprie esperienze personali, perché esse degenerano nell’egoismo e producono solo un bene per pochi, il che è contrario alla creazione e alla logica di Dio.
  3. Lo sfruttamento delle risorse disposte per l’uomo è l’altro male che il sapiente ci chiede di evitare, anche per non andare incontro a quello “squilibrio ecologico” che noi vediamo bene nel nostro mondo. Pensate che tutto questo è stato scritto quando di tutte queste cose non si sapeva assolutamente nulla, il che ci fa capire la freschezza e la modernità del testo biblico, sempre!
  4. La dottrina sociale della Chiesa vuole riportare alla luce il compimento verso il quale siamo diretti e rimettere ciascuno di noi nella carreggiata giusta sulla quale dobbiamo sempre vigilare.
  5. Vi invito anche a rileggere Evangelii Gaudium, al numero 53, dove il Papa parla di quella “cultura dello scarto” che spesso è presente nei suoi discorsi e nel suo magistero e che sempre dobbiamo considerare per non cadere nell’errore di essere noi una cultura che produce uno scarto intollerabile.

Qualche domanda: appunti per una ruminatio

Credo che il testo ci introduca alla riflessione per farci chiedere:

  • Come vivo il mio lavoro?
  • Come vedo e come valorizzo il lavoro degli altri?
  • Sono un uomo, una donna che produce comunione per il bene comune o uno che pensa ai propri affari e che cerca solo il suo profitto?
  • Cosa penso della cultura dello scarto di cui parla spesso il Papa?
  • Il mio modo di vedere, di agire nella storia è stato un modo che ha prodotto questi scarti umani o mi ha permesso di incamminarmi nella strada della corresponsabilità e nella logica della edificazione della casa comune?
  • Oggi chi sono i fari della società in cui vivo?
  • Chi ritengo fari per il mio tempo e chi voglio seguire?
  • In che senso anche il mio lavoro è la mia preghiera?
  • In questo tempo di quaresima che volge ormai nella parte finale, cosa posso fare per non vivere la preghiera come un lavoro in più ma per essere attento allo spirito della preghiera che rende vera, bella, pura ogni cosa?

Una preghiera: apertura all’oratio

Signore tu hai voluto che l’uomo edificasse la terra. Non sempre siamo stati custodi del dono, né interpreti dei tuoi voleri, né collaboratori della gioia comune. Insegnaci a guardare al mondo come tu lo guardi e a fare del nostro lavoro un’offerta da porre nella tue mani. Così sia.

Una proposta: appunti per una possibile actio

  • Vivere bene la settima autentica.
  • Vivere bene il lavoro