1° Serata – Non avrai altro Dio…2024-10-24T21:25:22+02:00

Project Description

SCARICA IL TESTO
SCARICA IL TESTO

Introduzione

Forse il primo comandamento non è il più citato nelle nostre riflessioni. Poiché, nell’immaginario comune e nella vita di fede di molti fedeli i comandamenti sono il termine primo di riferimento per un esame di coscienza, dobbiamo registrare che il primo comandamento non è quello più citato nelle nostre confessioni, né quello al quale ricorriamo più spesso anche nei nostri pensieri. Perché? Perché è così difficile riferirci ad esso? Cosa intende dire il comandamento?

Partiamo da una breve lectio divina sul testo che è il riferimento primo per l’analisi.

Il testo

Esodo 20

1 Dio pronunciò tutte queste parole: 2«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: 3Non avrai altri dèi di fronte a me.4Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. 5Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Deuteronomio 5

1 Mosè convocò tutto Israele e disse loro: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in pratica. 2Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. 3Il Signore non ha stabilito quest’alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti vivi. 4Il Signore sul monte vi ha parlato dal fuoco faccia a faccia, 5mentre io stavo tra il Signore e voi, per riferirvi la parola del Signore, perché voi avevate paura di quel fuoco e non eravate saliti sul monte. Egli disse: 6«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. 7Non avrai altri dèi di fronte a me. 8Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. 9Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 10ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

