2° Serata – Non pronuncerai…2024-10-24T21:41:08+02:00

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Introduzione

In questa seconda serata vogliamo continuare a riflettere sul tema dei comandamenti e prendiamo in considerazione il secondo di essi, la seconda “parola”. Tema che non possiamo assolutamente ridurre al tema della bestemmia, anche se così siamo stati educati a pensare fin dal catechismo, fin da bambini. Il fenomeno oggi è assolutamente dilagante e, probabilmente, ci siamo anche abituati ad esso. Eppure non dobbiamo mai smettere di riflettere, di pensare, di capire. Come vedremo questo è solo un aspetto, perfino marginale, di tutta la questione.

Il testo

Esodo 20

7Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Deuteronomio 5

11Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Lectio

  1. Il primo dato che emerge dalla lectio dei due testi è evidente. Le due formulazioni sono assolutamente uguali, quasi copiate, a differenza del primo comandamento che non utilizzava le medesime parole, pur riproponendo i medesimi concetti. Il che ci indica quanto il tema era sentito, importante. Tema che pone a noi una domanda fondamentale. Qual è il nome di Dio?
  2. La risposta, che è il cuore di questa catechesi, ci fa spaziare attraverso molti testi che richiamiamo alla memoria. Il primo di tutti è certamente il testo di Esodo 3, il roveto ardente. È il primo passo importante nel quale si parla del nome di Dio. Non c’era il nome di Dio quando Abramo venne chiamato, non si faceva cenno al nome di Dio quando i patriarchi furono chiamati. Con Mosè la questione del nome di Dio diventa fondamentale. Anzitutto una premessa. Per il mondo semitico e per gran parte del mondo orientale, conoscere il nome di una persona significa conoscere tutto di quella persona. Non solo il nome, diremmo noi, di “battesimo”; il nome dato dai genitori, potremmo dire in senso più ampio, ma la sua origine, la sua parentela, il luogo della sua dimora, il suo mestiere, la sua reputazione. Conoscere il nome è tutte queste cose insieme. Significa conoscere in profondità una persona, in tutti i suoi aspetti. Si capisce così perché il nome di Dio non deve essere pronunciato. Quasi non deve nemmeno essere conosciuto. Chi potrebbe dire di conoscere Dio in modo così profondo? Ovviamente nessuno, se non Gesù Cristo. “Egli che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18), dirà un giorno San Giovanni riflettendo sul mistero dell’incarnazione. Ovviamente una consapevolezza che cresce con il progredire della fede, con il progredire della storia della salvezza e della rivelazione. Troppo presto per il Primo Testamento e per l’Esodo o per il Pentateuco in generale. Ecco allora che appare chiaro che il nome di Dio è il nome impronunciabile, il tetragramma sacro, ovvero quell’insieme di 4 consonanti senza vocali che non può essere detto: Jhwh. Noi diciamo “Jahvè”, aggiungendo due vocali al testo originario che, però, non le contiene. Il nome di Dio è il nome del totalmente altro, dell’inconoscibile, dell’irraggiungibile, dell’Altissimo. Ecco perché non solo l’ebraismo, ma anche l’Islam, si rivolge a Dio con altri nomi, che sono i suoi attributi. “Elohim”, ovvero colui che è nella pienezza; “Adonai”, il Signore, l’Altissimo, l’Onnipotente…. Tutte espressioni che dicono qualcosa di Dio ma senza svelarne l’essenza, senza esaurirlo. Il nome impronunciabile di Dio è il nome di Colui che è totalmente altro, Colui che è inconoscibile, Colui di cui non si può svelare il significato.
