Le emozioni che nascono dalla Fede.
Mistero dell’Incarnazione,
4a domenica di Avvento
Una rivalutazione della nostra preghiera, una decisa attenzione alla sobrietà, una rinnovata capacità di crescere nella valutazione della storia personale e comunitaria illuminati dalla fede. Questo l’itinerario dell’avvento da cui proveniamo. Itinerario che oggi ci chiede di riflettere decisamente sulle nostre emozioni.
Vangelo
Os 1, 6 – 2, 2
Lettura del profeta Osea
In quei giorni. La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea: «Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d’Israele, non li perdonerò più. Invece io amerò la casa di Giuda e li salverò nel Signore, loro Dio; non li salverò con l’arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri». Quando ebbe svezzato Nonamata, Gomer concepì e partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Non-popolo-mio, perché voi non siete popolo mio e io per voi non sono. Il numero degli Israeliti sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. E avverrà che invece di dire loro: “Voi non siete popolo mio”, si dirà loro: “Siete figli del Dio vivente”.
I figli di Giuda e i figli d’Israele si riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dalla terra, perché grande sarà il giorno di Izreèl!».
In primo piano, come sempre, nel vangelo, ci sono proprio le emozioni.
Le emozioni della folla che, radunata in massa a Gerusalemme per la festività della Pasqua, offre a Gesù che entra nella città, l’omaggio degno di un re. Sono in primo piano:
- Le emozioni che nascono dalla fede: la folla sa che il suo salire sul puledro per entrare nella città santa passando per il monte degli ulivi, richiama la profezia di Zaccaria. La folla rilegge questo evento alla luce della propria fede e, per questo, genera emozioni grandi che spingono ciascuno a prendere rami di ulivo e di palma, mentre nasce l’acclamazione spontanea “osanna”;
- Le emozioni dei discepoli, che vedono il loro maestro riconosciuto ed anzi osannato e pensano che quello sia il primo atto del regno che deve venire, il giusto riconoscimento che viene tributato a Gesù;
- Le emozioni stesse di Gesù, che lascia che la folla lo accolga e lo osanni come meglio crede, senza vivere nessun gesto o nessuna parola di opposizione. Anche Gesù, come sempre, sa provare le emozioni degli uomini in uno stile di vera condivisione, quella scelta, appunto, a partire dal mistero dell’Incarnazione che ci apprestiamo a celebrare.
Con una differenza, però, molto evidente e molto forte. Mentre la folla di Gerusalemme appare in balia delle proprie emozioni e dei propri desideri, Gesù, al contrario, è pienamente padrone di sé stesso e del tutto capace di motivare le sue azioni e di interpretare i suoi sentimenti. Gesù sa che il suo ultimo ingresso a Gerusalemme è in vista della sua passione, della sua donazione totale ed esclusiva al Padre per la salvezza degli uomini e non muta questo desiderio di donarsi al Padre nel pieno compimento della sua volontà. A differenza degli uomini che, come tutti sappiamo benissimo, solamente pochi giorni dopo questo osanna, questo tributo al Signore, condanneranno Gesù alla crocifissione.
Il Vangelo ci permette, dunque, di riflettere sul senso di mutevolezza che emozioni e sentimenti generano nel cuore umano e sulla stabilità di Cristo che pure prova sentimenti ed emozioni forti, come tutti gli uomini.
Isaia
Is 40, 1-11
Lettura del profeta Isaia
«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio –. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre. Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Anche il profeta Isaia è un profondo conoscitore del cuore dell’uomo. Egli sa bene che sentimenti ed emozioni, nell’uomo, sono mutevoli, a differenza di Dio che vive solo di amore donato. Il profeta sa benissimo che l’esilio che ha provato duramente e che ha decimato il popolo di Israele, ha generato sensazioni negative nel cuore di tutti gli ebrei. Ora egli annuncia il ritorno in patria, suscitando nuove emozioni, nuovi sentimenti di esultanza e di gioia. Il popolo purificato nel tempo della sua sofferenza nei suoi sentimenti e nelle sue emozioni, torna nella sua patria, ma il profeta sa benissimo che riaccadrà ancora. Riaccadrà ancora che il cuore dell’uomo si rivolgerà contro Dio. Riaccadrà ancora che il cuore dell’uomo non comprenderà la sua misericordia e il suo perdono, i suoi richiami a vivere con i medesimi sentimenti e con le medesime emozioni che Dio prova a partire dal suo cuore di padre. Per questo dice: “il popolo è come l’erba: secca l’erba e appassisce il fiore”, per dire, con un’immagine, il senso di mutevolezza che, da sempre, è insito nel cuore dell’uomo. Il profeta diceva anche: “la Parola di Dio rimane per sempre”. Egli si riferisce ai sentimenti di Dio che non cambiano mai e che sono sempre fonte di ogni bene per tutti gli uomini.
