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Canone Romano
Ripresa
In questo terzo incontro, vorrei affrontare con voi lo studio serio e dettagliato della Preghiera Eucaristica numero 1, detta anche “Canone Romano”. Si tratta della preghiera consacratoria più solenne e anche della più antica. Il suo uso, non solo nella Chiesa di Roma, ma anche nelle Chiese di occidente, è già attestato intorno al V-VI secolo, ma la sua composizione è assolutamente antecedente. Già il nostro Sant’Ambrogio, nel suo “De Sacramentis”, afferma che questo canone è in uso alla Chiesa ambrosiana che intende, in tutto, seguire il costume di quella di Roma. Un testo molto solenne, in grado di far percepire al credente quel concetto di sacralità che ogni celebrazione deve saper trasmettere. Il canone romano è un mosaico di 15 tasselli, ben strutturati e riconoscibili, che formano un quadro unitario composito. Vediamone, insieme, alcuni, con qualche nota teologica per comprendere questo testo.
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TE IGITUR
Naturalmente il titolo è in latino, perché riprende le prime parole che il testo utilizza nella sua formulazione. In italiano la traduzione dice: “Padre clementissimo”. Notiamo subito che il Canone Romano è una preghiera di consacrazione che non prevede un prefazio proprio, ma inizia dopo il canto del Santo. Il che vuol dire che il celebrante legge il prefazio della Messa del giorno, o altro prefazio adatto alla celebrazione che si sta svolgendo, come introduzione alla preghiera consacratoria. La preghiera, dunque, si rivolge immediatamente al Padre, chiamato “clementissimo”. L’uso di questo aggettivo deriva certamente dalla prassi di vita dell’impero. Rivolgendosi all’imperatore nell’ambito di un saluto ufficiale, si utilizzava proprio questo titolo: “clementissimo”. È chiaro, però, non solo il legame con la liturgia di corte, ma con il valore teologico del testo. La Preghiera Eucaristica, con la quale si chiede a Dio Padre di consacrare il pane e il vino posti sull’altare, si rivolge alla “clemenza di Dio”, che non ha risparmiato il Figlio suo ma l’ha dato per noi, perché noi potessimo godere di quella riconciliazione che egli è venuto a portare. L’atteggiamento del credente è riassunto nel verbo “supplicare”. Davanti alla clemenza di Dio che dona il Figlio suo, ogni credente è in atteggiamento, in stato di supplica.
È da notare anche la versione, molto aulica, con la quale si dice che si offrono a Dio: “doni, sacrifici, offerte”. Per molti essi sono poco più che sinonimi. In realtà ognuno di loro ha una specifica funzione:
- “dona”, ovvero i doni, sono le offerte per i defunti;
- “munera”, offerte, sono invece le offerte per i viventi;
- “sacrificia”, sacrifici, sono le offerte che si usano per il sacrificio di Cristo che si ripete, in ogni celebrazione, sull’altare e, quindi, il pane e il vino.
La Preghiera Eucaristica fa percepire, dunque, fin da subito, l’intenzione di offrire il pane e il vino, secondo il comando di Cristo, per i vivi e per i morti. In una parola, per tutta la Chiesa.
Da notare anche che sono i sacrifici ad essere “illibati”, non l’offerente. Il canone ci fa quindi prendere consapevolezza del fatto che tutti noi, pur peccatori, possiamo offrire a Dio l’unico sacrificio che Egli gradisce: quello di Cristo, che ritorna a noi come Eucarestia, pane e vino consacrati, sostegno per la fragilità del cammino dell’uomo. Il testo del Canone Romano si distanzia molto dalla prassi culturale del tempo in cui è nato. Nei riti pagani, il momento dell’offerta sacrificale al dio di turno, pretendeva di mettere il dio o la dea in questione nelle mani dell’uomo. Il dio, la dea a cui si offriva il sacrificio erano grati e riconoscenti per quanto veniva loro offerto. Il Dio dei cristiani non fa questo! Dio non si può mai circoscrivere, non si può mai possedere. L’uomo sta in atteggiamento di supplica davanti a Dio, attendendosi da Lui benedizione su benedizione.