  3. Il nome rivelato a Mosè dice tutta la pienezza, la potenza di Dio. Egli è “colui che fa essere” tutte le cose – in questo senso si inneggia al Creatore; “colui che è”, ovvero colui che non ha tempo, colui che governa il tempo, colui che dà senso al tempo ma che non appartiene al tempo; “colui che sarà”, cioè Colui che, proprio perché al di fuori del tempo, attende tutte le cose, ricapitola in sé tutto l’universo. La concezione di Dio, la concezione del suo nome dice proprio questo: Dio è la realtà che tutti incontreremo alla fine dei nostri giorni.
  4. Nel Primo Testamento esistono poi molte altre rivelazioni del nome di Dio, mai nella sua essenza, sempre più precise nel dire chi è Dio. Dio è come un padre e come una madre, per esempio. In questo senso tutta la rivelazione dei profeti è essenziale. Dio è come un padre che solleva sulle guance il suo bambino, oppure come un padre che insegna a suo figlio a camminare, ma Egli è anche come una madre, soffre per i suoi figli come una donna nelle doglie del parto, sbuffa come una donna partoriente attendendo il ritorno dei suoi figli. Tutte immagini con le quali abbiamo una certa dimestichezza e che ci dicono che Dio, di per sé, è inconoscibile. È solo la progressiva storia della salvezza, la progressiva storia della rivelazione che ci svela in che cosa consiste il mistero di Do e come possiamo lasciarci raggiungere dalla sua rivelazione.
  5. Lodare il nome di Dio. I testi biblici che abbiamo brevemente affrontato ci ricordano anche qual è il compito dell’uomo verso Dio: la lode. L’uomo, fin dalla rivelazione della Genesi, viene presentato come la creatura voluta da Dio a sua “immagine e somiglianza”. L’uomo è colui con il quale Dio dialoga e, parimenti, Dio è colui con il quale l’uomo può dialogare in una relazione piena, vera, forte, reciproca. La “lode” di Dio, in estrema sintesi, è tutto l’universo della preghiera. Il nome di Dio va invocato come nome sotto il quale si può trovare rifugio e protezione. La lode di Dio non è solo la preghiera liturgica, ma tutto ciò che compone il rapporto con Dio. Da questo punto di vista i testi fondamentali sono i testi dei salmi che inneggiano al nome di Dio come l’unico nome sotto il quale si può trovare salvezza. Nella preghiera dei salmisti riecheggia l’esperienza del popolo di Israele, che invoca Dio soprattutto nei momenti difficili, nei momenti nei quali Israele ha sperimentato come il Signore è guida e protezione.
  6. Gesù e il nome del Padre. La rivelazione del nome di Dio, però, trova il suo compimento solo con il ministero di Gesù; tutto il Vangelo è rivelazione del nome di Dio: Padre. Il nome impronunciabile custodito dai Padri, il mistero della trascendenza di Dio gelosamente custodito dal monoteismo ebraico, trova la sua definitiva rivelazione nel ministero di Gesù che insegna a chiamare Dio con confidenza, amore, fiducia. Realtà che nulla tolgono al rispetto per il nome di Dio, pur facendone percepire la familiarità. L’uomo è chiamato a sperimentare la familiarità con Dio, chiamandolo, appunto, con il nome di Padre. Il Padre è Colui che dà cose buone ai propri figli, è Colui al quale ci si deve rivolgere con fiducia e attesa per i benefici della salvezza. Il Padre è colui dal quale ci si sente protetti in ogni occasione della vita. Il Padre è colui che sa di che cosa l’uomo abbia bisogno ancor prima che glielo si chieda. Soprattutto il Padre è Colui che dona lo Spirito di amore: spirito di pace, fortezza, sostegno, forza e di tutti i 7 doni con i quali noi siamo soliti rievocare l’azione dello Spirito di Dio nella storia.

