La comunità2021-12-17T11:19:55+01:00

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La comunità

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Introduzione

Siamo all’ultimo incontro pre-natalizio ma è anche l’incontro che ci conduce già alla metà della scuola della parola di quest’anno. Sosteremo ancora sulla finale del capitolo 13, che già abbiamo studiato nelle volte scorse. Richiamo brevemente la struttura del capitolo 13 che già abbiamo studiato la volta scorsa.

La struttura

È abbastanza visibile anche ad una prima lettura la struttura del testo.

  • v. 1: introduzione al libro della gloria.
  • vv.2-20: la lavanda dei piedi
    • vv. 2-3: introduzione al gesto
    • vv. 4- 5: la lavanda
    • vv. 6-11: il significato
    • vv. 11-20: l’insegnamento
  • vv. 21-38: il significato della lavanda dei piedi
    • vv. 21- 30: annunzio del tradimento di Giuda e reazione dei discepoli
    • vv. 31- 38: l’addio

Possiamo entrare anche più da vicino nella struttura di questa parte finale del capitolo che abbiamo chiamato l’addio.

  • vv.31-32: la gloria
  • vv 32-33: il discepolo e la gloria
  • vv 34-35: il comandamento nuovo
  • vv 36.38: la reazione di Pietro

La gloria

È stato soprattutto un grande biblista, il padre Doufour, che si è dedicato allo studio di questi due versetti che concludono la scansione logica di quanto noi abbiamo già letto, studiato e commentato nelle altre tre serate che abbiamo dedicato al capitolo 13 del Vangelo di Giovanni. Padre Doufour afferma che queste parole sono la conclusione del discorso perché poi, come abbiamo visto anche nella definizione della sezione, inizia un discorso che è diretto ai discepoli e che poi si riprenderà nei capitoli seguenti. Il tema fondamentale, come abbiamo anche solo sentito nella lettura, è quello della gloria. Gesù sente che quell’ora che si è iniziata è l’ora della glorificazione, ovvero della sua ultima e massima testimonianza al Padre. Sarà l’ora della Croce, come abbiamo detto fin dalla prima serata, l’ora della gloria di Gesù perché è lì che splende tutto l’amore di Dio padre per l’umanità. Gesù riprende il concetto ora, “dopo che Giuda uscì” dal cenacolo. L’ora della gloria inizia quando Giuda va a compiere quella consegna che dà inizio all’ora della passione. Possiamo immaginare i sentimenti, le emozioni di Gesù che vede Giuda uscire e che comprende che quello è l’inizio della sua ora. L’evangelista Giovanni cerca di dirci qualcosa di quello che hanno provato loro, i discepoli, quando si sono ritrovati a ripensare a quella sera e ai fatti che si sono succeduti. Il discepolo comprende che, in quella sera, i sentimenti di Gesù furono sconvolti, eppure Gesù continuò a vivere con i suoi discepoli quell’ora già consapevole della fine imminente.  Fine che non riguarda solo la Croce verso la quale Gesù si rivolge, ma anche la risurrezione. Se è vero che l’ora della croce è l’ora della gloria di Dio, è anche vero che Gesù dice che il Padre “lo glorificherà subito”. Solo dopo la risurrezione del Signore il discepolo comprende che la morte violenta e dolorosa del Signore è stato il momento della rivelazione di Gesù al mondo dell’amore del Padre e la risurrezione è stata la risposta di Dio Padre a quell’atto di donazione unico, completo, finale che Gesù ha voluto vivere in obbedienza al proprio ministero. Il discepolo ha, quindi, consapevolezza dell’importanza di quanto è accaduto sia il venerdì santo sia il mattino di Pasqua e vuole coinvolgere noi nel medesimo mistero. I lettori di tutti i tempi hanno questo compito: entrare, con la loro spiritualità, con la loro preghiera in questo mistero, che è il mistero centrale della vita del Signore e di prendere parte, con i loro sentimenti, con la loro preghiera, al medesimo mistero che non si può spiegare. Solo si possono dare delle tracce perché ciascuno comprenda. Giovanni sta facendo questo. Riproponendoci la sua riflessione spirituale, mettendo per iscritto quello che è stato il suo percorso, anche alla luce di quello degli altri discepoli, Giovanni vuole farci riflettere in modo personale sulla “gloria di Dio”: Gloria che si ricava dalla passione del Signore, Gloria che splende nella sua risurrezione. Noi rimaniamo come sbigottiti di fronte a queste affermazioni. Intanto facciamo sempre fatica a comprendere che la rivelazione massima di Dio passi attraverso la sua sofferenza. Inoltre non possiamo comprendere del tutto il mistero della risurrezione. Il primo compito della lectio di questa sera è quello di metterci in atteggiamento di contemplazione. Contemplazione che, tra l’altro, aiuterà ciascuno di noi anche a celebrare questo prossimo Natale.