Lectio

  1. Il primo spunto per la nostra lectio è il soggetto del comandamento. Molto facile da rintracciare in tutte e due le versioni dei comandamenti, quella dell’Esodo e quella del Deuteronomio. Il soggetto è Dio. È Dio che convoca Mosè, è Dio che parla. È Dio che prende l’iniziativa e che pone la sua persona alla base delle 10 parole stesse. Il che ha un’implicanza diretta per ciascuno di noi, per ciascun uomo che entra in relazione con i comandamenti. Dio chiede una relazione, Dio si pone di fronte all’uomo come un “Tu” al quale ci si relaziona in modo personale, unico, singolare, come singolari sono tutti gli uomini. Dio è sempre lo stesso, Dio è sempre sé stesso. Gli uomini sono tutti diversi, ma tutti sono chiamati a mettersi in relazione con Dio. La prima richiesta del comandamento è, dunque, chiarissima.
  2. Se questo è vero, c’è però subito una precisazione da fare sul termine Signore. Ad una prima lettura dei due testi potrebbe quasi sembrare che Dio sia un “signore” potente, nel senso di un padrone, uno che comanda, uno che fa udire la sua voce perché vuole che gli uomini gli obbediscano. Così si innesca subito un principio che mette l’uomo su un piano assolutamente inferiore rispetto a quello di Dio e subordinato ad esso. Se è vero che l’uomo è, comunque, una creatura che si relaziona con il suo Creatore e, quindi, un essere finito che si relaziona con un essere infinito, dal quale ha ricevuto ogni cosa, prima di tutte la vita, è però vero che il comandamento, in sé, non induce a nessuna idea di subordinazione, tantomeno vuole evocare l’immagine di un signore – padrone al quale occorre obbedire ciecamente per non rischiare i suoi castighi. È questa un’idea sbagliata che rischia, tra l’altro, non solo di creare una falsa idea di Dio, ma anche di creare una pericolosissima opposizione tra la rivelazione del Primo Testamento e quella del Vangelo, quasi che il Signore Gesù intervenga, poi, a correggere la legge di Mosè. Cosa ovviamente non vera! Il primo comandamento, tra l’altro, è tra quelli esplicitamente menzionati da Gesù. Il primo comandamento dice già quello che il Signore, poi, espliciterà nel corso del suo ministero. Dice chiaramente che Dio è Colui che perdona. Dice che la natura dell’uomo è sì quella di essere finito, peccatore, sempre tendente ad allontanarsi da Dio, ma dice immediatamente che Dio è colui che ricerca, che non lascia soli, che si mette sulle tracce di qualsiasi uomo che abbia sbagliato e che voglia tornare nella relazione con il suo Dio e Signore. In questo senso la parola “Signore” è assai lontana dal contenuto che abbiamo brevemente descritto, ovvero quella di un essere dispotico a cui obbedire, piuttosto dice già che il “Signore” è il “padre del perdono”, il “Dio ricco di misericordia” come dirà anche Paolo, che perdona all’uomo senza se, senza ma, senza condizione alcuna e, soprattutto, sempre. Nel testo dell’Esodo la cosa è particolarmente evidente perché si contrappone al castigo di Dio che dura fino alla terza e quarta generazione, quella del suo amore, che dura fino a 1000 generazioni. Ovviamente testo da prendere nel suo senso e non nella sua lettera. È il perdono di Dio che è infinito, indicato dal numero 1000, rispetto al dolore e allo “sdegno” di Dio, che è sempre limitato. Il testo non dice assolutamente che Dio riversa la colpa dei padri sui figli. Questa concezione è chiaramente presente sia nel Primo Testamento che nel Vangelo. È un modo di esprimersi semitico, fatto di immagini, fatto di paragoni, che vuole semplicemente dire che lo sdegno di Dio è momentaneo, limitato, mentre la sua misericordia è senza confini. Dio soffre per il peccato dell’uomo, ma soffrirebbe ancora di più a non perdonare. Ecco perché il perdono di Dio è infinito, illimitato, senza confini.
  3. In entrambe le versioni è molto forte la presenza, il tema degli idoli. Nel contesto storico culturale nel quale il sistema dei comandamenti è stato scritto ed elaborato, idoli sono le “statue” che vengono adorate nei diversi popoli. Nell’epoca storica in cui si collocano i comandamenti è assolutamente chiaro che ogni popolo ha i suoi idoli, ogni gente ha i suoi dei, e che l’appartenenza ad un popolo indica anche la propria religione. Non esiste l’uomo “ateo” nell’antichità. La provenienza, l’appartenenza ad un popolo, dice anche la sua religione e la sua professione di fede. “Idolo” significa letteralmente “visione”. Le religioni antiche, con i loro idoli, dicono la visione della vita, la visione delle cose, la visione del mondo. In base al proprio pantheon, cioè all’insieme degli dei, si capisce quale idea governa una nazione, un popolo, quale idea di vita è presente in una determinata area. Il primo comandamento sorprende perché introduce già da subito due idee fondamentali: l’unità e l’unicità di Dio e il fatto che la vita dell’uomo è pellegrinaggio, cammino, viaggio verso la piena visione del volto di Dio e verso il compimento in Lui di ogni cosa. Dunque Dio, il Dio di Israele, si pone come l’unico, il solo, la fonte della vita, il sostegno dei giorni dell’uomo, il fine verso il quale ogni cosa è diretta. Ecco perché è davvero differente questa idea da quella di tutti gli altri popoli che hanno visioni diverse e che attribuiscono questi pensieri ad un idolo, ad un dio “fatto da mani d’uomo”, come dice il salmo. Avere degli idoli, onorare degli idoli, significa, quindi, mettere la propria vita nelle mani di aspetti creaturali della vita dell’uomo elevati a Dio. Israele, invece, mette nelle mani di Dio amante della vita, creatore di ogni cosa, grande nel perdono, la propria esistenza.
  4. In questo senso entrambe le versioni sottolineano che Dio è colui che è entrato in relazione con la vita degli uomini occupandosi di loro. Mentre l’idolo è “muto”, chiede un “culto”, chiede un’ “offerta”, il Dio di Israele chiede che si entri in relazione con lui, non che gli si paghi una tassa. Anche lo stesso culto è ben lungi dall’essere una preghiera che serve a placare la sua ira, come, invece, è nel caso degli idoli. Il culto al Dio di Israele è il volgere il cuore a colui che ama, a colui che perdona, a colui che accompagna l’esistenza di ogni vita. È il cuore della predicazione di Mosè, ma è anche il cuore del Vangelo, il cuore della predicazione del Signore. Gesù non chiede altro che questo: una relazione. Che sia il cieco, che sia l’uomo lontano dalla fede, che sia l’adultera, che sia il discepolo, Gesù chiede una relazione vera, forte, incisiva con Lui. La via dei comandamenti è, quindi, già chiaramente posizionata da questa parte. Dio, il Dio della vita, il Dio di Mosè, chiede una relazione forte con Lui.
  5. La “gelosia di Dio”. Per noi tutti la gelosia è un sentimento, per lo più, negativo. Anche quando vuole difendere un amore, essa finisce presto per degenerare e, quindi, diventa qualcosa di estremamente negativo per l’amore stesso. In ambito biblico la “gelosia” vuole, invece, indicare l’amore viscerale di Dio per l’uomo. È l’immagine dell’amore di una madre che soffre quando i figli si allontanano o, peggio, la rinnegano come madre, non la cercano più, non la considerano più. Dio soffre ogni volta che un uomo si allontana dal suo mistero, ogni volta che un uomo, invece di relazionarsi al mistero da cui ha avuto l’esistenza e, in essa, ogni altro bene, si volge altrove. Dio soffre ogni volta che un uomo, invece di volgersi a Lui ed entrare in relazione con Lui, sceglie un idolo muto, vano, morto.
  6. La gelosia lascia anche il posto ad un altro tema, che, nel corso dei secoli, ha fatto molto discutere e ha aperto anche guerre: il tema dell’immagine. Tutti abbiamo sentito almeno nominare l’ “iconoclastia”, cioè il divieto assoluto di raffigurare il mistero di Dio con forme umane. Capiamo il perché. Nessuna creatura e nessun aspetto di qualsiasi creatura potrà mai dire qualcosa del mistero di Dio. Ecco il perché del divieto. Noi cristiani che crediamo nell’incarnazione del Figlio di Dio, capiamo però bene perché Gesù Cristo, che è uomo e Dio, non solo può essere immaginato, pensato, ma anche raffigurato. Egli che è la perfezione della creaturalità in forza della sua divinità, è anche l’immagine dell’uomo perfetto, dell’uomo voluto e pensato secondo il misterioso piano di Dio.
  7. Penultima considerazione sul “nome” di Dio, nome rivelato a Mosè nel roveto ardente e nome sotteso a tutti i comandamenti. Il nome di Dio è ineffabile, impronunciabile, divino proprio per questo motivo: Egli è il creatore al di sopra di ogni creatura. A Dio può essere dato solo un nome, quello dell’Amore, come il Nuovo Testamento, la rivelazione di Cristo, rivelerà nella sua perfezione. Quello che il Primo Testamento aveva potuto solo intuire, quello che il primo comandamento aveva solamente potuto avvertire, diventerà esplicito con la venuta del Signore, colui che porta a compimento quella rivelazione che Abramo aveva colto nella sua esistenza, Mosè aveva esplicitato, i profeti avevano intravisto ma che solo il Figlio porta a compimento.
  8. Ultima considerazione sull’idolatria. Qualsiasi cosa, realtà, persona, venga messa al posto di Dio, suscita un’idolatria. Idolatria è l’atteggiamento di chi mette sul piano di Dio qualsiasi altra cosa, il che significa qualsiasi realtà creata. “Non avrai altro dio all’infuori di me”, letteralmente, significa non mettere nessuna realtà sullo stesso piano di Dio, cosa che noi vediamo realizzarsi ogni volta che un uomo, ma forse anche noi stessi, mettiamo cose al centro della nostra vita. Cose, realtà, persone che chiedono o impongono, poi, una sudditanza. Sudditanza che genera relazioni oppressive. A differenza della vera fede che, poiché atto di amore, è sempre liberante.

