5° Incontro – Pregare in famiglia2023-01-20T20:19:02+01:00

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Pregare in famiglia

 

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Ripresa

Cominciamo questa sera un secondo ciclo della scuola di preghiera che mette al centro della nostra attenzione tre diversi “casi” di preghiera: la preghiera in famiglia, la preghiera di contemplazione e la preghiera di fronte alla morte. Sono tre casi di preghiera che tutti incontriamo e che provocano la nostra riflessione ma anche il nostro modo di pregare che, come è ovvio, deve essere diverso nei diversi momenti di vita ai quali abbiamo brevemente accennato. Come al solito introduciamoci per gradi.

Esercizio iniziale

Invito a chiedersi:

  • Cosa mi rimane del precedente ciclo?
  • Quanto ho ripensato alla mia azione di preghiera e alla struttura della mia vita spirituale?
  • Il Natale che abbiamo celebrato è stato occasione di preghiera per me e la mia famiglia?
  • Come avviene, in questa fase della mia vita, la preghiera in famiglia?
  • Come quella nella coppia?
  • Che coinvolgimento abbiamo con i nostri figli e i nostri nipoti?
  • Cosa ci frena nel proporre una vita di preghiera in famiglia?
  • Quali reticenze viviamo?
  • Di quali difficoltà sentiamo parlare dai nostri figli o nipoti?
  • Che ricordo abbiamo della nostra preghiera in famiglia?

La preghiera in famiglia nel pensiero di Paolo VI

Prima di inoltrarmi nel Vangelo, per altro molto noto, in vista della festa della famiglia che celebriamo l’ultima domenica di gennaio, vorrei soffermarmi su due citazioni di San Paolo VI. Sono parte di un discorso che il Santo Papa pronunciò nel 1964, quando venne pellegrino in Terra Santa, il primo Papa dopo San Pietro a fare ritorno nella terra di Gesù. Sono parole che pronunciò proprio a Nazareth, mentre ripensava all’esempio della Santa Famiglia.

Alla scuola della Santa Famiglia noi comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli di Cristo”.

Di questa prima parola del Papa mi interessa sottolineare l’espressione “disciplina spirituale”. Il Santo Papa ci ricorda che anche la preghiera in famiglia ha bisogno di una sua “disciplina”, cioè di una sua regola. Senza una regola, senza una sua interiore chiarezza, la vita spirituale non solo non nasce, non cresce, ma nemmeno può andare avanti. La Santa Famiglia ha avuto una sua disciplina spirituale.  Cosa intende il Papa? Ce lo spiega con un suo secondo intervento:

La Santa Famiglia, in primo luogo ci insegna il silenzio. Oh, se nascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori, suoni e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri”.

Il Santo Padre ci indica chiaramente i punti essenziali della disciplina di preghiera della Santa Famiglia:

  • Il silenzio. Anzitutto il primo tratto distintivo della Santa Famiglia è il silenzio. Possiamo pensare al silenzio di Maria, quale silenzio interiore che noi vediamo risplendere nell’annunciazione, o al silenzio di Giuseppe, che, per la verità, rimane in silenzio in tutto il Vangelo. Il silenzio di Maria e di Giuseppe è il silenzio della preghiera personale, di cui abbiamo già parlato, è il silenzio della meditazione, è il silenzio interiore nel quale si ripensa alle cose della vita alla luce delle cose di Dio. È questo il silenzio che ci ispira la Santa Famiglia. Un silenzio non vuoto, non sterile, ma il silenzio che si nutre di Dio. Questo silenzio è chiamato da Paolo VI indispensabile per non cadere nelle voci “tumultuose” della città. Se questo era vero nel 1964 pensiamo a noi oggi! Il silenzio è ancor meno presente nel nostro mondo, nella nostra società, nel nostro cuore, soprattutto.
  • Essere fermi nei buoni pensieri. In effetti un secondo tratto della Santa Famiglia è la fermezza, la stabilità nei buoni pensieri. Proviamo a pensare quando Giuseppe vien messo a conoscenza di ciò che sta avvenendo in Maria, della sua maternità alla quale egli non ha preso parte. Giuseppe medita su come rimandarla senza ferire il suo onore, perché vorrebbe ritirarsi di fronte ad un’opera grande, l’opera dello Spirito di Dio che è già in azione. Giuseppe rimane fermo nel suo pensiero e nel suo proposito di essere lo sposo di Maria. Non si ferma di fronte a ciò che sta avvenendo. Si lascia guidare, ancora una volta, da Dio e da ciò che egli rivela. Oppure pensiamo alla fermezza di entrambi, quando vanno a Betlemme per la nascita del Signore, come abbiamo appena celebrato nel mistero natalizio. O ancora pensiamo alla fermezza durante la fuga in Egitto o nel successivo ritorno a Nazareth. La Santa Famiglia ci dice che dal suo silenzio ha fatto nascere questo atteggiamento di fermezza interiore che è stato anche atteggiamento di discernimento costante della volontà di Dio.
  • Essere attenti alla vita interiore. Se questo è avvenuto, è certamente per la grande attenzione che Maria e Giuseppe hanno dato alla loro vita interiore. Hanno saputo inquadrare i singoli fatti della vita, che potevano anche essere difficili, pieni di agitazione e di preoccupazione, alla luce della fede che hanno saputo vivere e celebrare. Non sono stati vittima delle loro emozioni, non hanno preso decisioni immediate circa la vita della famiglia in base a quello che sentivano, ma hanno riportato tutto dentro sé stessi, attendendo anche quella illuminazione dello Spirito che non ha tardato ad arrivare.
  • Pronti a sentire le ispirazioni di Dio. Maria e Giuseppe hanno avvertito le ispirazioni di Dio. Hanno saputo capire cosa Dio diceva a ciascuno di loro e alla loro famiglia. Certo, hanno avuto particolari rivelazioni, ma non sono stati esenti dalla fatica del discernimento, quella fatica che deve riguardare anche ciascuno di noi.
  • Seguire i veri maestri. Maria e Giuseppe hanno avuto un Maestro interiore, come abbiamo tutti noi, che è lo Spirito Santo. Hanno anche avuto un Maestro in famiglia, il Signore Gesù. Anche loro hanno ascoltato la sua predicazione, almeno quella di quando aveva 12 anni che adesso vedremo. Poi Maria ha potuto ascoltare tutta la predicazione del Signore, mentre, come riteniamo, Giuseppe deve essere morto prima del vivo del ministero del Signore Gesù. Certamente hanno avuto anche altri maestri: i dottori della sinagoga, e, soprattutto, gli autori dei salmi, che ripetevano in continuazione nella loro preghiera. Maria e Giuseppe che, per noi, sono maestri di preghiera, di silenzio, di interiorità profonda, di adesione alla volontà di Dio, hanno avuto anche loro i loro maestri spirituali.
L’insegnamento

La Santa Famiglia ci insegna che ogni famiglia deve avere attenzione a questi elementi del cammino:

  1. Silenzio
  2. Fermezza nei buoni pensieri
  3. Essere attenti alla vita interiore
  4. Discernimento sulle ispirazioni di Dio
  5. Ascolto dei veri maestri
Esercizio:
  • In famiglia siamo attenti a questi “ingredienti” del cammino?
  • Cosa riusciamo a fare nella nostra famiglia rispetto a questa regola di vita?
  • Cosa non riusciamo a fare in famiglia di tutto questo?