Ancora per poco… voi non potete venire…

Possiamo passare ai due versetti seguenti che, come ho detto, si rivolgono direttamente al discepolo. Al discepolo che ascolta ciò che è detto ad ogni uomo, ad ogni credente, viene ora data attenzione. Il discorso di Gesù non suona certo nuovo. Se è vero che tutto il ministero di Gesù è stato un progressivo prepararsi alla morte, è anche vero che tutto il ministero di Gesù è stato impegnato a parlare di questo fatto con i discepoli. Gesù non ha mai fatto mistero della fine della sua vita e nemmeno del contesto di violenza in cui ciò sarebbe avvenuto. Possiamo dire che, in Gesù, c’è una duplice preparazione. Da un lato Gesù prepara sé stesso a morire, ad accettare la Croce come fine della propria vita. Dall’altro c’è il desiderio di non lasciare il discepolo sprovveduto di fronte ad un evento di tale portata. Gesù ne parla, riprende il discorso, sa andare in profondità anche dove i discepoli cercano di distoglierlo da quel discorso.

Nel preparare il discepolo a questo contesto di morte, Gesù afferma chiaramente che, per ora: “voi non potete venire”. Gesù sa che la morte di Croce riguarda lui e lui solo. Se è vero che i discepoli sono stati anche il confronto del Signore, la sua famiglia per i tre anni circa in cui ha vissuto tutto il suo ministero, Gesù è anche consapevole che ora è del tutto solo. Il confronto è tra lui e il potere della morte, tra la sua persona divina e il potere delle tenebre. Gesù è ben conscio che anche il discepolo, un giorno, dovrà affrontare la morte. Non fa mistero nemmeno di questo e aiuta il suo discepolo a prepararsi a questo contesto umanamente difficile e complicato. Afferma, tuttavia, che non sarà quello il momento della morte del discepolo. Per ora non potranno seguirlo. La morte di Croce di quel momento è qualcosa che riguarda solamente la sua persona.

Vedremo poi la reazione dei discepoli che verrà esplicitata da Pietro ma che è di tutti, ed è una reazione di entusiasmo. Il discepolo, per entusiasmo, dichiara di voler morire con Gesù piuttosto che lasciarlo solo nel momento della morte. Cosa che, come sappiamo, non accade, Gesù rimane volontaria ma soprattutto solitaria vittima. Tutti i discepoli comprenderanno e arriveranno dopo.

Il comandamento nuovo

Così giungiamo all’apice di questa parte del capitolo e anche della lectio divina di questa sera. Il comandamento nuovo del Signore. Certamente ne parliamo spesso, certamente non è la prima volta che lo sentiamo. Forse, però, occorre fare qualche correzione a ciò che, per lo più, crediamo.

Anzitutto vediamo che il contesto non è quello che abbiamo in mente un po’ tutti, e cioè che Gesù ha compendiato i comandamenti di Mosè, che sono 10, in 2 soli, quasi che fossero il riassunto di tutta la legge vecchia. Gesù ha dato questo comandamento non in un contesto felice, non in un momento sereno del ministero, ma nel contesto dell’ultima cena a poche ore dalla sua morte.