Cosa dice il comandamento

Il primo comandamento, quindi, dice:

  • tutto si fa per la gloria di Dio, ovvero che in ogni azione dell’uomo è possibile relazionarsi a Lui, chiedere la sua benedizione, facendo in modo che ciò che si sta compiendo diventi occasione per avvicinarsi a Lui. Dare lode a Dio significa, ultimamente, questo: fare in modo che le diverse cose della vita dell’uomo portino direttamente a Lui. Come dice San Paolo: “Dunque, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio”. (1 Cor 10,21)
  • Il cuore della vita di ogni uomo, il centro della vita di ogni uomo consiste nel cercare il modo per tornare a Lui. “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 10, 37). Onora e vive il primo comandamento chi vive la vita come vocazione, come progressivo ritorno al Padre.
  • Il primo peccato contro il primo comandamento è, quindi, rifiutare l’amore di Dio, non sentirsi creature, pensare di poter fare a meno di Dio, non percepire il suo amore e non rispondere con amore all’Amore. È solo l’impegno a voler ricambiare il suo amore, che si dà per primo, che porta a vivere la vita tutta come una relazione con Dio. Possono cambiare le fasi, i momenti, ma tutta la vita è e rimane sempre relazione con Dio. Questo è il modo con cui il credente si rapporta al Creatore.
  • Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 2628: “L’adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore”. È l’atteggiamento più fondamentale della religione. «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». L’adorazione di Dio libera dalle varie forme di idolatria che anche oggi ci asservono. Ecco il primo e fondamentale compito della vita di ogni uomo. Adorazione non è sottomissione banale e cieca, ma è ricerca di quella relazione liberante per la vita di cui ogni uomo ha bisogno. L’atto libero della fede è il modo più giusto per dare lode a Dio.