Gesù al tempio
Lc 2, 41-52

Il contesto

Il contesto è da tutti noi conosciuto e non mi dilungo in esso. Gesù ha 12 anni, è l’età nella quale ogni figlio maschio sostiene, a Gerusalemme, il “bar mitzpà”, l’esame di fede che immetteva nella vita adulta e che garantiva ad ogni figlio maschio di essere autonomo rispetto alla famiglia di origine. Un giorno di festa, un giorno solenne nel quale il padre del ragazzo, che aveva curato la sua formazione spirituale, veniva “liberato” dalla responsabilità della sua anima. Da quel momento il ragazzo doveva badare da solo alla sua vita interiore, alla sua anima della quale diventava responsabile davanti a Dio. Un giorno solenne, ricco di tensione, ma pieno anche di festa. Quando un ragazzo “passava” l’esame, era giorno di festa per tutta la sua famiglia, per tutto il suo villaggio, se proveniva da piccoli centri. A Gesù accade questo. La Santa Famiglia non va da sola a Gerusalemme, si fa accompagnare. Dai parenti, dagli amici, dalla “carovana”, dice San Luca. Il particolare non è di poco conto. La Santa Famiglia, con tutta quella grazia e tutti quegli aiuti del cielo che aveva, ha dovuto fare come tutti gli altri. Dell’educazione di Gesù, di cui sono stati responsabili Maria e Giuseppe in prima persona, non si sono occupati solo loro, ma anche i parenti, gli amici, potremmo dire il piccolo villaggio di Nazareth. Tutti si sono dati una mano intensa, premurosa. Come amava ripetere il cardinale Scola: “per educare un ragazzo ci vuole un villaggio”.

Essere nelle cose del Padre

Il vero centro del Vangelo, vado subito al cuore della pagina, è però tutto concentrato in quelle parole di Gesù: “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Parole che né Maria né Giuseppe, in quel momento, avrebbero potuto capire. Il motivo è molto semplice. Gesù si rivolge al Padre, ma non ha ancora rivelato l’identità del Padre. Provate a pensare.

Gesù nel suo ministero si rivolge a Dio come al Padre in ogni sua preghiera. Lo invoca, lo rende presente, parla al Padre con una familiarità unica, singolare, nuova che nessuno ha mai visto, tanto che i discepoli stessi sono da un lato edificati, dall’altro incuriositi per quella familiarità con il Padre che Gesù mostra. Ma, al momento, non si sa ancora questa verità.

Sollecitato dai discepoli, Gesù insegnerà la preghiera del “Padre nostro”, sulla quale abbiamo meditato nel corso degli esercizi spirituali parrocchiali che abbiamo tenuto nello scorso mese di ottobre. Gesù insegna anche agli uomini a rivolgersi a Dio come ad un Padre. Sarà questa la novità più singolare del ministero di Gesù. Non un Dio lontano, da temere, da servire, di cui sopportare i castighi, ma un Dio vicino, amico, pieno di misericordia, tanto familiare da poterlo chiamare Padre.

Gesù si affiderà al Padre per tutti i giorni della sua vita, ma anche alla fine di essa, sulla Croce. La parola Padre, come sappiamo, è l’ultima parola che Gesù pronuncia dalla Croce. Sarà l’ultimo atto di affidamento.

Di tutto questo né Maria né Giuseppe potevano, ora, nella scena del bar mitzpà, sapere qualcosa. Di qui la loro incomprensione della parola di Gesù. Gesù insegna qui, con la sua parola, con la sua preghiera, come farà nei giorni del suo ministero, che il segreto di Dio rivela, al tempo stesso, il segreto dell’essere figli. Se è vero che Gesù rivela la paternità di Dio, è anche vero che egli insegna che il segreto che è ogni uomo è un segreto di figliolanza. Figliolanza che si scopre, pian piano, nella preghiera. Ecco il vero cuore della rivelazione della presentazione al tempio.

L’insegnamento

Insegnamenti preziosissimi per noi. Proviamo a riassumerli.

La responsabilità dell’anima. Noi ci stiamo preparando alla festa della famiglia. Vorrei che tutti, come genitori, come nonni, come zii, come insegnanti, come parenti, sentissimo forte la responsabilità che abbiamo avuto o che abbiamo per la salvezza dell’anima di figli, nipoti, ragazzi del catechismo… Io credo che ci sia anche un po’ da tremare. Noi non abbiamo un compito, non dobbiamo preoccuparci di un aspetto della formazione, non viviamo un compito temporaneo. Noi, con la testimonianza della nostra fede, siamo responsabili dell’anima degli altri!  Credo che ci sia veramente da tremare di fronte ad una cosa del genere. Credo che ci sia da chiedere, come Giuseppe quel giorno, la “liberazione” da questa responsabilità. Liberazione che non avviene se non alla fine della vita. Con il nostro modo di fare, con il nostro modo di agire, con il nostro modo di pensare, noi siamo sempre “educatori”, “maestri”, “testimoni” e, come tali, responsabili della fede degli altri.