In secondo luogo Gesù dona questo comandamento come invito alla testimonianza. Se si riceve la sua testimonianza di amore che passa attraverso la sua morte e risurrezione, come potrà l’uomo rimanere freddo e incredulo? Come potrà al limite, esserlo, se non empiamente? Chi invece comprende l’importanza dell’ora del Signore, chi farà sua quell’ “ora di gloria” che lo avvicina sempre più al Padre, si disporrà a vivere come ha vissuto Gesù, e cioè nell’amore. Accogliere la rivelazione di gloria che nasce dalla morte e risurrezione di Cristo non sarà tanto un concetto da capire, ci dice Giovanni, ma dovrà portare il credente al desiderio di voler conformare la sua vita a quella del Cristo. Chi comprende l’amore donato, si dispone a vivere nell’amore. Questo “cuore” del capitolo, è da mettere in relazione con il gesto della lavanda dei piedi lasciando sullo sfondo il contesto eucaristico nel quale è stato pronunciato, il contesto dell’ultima cena. Se comprendiamo questo contesto ne viene che chi celebra la cena del Signore, non dovrà svolgere un rito, ma dovrà ricaricare, alla luce di ciò che celebra e nella forza della fede,  quella disposizione a vivere un amore di donazione straordinario, unico, incomprensibile. Chi vive cibandosi di eucarestia, deve poi disporsi ad amare. Sarebbe un controsenso l’atteggiamento di chi vuole cibarsi del corpo del Signore ma poi non si dispone ad amare.

Questo è anche l’unico comando che Gesù lascia alla comunità dei cristiani che deve essere aperta a tutti. “Da questo sapranno che siete mei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Non c’è altro tratto distintivo nella comunità credente. L’unica verità che dice come deve essere una comunità che crede nella risurrezione del Signore è l’amore. Amore verso tutti e non già solo al suo interno. Chi si ciba di eucarestia deve chiedere al Signore una forza misteriosa, quella che viene dal sacramento, che permette di guardare tutti con amore e di portare tutti nel proprio cuore. Questo è l’unico comando dato alla comunità cristiana.

Come si vede non c’è una indicazione liturgica, non c’è un’indicazione morale: c’è solo una indicazione perché ciascuno imiti il servizio che Dio ha fatto al mondo. Le parole dell’Eucarestia, unite al gesto della lavanda dei piedi, conducono a questa conclusione. Tutto è fatto perché ciascuno impari a servire. L’essenza di una vita cristiana ed anche l’essenza di una comunità cristiana sono il servizio gratuito e generoso all’altro. Forse possiamo capire questa cosa molto più facilmente quando la pensiamo in forma personale che non quando lo viviamo in comunità. Gesù ci invita, comunque, a trovare anche qualche gesto di donazione comunitaria che prenda senso proprio da quel gesto intimo di unione con Lui che è l’Eucarestia.

La reazione di Pietro

Come sempre la reazione di Pietro è una reazione di “pancia”, di sentimenti, di poco ragionamento. Pietro, sulla scorta di quanto ha vissuto, chiede perché non sarà possibile anche ai discepoli andare subito con Cristo. La risposta è una sola: perché adesso c’è bisogno di loro nella nascente chiesa. Adesso è il momento in cui dovranno cercare di farsi forza, l’uno con l’altro, per dare buona testimonianza al Vangelo che hanno ricevuto. Non sono ancora pronti, dice apertamente Gesù, per dare testimonianza di quell’amore di donazione che Gesù vive ed offre. Quando San Giovanni scrive questa pagina alcuni discepoli sono già morti. Giovanni ha visto i suoi amici, i suoi fratelli nella fede rendere testimonianza a quanto Cristo aveva detto. I discepoli, immaturi ora per vivere questo gesto di donazione, lo saranno un giorno, dopo che il tempo avrà dato loro la possibilità di riflettere su quanto visto fare da Gesù e su quanto vissuto nel loro insieme come apostoli, saranno capaci di morire per Cristo e per la chiesa nascente. Giovanni vedrà morire così tutti i suoi amici, l’unico che non morirà di morte violenta ma di vecchiaia, sarà proprio lui. Giovanni, il discepolo capace di vivere di servizio fino alla fine della sua esistenza, ci scrive e ci ricorda questo. Pietro vorrebbe anticipare i tempi, ma non è dato. Occorrerà leggere anche quello che, proprio a Pietro, dirà il Signore risorto: “quando eri più giovane ti cingevi la veste e andavi dove volevi, quando sarai più vecchio un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. La reazione impulsiva, emotiva di Pietro sarà messa a prova dal tempo. Solo dopo Pietro diverrà capace di vivere ciò che ora vorrebbe ma di cui non saprebbe portarne il peso.

Il vangelo non contiene nessun giudizio su Pietro, solo vuole essere un racconto teso a frenare il discepolo che, sull’onda dell’entusiasmo, vorrebbe fare chissà che cosa per Dio. Gesù ci ricorda che, nella nostra povertà e pochezza, non sappiamo fare niente per Dio, se non c‘è la grazia di Dio che ci sostiene.