Il Canone Romano che, in questa prima preghiera, chiede a Dio di “benedire queste offerte, questo santo e immacolato sacrificio”, non è preoccupato, in questo momento, della presenza reale di Dio nell’Eucarestia, a cui tutti noi che veniamo dopo il Concilio di Trento siamo più abituati. In questa fase della preghiera non è in discussione la teologia eucaristica ma, piuttosto, una teologia dell’offerta. Dio gradisce e benedice l’offerta di Cristo che si ripete sull’altare ogni volta che si celebra la S. Messa.
ET OMNIBUS ORTHODOXIS
“Noi te lo offriamo anzitutto per la tua Chiesa santa e cattolica, perché tu le dia pace e la governi, insieme a tutti coloro che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli apostoli”. Così preghiamo nel secondo movimento di preghiera che il Canone Romano ci propone.
I testi anaforici antichi hanno sempre la costante preoccupazione per la Chiesa. Per questo, con rara solennità, il Canone chiede a Dio di “dare pace, proteggere, raccogliere in unità e governare” la Chiesa che sta offrendo il sacrificio eucaristico. La Chiesa, che si riconosce “convocata” da Dio per il sacrificio eucaristico, chiede a Dio benedizione e conforto per il suo agire. La pace richiesta non è tanto la rappacificazione tra le contese, sempre molto vive e vivaci nella Chiesa delle origini, quanto piuttosto la richiesta di poter presto sperimentare la stessa dimensione di vita di Dio. La pace è, detto altrimenti, la dimensione di salvezza operata da Cristo. La Chiesa prega perché tutti possano presto riconoscere questa dimensione di vita.
Questa fede è la fede professata da tutto il popolo santo. Anzitutto dal Vescovo, che viene definito “cultor” della fede, cioè colui che ha il compito di conoscerla, interpretarla, ma anche difenderla. Si capisce molto bene che il tempo in cui nacque questa preghiera fu il tempo delle eresie, il tempo degli attentati alla fede. Il Vescovo era il garante della fede, il garante della “ortodossia”, ovvero del fatto che non venissero professate dottrine contrarie all’insegnamento del Vangelo di Cristo. Oltre al Vescovo, che è il garante ufficiale della fede, ci sono tutti i credenti, tutti i battezzati. Tutti costoro sono “ortodossi”, ovvero invitati a custodire la vera fede, senza deviare da essa. In questo senso trova sede anche il ricordo del Papa, che, nell’epoca in cui viene scritto il canone, è chiamato più facilmente “Vescovo di Roma”: la denominazione Papa (Pater Pastorum) è, infatti, medioevale. Accanto al grande “cultor” che è il Papa, il Vescovo di Roma che ha la cura di tutta la Chiesa, ecco gli altri Vescovi, che devono essere di esempio per i fedeli per “custodire la fede cattolica trasmessa dagli apostoli”.
MEMENTO DOMINE
“Ricordati, Signore”. Subito si apre la parte delle intercessioni che, nelle altre Preghiere Eucaristiche, è collocata dopo il ricordo dell’ultima cena e dell’istituzione della S. Eucarestia.
Il ricordo è, anzitutto, per i “famuli tui”, cioè per i fedeli che offrono il sacrificio. Il termine latino è molto importante. I fedeli non vengono chiamati né figli né servi, ma, appunto, “famuli”. Il “famulus” non è lo schiavo, è il servo sinceramente affezionato al suo padrone. Il cristiano che offre la S. Messa è questo, è come un servo che però si affeziona al suo padrone e che esprime tutto il suo affetto per lui. È bellissima la teologia che viene utilizzata e che ci sta dicendo che tutti noi, quando offriamo la S. Messa, siamo come “servi affezionati a Dio”.
Dunque, come servi affezionati, offriamo a Dio un “sacrificio di lode”. Questa definizione della S. Messa è antichissima e bellissima. L’Eucarestia, ogni Eucarestia, è offerta a Dio di un sacrificio di lode! Noi offriamo questo sacrificio di lode per il nostro peccato, perché ci venga perdonato. Anche qui la teologia del Canone è davvero stupenda! Esso ci dice che ci salva dal peccato che continuiamo a commettere, non la nostra forza, non la nostra disponibilità a Dio, ma, unicamente, la presenza di Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede.
Infine, faccio notare che la Preghiera Eucaristica dice: “ti offriamo e anch’essi ti offrono…”. È un’espressione teologica particolarmente importante. Essa ci ricorda che non è solo il celebrante a portare avanti la preghiera della Messa, ma tutti i fedeli, ciascuno a suo titolo. Chi ha il compito di presiedere la comunità, celebra a nome di tutti; ogni fedele partecipa non passivamente, ma contribuisce ad elevare questa offerta a Dio.
