2° Incontro – Anafore e Prefazio2021-11-26T17:06:42+01:00

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Anafore e Prefazio

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Ripresa

La volta sorsa i siamo introdotti nel tema delle preghiere eucaristiche scoprendo cosa sono e incominciando ad accennare che esse nacquero dalla prassi della chiesa in riferimento alla matrice giudaica della benedizione, la berakah. In questo secondo incontro, sebbene velocemente, vorrei dare l’idea del loro sviluppo storico. Questo incontro ci serve per capire che la liturgia è sempre viva e che tenta di rispondere alle esigenze della chiesa e del popolo di Dio, tenendo conto della riflessione teologica che avanza. L’interesse storico ci aiuta a capire che è la vita della chiesa a creare forme celebrative che rispondano al tempo presente. In buona sostanza il dire: “si è sempre fatto così” che spesso caratterizza la riflessione di non pochi fedeli, non è, di per sé, l’agire della chiesa! La forma celebrativa dei sacramenti ed in particolare della penitenza e dell’eucarestia è molto cambiata nel corso dei secoli, per meglio rispondere alle mutate condizioni di vita e, quindi, di modalità celebrativa. La domanda potrebbe dunque essere questa: compreso che l’eucarestia diventa subito il centro della vita della chiesa apostolica e compreso che la benedizione rituale ebraica forma il canovaccio per la preghiera eucaristica, come si giunge alle preghiere eucaristiche che consociamo anche noi? Quali sono i passaggi che portano fino al “canone”? in premessa vorrei solo ricordare che la prima comunità cristiana doveva amalgamare il dato giudaico che abbiamo visto la scorsa volta, con il dato evangelico sulla istituzione dell’Eucarestia. Un lavoro a cui si dedicarono, in maniera parallela, le diverse comunità cristiane, prima che si giungesse ad un testo che fosse normativo per tutti.

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La didachè, l’ anafora alessandrina, le anafore di ippolito e di crisostomo

sebbene molto in breve, vale la pena di conoscere che un testo fondamentale è la Didachè, o “dottrina dei 12 apostoli”. Di autore sconosciuto, è datato in Siria tra il 1 e il 2 secolo d.c. Possiamo tutti facilmente comprendere che la vicinanza al tempo di Cristo ci aiuta a comprendere come vissero l’Eucarestia nei primissimi decenni dopo la risurrezione del Signore. non essendoci ancora un canone liturgico fissato ed uguale per tutti, veniamo comunque a sapere che era abitudine avere un pasto comune nel giorno del Signore, nel quale era poi unita la celebrazione dell’Eucarestia propriamente detta. Di tutte queste cose c’è conferma nella lettera ai Corinti che stiamo rileggendo nella catechesi degli adulti. Qui mi interessa solamente dire che, dopo il pasto vissuto insieme, si procedeva ad una serie di letture, spiegate poi dal vescovo, che terminavano con la benedizione sul pane e sul calice e prevedeva, infine, la distribuzione del pane benedetto. Questa forma celebrativa, sebbene molto semplice, è l’anello di congiunzione tra la benedizione ebraica che abbiamo studiato la scorsa volta e la celebrazione dell’Eucarestia nel senso che intendiamo noi. Fondamentale per la Didachè è, dunque, la ripetizione del gesto del Signore trasmesso dai vangeli. questa intuizione, questa prassi, spiegheranno poi perché, nelle preghiere eucaristiche che noi conosciamo ed utilizziamo, è sempre presente il racconto della istituzione dell’Eucarestia.

L’ “anafora alessandrina” è un testo un poco posteriore che, mantenendo ciò che la Didachè ha introdotto, incomincia a elaborare una preghiera specifica per coloro che sono presenti all’offerta della celebrazione eucaristica. È la base per quello che diventerà poi la preghiera di intercessione in ogni preghiera eucaristica, cosa per noi scontata ma che, come vediamo, ha avuto la sua origine.  Nella Chiesa di Alessandria, dunque, diventa fondamentale, davanti alla presenza reale del Signore in ogni eucarestia, pregare “per i vivi e per i morti”, ovvero fare memoria di coloro che hanno trasmesso la fede e che ora sono già nella pace di Dio, e fare memoria dei presenti, soprattutto di chi ha responsabilità nella chiesa. È la base dell’intercessione per il papa, per il Vescovo e per i defunti che noi ripetiamo in ogni preghiera eucaristica.