Ancora una volta, poi, si mette in luce il “rinnegamento di Pietro”. Nella prima chiesa, questo fatto costituì un problema. Come è possibile che la roccia sia colui che è venuto meno? Come è possibile che il capo della Chiesa sia uno che non è riuscito a resistere nell’ora della tentazione? Come è possibile che, colui che deve rappresentare tutti, sia stato il primo ad avere sbagliato? La comunità cristiana mormora. Giovanni, che capta queste cose, scrive per ridare fiducia a Pietro, per riabilitare la sua figura. Poiché non esiste nessun uomo che non abbia peccato, nemmeno chi deve guidare la chiesa è privo di peccati. Pietro, ammettendo le sue colpe, ammettendo il suo peccato, ricordando davanti a tutti che non è farina del suo sacco la particolare vocazione che vive, ammettendo di avere sbagliato, viene riabilitato dalla comunità stessa. La comunità cerca, come guida, come pastore, non un super uomo, non un uomo perfetto, ma uno che sappia ammettere il proprio peccato e che sappia lasciarsi guidare da Dio nel corso del suo ministero. È proprio questo quello che brilla in San Pietro.

Credo che questo sia veramente illuminante per noi, pensiamo al nostro modo di rapportarci con il Papa. Gli uomini lo lodano, se hanno la medesima sensibilità, o lo criticano, se hanno sensibilità diverse. Il punto non dovrebbe essere questo. Il punto dovrebbe essere quello di cercare un uomo che guida la chiesa nel nome di Cristo e che sa ammettere anche le sue colpe, le sue difficoltà, le sue angosce, perché siano prese e trasformate dalla comunità stessa, in nuova capacità di servizio pieno di amore. Questo è quello che dovremo chiedere al Papa, chiunque sia! Per riflesso, questo è quello che dovremmo offrire noi alla comunità.

Noi nella chiesa

Credo che l’apice di questo capitolo porti ciascuno di noi a capire che la nostra presenza nella chiesa, la nostra donazione alla Chiesa, abbia senso solamente se noi ci lasciamo coinvolgere in questo dinamismo. La presenza nella chiesa è motivata solo dal voler ricevere l’Eucarestia e dal voler trasformare l’Eucarestia in  servizio. Guardate quante volte non è così. Pensate a quante volte anche noi siamo pronti a lasciarci andare alla critica, ma non serviamo la chiesa. Pensate a quante volte i ministeri sono vissuti in modo poco lungimirante e più come modalità di celebrare sé stessi che non di servire. Pensate quante volte noi tutti ci lasciamo andare alla critica, al pettegolezzo, ma non siamo capaci di cercare quella verità che non solo ci salva, ma anche sostiene il nostro modo di lavorare nella chiesa e a favore della comunità. Proviamo allora a capire insieme che l’unico modo vero di vivere l’Eucarestia è quello che ci spinge al servizio. Celebrare l’Eucarestia e non amare, non serve a nulla. Celebrare l’Eucarestia e non essere capaci di qualche atto di donazione e di servizio, è il modo migliore per uccidere l’Eucarestia, non per amarla e nemmeno per farla fruttificare! Viviamo questa lectio quindi come un rimando a far fruttificare bene le celebrazioni di questo periodo natalizio. Non siano semplicemente dei bei riti ma siano un richiamo costante alla nostra capacità di amore e di donazione.

Per la preghiera:

  • Come vivo la contemplazione che il testo mi richiede?
  • Gesù si prepara alla morte e ne parla: come affrontiamo il discorso noi?
  • Parliamo della morte delle persone che ci stanno a cuore e con le quali stiamo camminando?
  • Parliamo mai della nostra morte? In che termini?
  • Viviamo l’Eucarestia in questa accezione?
  • Come l’Eucarestia che celebro sostiene il mio percorso di donazione generosa e il mio concreto impegnarmi per il bene degli altri?
  • Viviamo di emozioni e sull’onda dell’entusiasmo?
  • Sappiamo dare fondamento concreto al nostro credere?
  • Quale atto di donazione generosa ci sostiene?
  • Cosa chiedo al Papa e ai responsabili della chiesa?
  • Cosa sono disposto ad offrire io?

Impegno del mese

Facciamo in modo che le celebrazioni che ci stanno davanti siano occasione per vivere bene una spiritualità del servizio che tutti dobbiamo approfondire e rinnovare.

Buona preghiera.

Buon Natale!