Ebrei
Eb 10, 5-9a
Lettera agli Ebrei
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.
Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”». Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà».
Così anche l’autore della lettera agli ebrei che, riflettendo sulla vita di Cristo illuminata dalle scritture profetiche che egli conosce molto bene, arriva a dire che il corpo di Cristo, preparato da Dio per compiere il mistero della redenzione, è il momento della storia in cui brilla tutta la stabilità dell’amore di Dio. L’amore di Dio per l’uomo è così stabile e così indistruttibile da rimanere per sempre, oltre qualsivoglia peccato. È la volontà di Dio a guidare l’agire di Gesù sempre. È la ricerca della volontà di Dio ad essere sempre al centro di ogni riflessione del Signore e di ogni sua azione. La stabilità dei sentimenti di Dio brilla sulla Croce di Cristo, evento che fissa per sempre l’amore di Dio per l’uomo. Tutti i sentimenti e tutte le emozioni di Cristo si fissano lì e rimangono il segno della sua incrollabile fedeltà al padre, ma anche della sua altrettanto incrollabile fedeltà all’uomo. Per amore Dio si lascia perfino crocifiggere.
Per Noi
Credo che noi tutti sperimentiamo il continuo mutare delle nostre emozioni e sentimenti. Siamo tutti, chi più chi meno, in balia delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti. Taluni in modo del tutto disordinato: sono coloro che agiscono sempre emotivamente e senza mai avere un accenno di stabilità; altri, invece, tentando almeno un possibile controllo sui propri sentimenti, che, però, rischia di naufragare, perché sorretto solamente dalla volontà. Il Vangelo ci dice, con chiarezza, insieme alle altre scritture di questo giorno, che è solo in Cristo che si può trovare quella stabilità della vita che salva. Quella stabilità che nasce dalla fede, che nasce dal professare i valori del Vangelo, che nasce dal sentire che Dio ci invita a questo, a dare stabilità e senso ai nostri sentimenti, per non essere in balia delle emozioni.
Così è anche per il Natale. Se non siamo capaci di dare il contenuto cristiano, religioso a questa festa, è chiaro che il Natale apparirà solamente come la festa delle proprie emozioni dei propri sentimenti. Ci si emozionerà per le luci, per le feste, per i raduni, per i regali, per i viaggi… ci si emozionerà un po’ per tutto, per poi dover constatare che questa emozione passerà, finirà, cesserà, muterà. Per avere poi l’impressione che il Natale è una festa vuota, senza senso, quasi solo un rito di tradizione da onorare, ma sempre più distrattamente.
Se invece comprendiamo che il natale è la festa della nascita del Salvatore, se celebrare il Natale in modo da poter comprendere i suoi sentimenti di donazione all’uomo, di vicinanza alla vita, di amore per tutti gli uomini, allora desidereremo anche noi fare altrettanto, crescere nel desiderio di imitazione di Cristo, in questa continua donazione di amore che sarà possibile anche per noi.
Mettiamo ordine dentro noi stessi, lasciamo che sia il Signore a dare un ordine ai nostri desideri e alle nostre emozioni. Scopriremo che il Signore è già molto più vicino di quanto crediamo e che solo al Signore dobbiamo guardare se vogliamo giungere a quella stabilità di vita che si addice ad un credente che vuole essere adulto nel suo modo di professare e di manifestare la sua fede.