L’”anafora di Ippolito”, è un testo ancora successivo dal quale emerge come, pian piano, si introduce il tema escatologico nella celebrazione. Perché il cristiano celebra l’Eucarestia? Perché ripete quel gesto che il Signore ha comandato di ripetere? Intanto per obbedire al comando evangelico, ma poi, anche, per sostenere il cammino del tempo presente, in vista della vita eterna. La riflessione teologica di questo tempo ha fatto emergere, con particolare sottolineatura, ciò che il Vangelo di Giovanni ha raccolto dalla predicazione di Cristo, e cioè che l’Eucarestia è pegno di vita eterna. Ecco che la forma consacratoria del pane celeste, incomincia a ricordare, nella celebrazione di ogni eucarestia, il vero esito della vita cristiana: l’incontro con il Signore. senza rileggere ogni volta la catechesi giovannea, il fedele viene educato a comprendere che ogni eucarestia è incontro con il Signore nel tempo presente grazie al Sacramento, ma anche sguardo sula vita futura e su quell’incontro personale con il Signore che, ancora, ha da venire e di cui l’Eucarestia è anticipo, sostegno, o, anche, educazione a coltivare il desiderio di questo incontro.

Infine, è solo a partire dalle “anafore di Crisostomo”, che si introduce il Santo. Il canto a cui tutti noi siamo abituati da sempre, incomincia a comparire quando San Giovanni Crisostomo svolge la sua riflessione e la sua predicazione sulla Pasqua del Signore. proprio dalle sue “omelie pasquali” nasce quella prassi che verrà poi recepita dalla chiesa universale, di cantare l’inno a “colui che è tre volte santo”, a “colui che riempie della sua gloria il cielo e la terra” e che, ora, si degna di essere presente nel pane e nel vino che vengono consacrati per la salvezza del mondo.

Queste brevissime notizie storiche, che andrebbero riprese ed approfondite ad una a duna, mi servono solamente per farvi comprendere che c’è stato uno sviluppo storico della preghiera Eucaristica che spiega perché noi, adesso, celebriamo l’Eucarestia in questo modo. Credo che la ripresa di tutte le coordinate di queste antiche anafore nelle nostre preghiere eucaristiche, abbia plasmato non poco il nostro modo di pregare. È qui, che, per esempio, nasce la prassi del ricordo dei defunti, al quale anche molti di noi tengono tantissimo; è qui che nasce il ricordo dei presenti ad ogni celebrazione, specifico nel “canone romano” o “preghiera eucaristica 1”, che anche noi utilizziamo specialmente nei momenti solenni delle celebrazioni. Il richiamo, poi, alla escatologia, cioè a tenere sempre in considerazione qual è il fine della vita cristiana, credo sia, per tutti noi, un richiamo straordinario alla potenza di questo sacramento.

Il canone romano

Nel tempo in cui si hanno tutte queste elaborazioni e tutte le loro trasformazioni, si impone come chiesa primaziale, la chiesa di Roma. Il suo Vescovo è il “Pater Pastorum”, colui che, a partire dal medioevo, sarà chiamato semplicemente “papa”, simbolo dell’unità della chiesa e garanzia della verità della fede cristiana. È in questa chiesa, nella chiesa di Roma, che nasce il “canone romano”, la testimonianza più antica di preghiera di consacrazione che noi abbiamo. Tanto antica che nessuno studioso, fin ora, è riuscito a individuare il momento della sua elaborazione. Probabilmente si prede nella notte dei tempi, prima ancora che qualsiasi testimonianza scritta potesse dare a noi i riferimenti essenziali per una datazione. È però fuori discussione che il canone romano, nato dalla riflessione di questa chiesa, si sia poi messo in parallelo con tutti i testi che abbiamo citato sopra ed, in particolare, con l’anafora alessandrina. Anzi, gli studiosi ci parlano di una duplice influenza dell’uno sull’altro, così che i due testi si sarebbero vicendevolmente sostenuti e completati. Questo significherebbe che le due chiese, quella di Roma e quella di Alessandria, portarono avanti autonomamente ma in stretta relazione l’una con l’altra, quella riflessione teologica e quella prassi liturgica che, poi, avrebbero plasmato il modo di credere e di celebrare della chiesa universale. È molto interessante la struttura del canone romano quale forma della preghiera eucaristica della chiesa occidentale. Eccone lo schema e il suo parallelo con l’anafora alessandrina:

CANONE ROMANO ANAFORA ALESSANDRINA
Prefazio Azione di grazie
Intercessioni per l’unità e per la pace Intercessioni per la chiesa
Intercessione per gli offerenti Intercessione defunti
Memoria dei santi memoria dei santi
Intenzione per i defunti Preghiera perché l’offerta si accettata sull’altare angelico
Preghiera perché l’offerta si accettata sull’altare angelico Memoria del sacrificio di Abele, Abramo, Melchisedech
Memoria del sacrificio di Abele, Abramo, Melchisedech Apologia dei ministri
Apologia dei ministri Dossologia finale
Dossologia finale

Come si vede bene la struttura è davvero molto simile. Sarebbe poi avvenuto solo in un secondo momento che, in entrambe le preghiere, si sarebbe aggiunto il santo e la lettura del racconto della istituzione della Eucarestia, come ulteriore ampliamento della preghiera di consacrazione e a completamento della azione sacra. È solo su questo punto che le due preghiere differiscono molto, perché questo blocco sarà inserito in due momenti diversi. Il canone romano inserisce il Santo dopo il prefazio e il racconto della istituzione dopo la memoria dei santi; l’anafora alessandrina, invece, immediatamente dopo il sanctus.

A parte questa differenza che rivela le diverse influenze dei due testi, ovvero delle due chiese, l’alessandrina più vicina alla chiesa di Gerusalemme, Roma ormai più autonoma e centro di riferimento per le altre chiese, possiamo dire che i due testi sono perfettamente fratelli.

Questo breve percorso storico ci dà la collocazione dei diversi elementi che noi vediamo inseriti nelle preghiere eucaristiche della chiesa universale che adesso affrontiamo.

Il prefazio

Noi tutti siamo consapevoli del valore di questo testo con cui inizia la preghiera eucaristica dal momento che inizia con un dialogo che si ripete sempre allo steso modo, indipendentemente dal mistero che viene celebrato in quella data occasione.

  1. Il significato.Cosa significa anzitutto il termine “prefazio”? ci sono diverse interpretazioni.
    1. Per alcuni studiosi la parola “prae”, che significa prima, starebbe ad indicare ciò che sta “prima del sanctus”. Effettivamente questa è la sua collocazione. Ma se, come risulta da molti studi liturgici e teologici, il canto del Sanctus fu aggiunto in epoca più recente alle anafore di cui abbiamo già parlato, si comprende che questa interpretazione, pur cogliendo una verità, appare, comunque limitata e limitante.
    2. Altri studiosi hanno cercato dei paralleli nel mondo romano. È, infatti, fuori discussione che molto della liturgia dipenda dal mondo romano e anche dalle sue istituzioni giuridiche. Il prefazio corrisponderebbe, quindi, ad un’orazione di preparazione dei cuori che, anche in ambito giuridico, l’oratore faceva prima che fosse emessa una sentenza. Questa seconda interpretazione ammetterebbe quindi il parallelo liturgico: come nella società civile ci si prepara scaldando i cuoi ad alcuni momenti di rilievo della vita comune, così nella liturgia si prepara il cuore, si scalda il cuore, prima che l’aione di grazie possa giungere il suo culmine e permettere al fedele di assistere a quello che è un anticipo della liturgia del cielo. Anticipo nella quale il fedele incontra, realmente, Gesù Cristo. Sarebbe questo il senso del dialogo iniziale: “sursum corda”, “in alto i cuori”, invito al quale si risponde “habemus ad dominum”, cioè apriamo il cuore e lo eleviamo al Signore perché il nostro servizio di lode possa felicemente compiersi.
    3. Altri studiosi mettono in relazione ilo prefazio al compito del profeta. Il profeta è un carisma particolare che ha il compito di predisporre i cuori all’arrivo, alla venuta di Dio. nella chiesa antica era presente questo carisma e questo compito, assolutamente differente da quello dell’Apostolo e, poi, del sacerdote. È sempre San Paolo che ce ne dà traccia nella lettera ai Corinti. Questi studiosi prevedrebbero che il prefazio, originariamente, non era una preghiera del sacerdote, ma era una preghiera lasciata alla creatività del profeta, che preparava il cuore dei fedeli all’incontro con ilo mistero della Eucarestia di cui il Sacerdote è il ministro. Ovviamente dobbiamo ricordare che, all’origine, il prefazio non era un testo scritto da leggere, come accade da molti secoli a questa parte, ma era lasciato alla libera creazione delle singole chiese. Ecco perché anche questa ipotesi può avere la sua autenticità.