COMMUNICANTES
“In comunione…”. In questo movimento, la Preghiera Eucaristica ci ricorda che il credente non è mai solo nell’offrire a Dio il frutto della sua offerta. Non è solo non solamente perché, normalmente, a Messa ci sono molte persone. Piuttosto perché la Chiesa “terrestre” si mette in comunione con la Chiesa “celeste”. La Chiesa di coloro che adesso, sulla terra, offrono a Dio il sacrificio di lode, si mette in comunione con i santi, che guidano il cammino e che, con la loro testimonianza, rimangono fari luminosi per il cammino degli uomini. Nel testo del Canone Romano i santi riportati sono 24: 12 apostoli e 12 martiri. Il canone 1 del rito ambrosiano è più solenne e ricorda non solo i grandi santi biblici, ma anche i primi santi della Chiesa e alcuni santi tipici della tradizione ambrosiana che culminano con il ricordo del nostro Sant’Ambrogio. Anche in questo movimento di preghiera è interessante notare la teologia sottesa: noi ci mettiamo in comunione con tutti gli angeli e i santi, specialmente con i martiri, per riconoscere che la nostra Chiesa è fondata sulla loro testimonianza di fede e, fino a che rimaniamo ancorati alla loro testimonianza, la Chiesa persevera su quella via di ortodossia di cui già abbiamo parlato. Ovviamente all’inizio del ricordo dei santi è collocata la figura di Maria, come pure, in epoca molto recente, e cioè con Giovanni XXIII, è stato inserito molto opportunamente il ricordo di san Giuseppe, patrono della Chiesa universale.
Dopo la riforma conciliare questo testo, che era unico per ogni celebrazione, ha conosciuto anche formulazioni diverse per i diversi momenti celebrativi dell’anno liturgico.
HANC IGITUR
“Accetta con benevolenza…”. In questo momento chiediamo a Dio, per noi come singoli credenti, ma anche per tutta la Chiesa, “disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna e accoglici nel gregge degli eletti”. In questo modo noi riconosciamo che il compito della S. Eucarestia è quello di accoglierci presso Dio, salvandoci da quella dannazione eterna, per la quale Cristo è venuto tra gli uomini.
EPICLESI E ISTITUZIONE
“Santifica, o Dio, con la potenza della tua benedizione…”. In questo momento, tutta l’assemblea invoca il dono dello Spirito Santo, perché santifichi il pane e il vino posti sull’altare e li renda “il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo”. Come si vede, dalla teologia dell’offerta di cui abbiamo parlato poco fa, si passa ora ad una vera e propria teologia eucaristica. È lo Spirito che, chiamato dalla preghiera di tutti coloro che partecipano all’offerta, rende il pane e il vino, sacrificio illibato gradito a Dio, la presenza reale del suo corpo e del suo sangue. La sacralità dell’azione è dovuta al fatto che ciò che noi oggi facciamo è imitazione di ciò che fece Cristo nel cenacolo, durante l’ultima cena. Obbedendo al comando antico, obbedendo al comando stesso di Cristo, noi oggi ripetiamo quello che Lui fece perché la potenza dello Spirito Santo opera sulle offerte ciò che lui promise: la sua presenza fino alla fine del tempo. Ecco perché la presenza di Cristo nelle specie eucaristiche sarà reale, avvenuta la consacrazione. In questo modo il Canone esprime anche, e fa esprimere evidentemente ad ogni fedele, la certezza che la Messa è la cena di Cristo e che ciò che si ottenne in quella cena è esattamente ciò che si ottiene in questa “cena – liturgia”. Ogni volta che celebriamo la S. Messa il credente diventa contemporaneo di Cristo e partecipa al sacrificio del cenacolo. Ecco così spiegato il racconto dell’istituzione e le parole di Cristo che il sacerdote celebrante, con fede, ripete. È questo il sacrificio che la Chiesa, obbediente, celebra e celebrerà fino al ritorno di Cristo, secondo la sua promessa.