Cosa vieta il comandamento

Propriamente i peccati contro il primo comandamento sono tre.

  1. Contro la fede: l’ateismo, l’agnosticismo, il dubbio intenzionale, l’indifferenza religiosa, l’eresia, l’apostasia, lo scisma, ecc. È anche contrario al primo comandamento mettere volontariamente in pericolo la propria fede. Contrari al culto di Dio sono il sacrilegio, la simonia, alcune pratiche di superstizione, magia, ecc. e il satanismo.
  2. Contro la speranza: la disperazione della propria salvezza e, all’estremo opposto, la presunzione che la misericordia divina perdoni i peccati senza conversione o contrizione o senza bisogno del sacramento della Penitenza. È inoltre contrario a questa virtù riporre la speranza della felicità finale in qualcosa che non è Dio.
  3. Contro la carità: qualsiasi peccato è contrario alla carità, ma ad essa si oppongono direttamente il rifiuto di Dio e la tiepidezza, che porta a non volere amarlo davvero con tutto il cuore.

Come attuare il comandamento

Credo che la prima e fondamentale realtà che questa sera è richiesta a ciascuno di noi, è quella di pensare la vita come una relazione con Dio. Tutta la vita, se non vogliamo essere credenti che non vivono il primo comandamento, è relazione con Dio, relazione che, ovviamente, assume diverse forme, che risponde a diversi stimoli, che si evolve come si evolvono le cose della vita. Eppure sempre in relazione con il Creatore e Padre. Ecco perché la reazione contro ateismo, agnosticismo o, semplicemente, la realtà da offrire a chi ha perso la fede, a chi è senza fede, è la testimonianza di una visione di vita diversa. Se, appunto, come abbiamo detto, avere degli idoli significa avere una visione di Dio, delle cose, del mondo, che è diversa da quella del credente, il nostro primo compito è quello di far vedere che è possibile avere una visione di Dio, della vita, delle cose, del mondo, che è diversa da tutti. A chi idolatra cose, persone o semplicemente sé stesso, occorre far vedere che è possibile una vita di amicizia con Dio, una vita che si sente sostenuta da un Amore più grande e che si sente indirizzata verso una comunione definitiva, totale, senza alcuna zona d’ombra.

In secondo luogo, nell’anno del Giubileo della speranza, io credo che il nostro fondamentale compito sia quello di mostrare a tutti quale deve essere la nostra speranza, ovvero quella dell’incontro con Cristo. All’uomo che ha perso la speranza e che vive i giorni come un peso, facciamo vedere che è possibile vivere la speranza, facciamo vedere che chi si sente sorretto dalla speranza vive in modo nuovo, diverso ogni cosa. Anche le realtà più tristi, cupe, difficili dell’esperienza umana.

In terzo luogo, per una revisione di vita personale, direi di considerare la tiepidezza che, come sappiamo bene, nella rivelazione dell’Apocalisse, viene indicata come la peggiore realtà possibile. Dio, proprio perché è Dio “geloso”, ovvero perché è Colui che ama con cuore di madre, chiede che si viva con amore, e non con tiepidezza.

Credo che sia proprio questo il primo spunto di revisione che tutti dobbiamo fare nostro, perché non accada a nessuno di noi di essere tiepido, ovvero incapace di amare come Dio insegna ad amare.

In pillole

  • Il primo comandamento ci ricorda l’importanza della relazione con Dio.
  • Questa relazione è relazione di amore.
  • Non esiste peccato che possa fungere da barriera e rompere questa relazione con Dio.
  • Solo l’idolatria, cioè il rendere cose o persone o sé stessi come Dio, rompe questa alleanza perenne che Dio vuole suscitare.