    Al di là delle singole ipotesi interpretative, ciò che mi sembra centrale è che il prefazio inizia con un dialogo nel quale il fedele è chiamato ad aprire il cuore alla azione di grazie che si sta per compiere in quello che è il fulcro, il cuore di ogni eucarestia.

  2. Il protocollo iniziale
    Il protocollo iniziale è quella parte, che pure sempre si ripete, nella quale affermiamo che è “cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza” rendere lode a Dio. è la traduzione del senso di “anafora” di cui abbiam o parlato nella ricostruzione storica. Di fronte a Dio che si sta per donare a noi nel Figlio e nel Sacramento che ci mette in comunione con Lui, noi diciamo che è giusto rendergli lode, e che tutto ciò è fonte di “giustizia”, di “pietà”. Si fa riferimento anche in questo caso a due elementi fondamentali del diritto romano: l’”equitas” e la “pietas”, ovvero la giustizia la capacità di compiere i propri doveri, nel rispetto del diritto di tutti. Noi, dunque, diciamo che è per tutti occasione di giustizia e di vera pietà, lodare il signore e dare a lui ogni lode per quello che Egli compie per noi. Non ci deve stupire il ricorso a questi vocaboli del diritto romano, perché appare chiaro, in tutta la cultura latina, che la giustizia umana doveva preparare i cuori alla giustizia degli dei. Il cristianesimo assume questo fatto culturale romano e lo cristianizza. Noi, dunque, ripetiamo in ogni celebrazione eucaristica, che è giusto dare lode a Dio per la sua clemenza e per l’azione di salvezza che Egli opera per ciascuno di noi nella sua Chiesa e nel mondo.
  3. Il corpo centrale
    Il corpo centrale è la parte più lunga del prefazio ed è la più variabile, nel senso che la preghiera si sviluppa in modo diverso a seconda del mistero celebrato. Nel corpo centrale del prefazio, quindi, si sviluppa il mistero di Cristo al centro di quella determinata celebrazione, piuttosto che il riferimento alla vita di Maria nei prefazi della Beata Vergine, piuttosto che il riferimento alla vita del santo del giorno, piuttosto che all’intenzione specifica per la quale si offre quella determinata celebrazione.  In ogni caso si intende dire che la nostra preghiera che sale a Dio nella esultanza dei cuori è la risposta giusta al dono che Dio ci fa per suo amore, per sua spontanea volontà. Noi offriamo a Dio la nostra preghiera e di tutto facciamo eucarestia, cioè rendiamo grazie, perché riconosciamo gli immensi doni di Dio per il suo popolo. il corpo centrale del prefazio ci immette quindi nel mistero di Dio e ci aiuta a comprendere la bellezza del suo mistero per il quale rendere sempre grazie.
  4. Il sanctus
    Il prefazio si conclude con il canto angelico, quel canto che, corrisponde all’ inno dei serafini”, udito nel tempio di Gerusalemme dal profeta Isaia (6,3) nella visione inaugurale del suo ministero. La parte iniziale è riferita anche nell’Apocalisse. La prima parte del Sanctus è stata introdotta nella liturgia cattolica alla fine del IV secolo. Il testo della seconda parte, il Benedictus, è tratto dal Vangelo secondo Matteo (21,9), nel contesto del racconto dell’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme la domenica delle palme. L’affermazione solenne della santità e trascendenza di Dio dell’universo è completata da questa affermazione al Cristo re che cita il salmo della messa del giorno di Pasqua (117,6). Questa seconda parte è attestata nella Messa romana solo nel VII secolo. Il canto di “Osanna” mantiene una di quelle parole intraducibili della liturgia, che sostanzialmente significa “evviva!”.