ANAMNESI E OFFERTA
L’anamnesi è una professione di fede. Noi crediamo nella “passione, morte, risurrezione e gloriosa ascensione” di Cristo al cielo. È questa la fede che ci guida. È questa la fede che ci sostiene nel cammino della vita. Professiamo anche la nostra fede nell’Eucarestia: calice di eterna salvezza e pane della vita. È in questo modo che la Chiesa educa i fedeli a riconoscere la bellezza, la grandezza e l’importanza di questo Sacramento tra tutti i riti che la Chiesa compie e celebra.
Il Canone ci ricorda, ancora una volta, che l’offerta del sacrificio eucaristico è partecipazione a ciò che fa tutta la Chiesa, riportando all’oggi della salvezza ciò che avvenne il Giovedì Santo. Non solamente questo. Il Canone esprime anche altre due consapevolezze:
- Il rito che si sta compiendo è partecipazione al sacrificio di lode che, da sempre, si eleva a Dio. La Mssa che si sta celebrando si pone in continuità con il sacrificio di lode offerto da Abramo, e, ancora più indietro, da Melchisedech, il primo uomo che offrì a Dio “pane e vino”, secondo il dettato della Genesi;
- Questa partecipazione è “anticipo” di ciò che avviene nella liturgia del cielo. Il richiamo all’altare celeste è un richiamo al libro dell’Apocalisse, e al fine verso cui tutto si dirige: Dio stesso.
È per questo che “scende ogni benedizione” su chi, fedelmente, offre questo sacrificio. Nell’anamnesi troviamo anche la definizione più bella di Chiesa. La Chiesa è un “noi” fatto di fedeli e di celebranti, una unione indissolubile che forma un unico popolo: il popolo di Dio che, amando la sua Parola, vive con la forza del Sacramento. Non, quindi, un’opposizione tra laici e clero, ma un noi che, in comunione, celebra la lode di Dio. Il soggetto celebrante è sempre unitario!
COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
Come ho già detto, l’Eucarestia viene offerta per tutti i defunti, e, in particolare, per quelli di cui si fa esplicita memoria. Il Canone ci insegna che è possibile applicare il frutto dell’Eucarestia anche a quei nostri cari che, ancora, potrebbero avere bisogno dell’efficacia del Sacramento per essere liberati e innalzati verso la patria eterna, vera meta di ogni pellegrinaggio umano.
ANCHE A NOI, TUOI MINISTRI
Un ricordo particolare il sacerdote lo esprime per sé, elevato alla grazia e alla dignità di presentare questo sacrificio eucaristico, ma memore del suo essere parte del popolo dei peccatori. Anche il celebrante chiede di essere parte dell’assemblea dei santi, che vengono ricordati con un secondo elenco. Oltre al nome di alcuni apostoli, questo secondo elenco è connotato, soprattutto, dall’elenco delle sante antiche della Chiesa. Se, eccettuata la Beata Vergine, il primo elenco dei santi è totalmente al maschile, in questo secondo elenco la Chiesa fa memoria delle grandi donne che hanno edificato il popolo di Dio e che continuano a sostenerlo grazie alla loro intercessione.
DOSSOLOGIA FINALE
Il finale del Canone Romano è, ovviamente, solenne, come tutto lo stile della preghiera stessa. Una prima parte richiama la benevolenza di Dio che “santifica, benedice e dona al mondo ogni bene”. È, quindi, una conclusione celebrativa del mistero di Dio che compie ogni bene per il suo popolo.
La seconda parte è la dossologia finale del testo, o grande dossologia. In questa ultimissima preghiera si afferma che tutto è del Padre, al quale “da, per, in” Cristo sale ogni lode. Con un’ultima sottolineatura teologica, il Canone ci fa ricordare che, nella nostra vita, tutto è cristologico, ovvero riferito a Cristo. La lode di Dio ha senso se si eleva al Padre grazie alla mediazione di Cristo.
Il tutto “nell’unità dello Spirito Santo”, perché ogni culto è ben accetto a Dio solo se proviene da un cuore purificato dallo spirito. È il culto spirituale di cui ci parla san Giovanni nel suo Vangelo.
Proclamato il nome solenne di Dio su tutto il creato, si avvera la profezia di Malachia. Dio, riconosciuto da tutti i fedeli e da tutti glorificato, estende a tutti gli uomini la sua benedizione. Così che, anche coloro che ancora non credono, possano compiere il loro pellegrinaggio verso la vita eterna.
Il testo della preghiera eucaristica I è disponibile nel pdf dell’incontro