Educare insieme. Anche noi non possiamo educare da soli. Nessuna famiglia educa da sola alla fede. C’è bisogno di tutti. Noi viviamo una spinta contraria rispetto a quella che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Infatti molte famiglie vivono una sorta di “delega” nei confronti della Parrocchia. Molte famiglie non fanno assolutamente niente per educare alla fede il proprio figlio se non mandarlo a catechismo. Ci deve pensare la Chiesa! Non è questa la logica del Vangelo. Tutti siamo corresponsabili nell’educazione. La famiglia deve fare la sua parte, la Chiesa farà la sua. Ma insieme e per tutta la vita si è corresponsabili dell’educazione di fede, per tutta la vita si è testimoni della fede. Credo che questa verità dovrebbe essere al centro del nostro cuore.

La preghiera rivelazione dell’identità di Dio e della propria identità. Nel luogo principale della preghiera ebraica, Gesù, sostenuto dalla sua famiglia, che è anche il suo villaggio, che è anche la sua rete di relazioni familiari, insegna che si conosce Dio solo nella preghiera ma anche che, proprio a partire dalla preghiera, si capisce il mistero della propria vita, il segreto della propria esistenza, la vocazione a cui ciascuno è chiamato.

La famiglia cresce solo se in relazione con Dio Padre. Eccoci al cuore di questa serata e al cuore di questa preparazione della festa della famiglia. L’insegnamento che anche Maria e Giuseppe appresero è che ogni famiglia cresce solo se vive in relazione con Dio Padre. Guardiamo alla realtà dei nostri giorni. Perché alcune famiglie crescono profondamente, danno origine a vite che hanno uno spessore e un sapore e altre no? Dove sta la differenza? A mio parere proprio qui, nel fatto che alcune famiglie crescono nella relazione con Dio e allora trovano senso tutti gli sforzi, le fatiche, le difficoltà del cammino della vita che, però, sfociano, sulla lunghissima distanza, anche in un risultato. Differentemente altre famiglie, lontane da questa relazione, non approdano da nessuna parte, perché senza la luce interiore dello Spirito, come diceva San Paolo VI, si rimane schiacciati dai rumori assordanti della città e non si approda da nessuna parte. O meglio, ci si appiattisce sulle cose che regolano la vita del mondo: visibilità, fama, ricchezza, prestigio, onore… tutte cose che possono anche avere un tratto di bontà, ma che non sono il cuore della fede cristiana e della ricerca cristiana di senso.

Preparare la festa. Preparare la festa della famiglia significa, allora, riscoprire la verità di queste cose. Vorrei che, più che mai quest’anno, sentissimo tutti più forte la responsabilità di preparare la nostra anima e le anime di chi vive con noi non solo ad una celebrazione solenne, ma alla consapevolezza che le nostre vite hanno senso e trovano la loro realizzazione solo dentro una relazione con Dio. Ecco cosa desidererei per questa festa.

Compito a casa

Da qui al prossimo incontro:

  • Come possiamo vivere queste cose?
  • Con quale sentimento possiamo avvicinarci alla festa?
  • Quale responsabilità delle anime sentiamo?
  • Per chi possiamo intercedere con la nostra preghiera?
  • Riprendiamo in mano la nostra relazione con Dio…
Pregare con i salmi

Infine, come ad ogni appuntamento, cerchiamo di pregare con un salmo. Vi consiglio, in questa quinta serata, di pregare con il salmo 84

1 Al maestro del coro. Su «I torchi». Dei figli di Core. Salmo.

2 Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!

3 L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.

4 Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio.

5 Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.

6 Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.

7 Passando per la valle del pianto
la cambia in una sorgente;
anche la prima pioggia
l’ammanta di benedizioni.

8 Cresce lungo il cammino il suo vigore,
finché compare davanti a Dio in Sion.

9 Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.

10 Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.

11 Sì, è meglio un giorno nei tuoi atri
che mille nella mia casa;
stare sulla soglia della casa del mio Dio
è meglio che abitare nelle tende dei malvagi.

12 Perché sole e scudo è il Signore Dio;
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene
a chi cammina nell’integrità.

13 Signore degli eserciti,
beato l’uomo che in te confida.