La rivelazione di Gesù fa comprendere che la rivelazione del nome di Dio è Trinità di Amore. Dio è relazione e non solitudine. Dio è dialogo e non silenzio. Dio è certamente trascendenza pura, ma anche Colui che ama stare con gli uomini, Colui che si mischia con la storia degli uomini, Colui che, in un certo senso, non può stare “senza” l’uomo. Il nome di Dio è il nome invocato fin dall’antichità, in forma sempre più precisa e sempre più vera. Il nome di Dio è l’unico nome che, invocato, può donare salvezza. Il nome di Dio è il nome della Trinità di amore, che assume un volto fisico nel mistero di Cristo e che chiama a sé. L’approdo alla Trinità è lo scopo, il senso, il fine della vita di tutti gli uomini.

  1. “Sia santificato il tuo nome”. Nell’ambito della rivelazione voluta ed attuata dal Signore, l’espressione che più ha attinenza con il secondo comandamento è, quindi, l’affermazione del Padre nostro: “sia santificato il tuo nome”. Con questa indicazione il Signore chiede che si entri in relazione con Dio. Naturalmente la preghiera dell’uomo nulla può aggiungere alla santità di Dio. La preghiera è però il mezzo, il tramite grazie al quale ogni uomo può immergersi nel mistero di Dio, entrare in relazione con lui, gustare la sua santità e, in questo modo, plasmare la propria vita modellandola sulla santità di Dio. Potremmo dire anche così: ogni volta che l’uomo si dispone alla preghiera, l’uomo entra in contatto con quella santità di Dio che muta la sua esistenza. Immergendolo nella santità del Padre genera nell’orante il gusto, il desiderio della santità e chiama ciascuno a quella particolarissima relazione con Dio che è il cammino di fede che si apre di fronte a ciascuno. Oppure potremmo anche dire che quella santità di Dio che era il mistero gelosamente custodito nel Primo Testamento, quella santità di Dio che era il cuore della Scrittura antica, diventa ora, nella rivelazione di Cristo, disponibile per tutti. Quel Dio che, stando a certe letture, addirittura metteva terrore ed incuteva paura, in realtà è il Padre di tutti, il Padre di ogni uomo, il Creatore di ogni cosa: Dio è un mistero di amore così grande da non poter assolutamente trattenere in sé questo amore ma deve “necessariamente” emanarlo fuori di sé, sia nella creazione che nell’uomo. Santificare il nome di Dio è tutto questo. Ecco perché è così importante coltivare quella relazione quotidiana con Dio che è l’essenza della vita cristiana, il cuore di qualsivoglia itinerario di fede. Santificare il nome di Dio è, dunque, occasione per curare la relazione con Lui.
  2. “Dio è amore”. Un’ultima considerazione. Chi percepisce la reale portata di tutto questo è San Giovanni, che comprende che in Cristo si attua la rivelazione di amore che Dio, da sempre, ha pensato. Quel Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza; Colui che ha cercato l’uomo fin dalle origini e che ha aperto un dialogo con Lui, Colui che in mille modi si è manifestato nel corso della storia della salvezza, infine, da ultimo, ha parlato all’uomo in Gesù Cristo ed ha rivelato tutto il suo amore nell’Incarnazione del Figlio e nella sua passione, morte e risurrezione. Se questo è il cuore della rivelazione, se questo è il vero nome di Dio, è chiaro che l’uomo deve conoscere questa rivelazione di amore, deve approfondirla e, soprattutto, deve cercare di corrispondere ad essa. L’uomo che si lascia raggiungere dalla rivelazione di Dio, colui che porta nel cuore la rivelazione di amore del Padre, rimane da essa conquistato, affascinato e non riesce più a concepire altrimenti la sua vita. Dio è amore e per questo l’uomo è chiamato a vivere nell’amore. Lodare il nome di Dio significa immergersi in questa relazione di amore per vivere bene la propria esistenza a servizio dell’uomo. Lodare il nome del Signore è, soprattutto, impegnarsi per il medesimo servizio di amore all’uomo che Dio vive. Chi contempla il mistero di amore di Dio, vive in modo tale da fare sì che la propria vita diventi un servizio, un atto di amore per l’uomo, chi loda il nome di Dio rimane trasformato dalla sua rivelazione di amore e diffonde amore con la sua stessa vita.

Cosa dice il comandamento

Il 2° comandamento quindi dice che:

  • Il nome di Dio è il nome del mistero di Amore che è il Dio Trinitario.
  • Il nome di Dio si è progressivamente rivelato nella storia della salvezza, fino alla sua massima rivelazione in Cristo Gesù.
  • Dio amore chiede che il suo nome sia lodato, ovvero che l’uomo, amico di Dio, si immerga nel suo stesso mistero e trasformi la sua vita in modo tale che la vita di tutti diventi un riflesso del suo amore.
  • In conseguenza al primo comandamento, il secondo dispone che l’uomo entri in comunione con il suo Creatore.

Cosa vieta il comandamento

Propriamente il secondo comandamento vieta:

  1. Che il nome di Dio sia pronunciato “invano”. Invano, ovvero in modo non conforme alla rivelazione di amore di Dio. Pronuncia invano il nome di Dio chi lega il suo nome a ciò che non è rivelazione di amore: odio, omicidio, guerra. Provate a pensare quante volte il nome di Dio è stato invocato per difendere qualsivoglia tipo di guerra. Provate a pensare quante volte il nome di Dio è associato a tutte quelle varie forme di integralismo che mortificano lo stesso nome di Dio, non rendono ragione della sua gloria, anzi, chiudono il mistero di Dio entro confini angusti che rendono “vano” il suo nome. In vero senso critico pensiamo, come già fece San Giovanni Paolo II, a tutte quelle volte nelle quali proprio la Chiesa cattolica ha avuto un comportamento di questo genere. Ci sono voluti molti anni, secoli prima di liberarci da alcune cose e, forse, non siamo mai realmente liberi da tutto ciò che associa il nome di Dio a realtà che non gli appartengono. Gli integralismi non sono mai solo delle altre religioni, possono provenire anche dall’ambito cristiano, quindi attenzione a come ci regoliamo in proposito. Il 2° comandamento è, quindi, contro ogni forma di integralismo e di allontanamento del nome di Dio dalla rivelazione di amore che egli sostiene.
  2. Il 2° comandamento vieta ogni forma di giuramento, come anche il Signore ha esplicitamente insegnato nel Vangelo: “Non giurate affatto… sia il vostro parlare sì, sì! No, no!” (Mt 7). Il giuramento nel nome di Dio rende vano il suo nome, perché accosta l’infinità di Dio a cose che appartengono all’ordine della creazione e che, quindi, come tali, sono finite, limitate, circoscrivibili. Mai si deve giurare nel nome di Dio. È lecito prestare giuramento in alcuni contesti particolari della vita dell’uomo, come, per esempio, quello giuridico, ma non nel nome del Signore, che è Padre di ogni parte in esso presente.

A proposito della bestemmia, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 2148: La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell’abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro «che bestemmiano il bel nome [di Gesù] che è stato invocato» sopra di loro (Gc 2,7). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L’abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione. La bestemmia è contraria al rispetto dovuto a Dio e al suo santo nome. Per sua natura è un peccato grave.95

2149 Le imprecazioni, in cui viene inserito il nome di Dio senza intenzione di bestemmia, sono una mancanza di rispetto verso il Signore. Il secondo comandamento proibisce anche l’uso magico del nome divino: «Il nome di Dio è grande laddove lo si pronuncia con il rispetto dovuto alla sua grandezza e alla sua maestà. Il nome di Dio è santo laddove lo si nomina con venerazione e con il timore di offenderlo».96

La bestemmia, quindi, non è il solo peccato contro il 2° comandamento ma, certamente, ne è piena parte. Non limitiamoci, quindi, a questo riferimento, ma ampliamo a tutto il tema, come abbiamo visto nella catechesi. A questo proposito posso solo invitare ciascuno di voi ad ammonire coloro che fanno frequente uso di questo linguaggio, specie i più giovani, come a tutti capita di sentire. Insegniamo a rispettare il nome di Dio e quello dei santi e di Maria.

Come attuare il comandamento

Un’ultima considerazione, dal momento che la maggior parte di questa catechesi è stata dedicata al tema del nome. Anche noi, oltre al nostro nome di battesimo, condividiamo un altro bel nome comune: il nome cristiano. Tutti noi ci diciamo e, realmente, siamo cristiani. Cosa significa questo nome per noi? Essere cristiani dovrebbe essere non solamente una qualifica che ci diamo in base alla nostra fede, ma dovrebbe essere un modo per descrivere la nostra identità. Noi siamo cristiani, cioè siamo “di Cristo”. Noi non solo apparteniamo ad una fede, professiamo una religione, ma apparteniamo a Cristo nelle nostre persone. Il Battesimo che tutti abbiamo ricevuto e che tutti condividiamo dice che tutti noi siamo stati innestati in Cristo. Cristo ci ha riscattato con il suo sangue, ci ha inseriti in un’alleanza con Lui che è eterna, nuova, imprescindibile per ciascuno di noi. Ecco cosa siamo chiamati a riscoprire, il nostro nome cristiano, la nostra radice di appartenenza a Cristo nella Chiesa. Come tali noi non solo dobbiamo rispettare il nome di Cristo, ma dobbiamo assolutamente cercare di far vivere anche ad altri questa realtà unica, singolare, bellissima, profondissima. Riscopriamo la bellezza del nostro nome cristiano. Vivremo in modo sempre più adulto la nostra fede.

In pillole

  • Il 2° comandamento ci ricorda che Dio ha rivelato il suo nome lungo la storia della salvezza.
  • Il nome di Dio è Amore.
  • Noi siamo chiamati a rispettare il nome di Dio non inserendolo in contesti che vanificano la sua vera identità.
  • La bestemmia, l’imprecazione sono parte del comandamento, che però, anzitutto, ci chiede di saper rispettare sempre il nome di Dio trinità di amore.
  • Riscoprire il nome cristiano che tutti condividiamo è l’impegno da prendere in questa riscoperta del 2° comandamento.